L’intervista al geologo Caniparoli
di Mimmo Carratelli
Napoli, la città dei fori imperiali - Quinta puntata - La talpa autocementatasi alla Torretta conferma gli errori degli interventi nel sottosuolo napoletano. Spesso non si ha idea di che cosa si va a fare e perché. Il problema dell’alveo Arena Sant’Antonio. L’allagamento dello stadio San Paolo. Intanto, il tunnel di via Acton pone inquietanti interrogativi.

Nella puntata precedente, stavamo parlando della talpa autocementatasi sotto la Torretta. Un mostro sotterraneo. Ascoltiamo quanto dice il prof. Riccardo Caniparoli, napoletano, geologo di fama, esperto del dissesto idrogeologico regionale. La sua intervista continua così:

“Nel suo sistema di avanzamento, la talpa inietta cemento nel fronte da scavare per consolidare il terreno. Le particelle che compongono il terreno svolgono la funzione di inerte ed è così che il terreno si consolida col legante-cemento. Ma, poiché il terreno in questione è rappresentato da terreni leggeri che galleggiano, i getti di cemento iniettati non si sono miscelati con le particelle che compongono il terreno, anzi, per la marcata differenza dei pesi specifici dei materiali, invece di miscelarsi tra loro si sono separati per effetto della gravità e quindi il cemento iniettato ha cementato la talpa stessa”.

- Ma perché si sbaglia fino a tal punto?

“Non si ha idea di che cosa si va a fare e del perché”.

- Possibile?

“Tempo fa, in una riunione tenuta alla Circoscrizione del Vomero, presente una rappresentanza di amministratori cittadini, proposi che si redigesse il piano regolatore del sottosuolo per avere una visione generale del problema evitando di portare avanti lavori-tampone nella logica dell’emergenza”.

- E, invece, il Comune programmò una serie di undici interventi a macchia di leopardo. Vuol dire che si continua ad operare con una visione limitata?

“Prendiamo l’intervento previsto per l’alveo dell’Arena Sant’Antonio, che era un alveo naturale poi tombato, cioè chiuso, venuto alla ribalta per l’allagamento dello stadio San Paolo. E’ una situazione tragica. L’alveo Arena Sant’Antonio scende dai Camaldoli, attraversa Soccavo e Fuorigrotta e arriva a Coroglio, sotto Nisida. Questo collettore fognario funziona fino a un certo punto. Diciamo che funziona sino a Soccavo”.

- E perché mai?

“Quando piove, nell’alveo non scorre solo acqua. La pioggia trascina con sé una gran quantità di detriti. Questi scorrono nel tratto in discesa, dai Camaldoli a Soccavo, ma si depositano all’interno del suo letto quando la velocità di scorrimento rallenta. Ovviamente, la velocità di scorrimento rallenta in basso, nel tratto pianeggiante, quando non la favorisce più la pendenza. L’alveo è tombato dalla Pigna a Coroglio, cioè è costretto in una struttura. Depositandosi, i detriti modificano l’alveo, riducendone la sezione idraulica. In poche parole le sabbie, i limi e le pomici nel tratto tombato si depositano tappandolo letteralmente nel tratto di foce. E’ facile dedurne le conseguenze. La struttura cede alla pressione dell’acqua che non ha più un libero sfogo in mare perché è strozzata”.

- Ci sembra una situazione che si possa prevedere. Dov’è l’errore?

“L’errore è che si ha una considerazione statica dell’ambiente e una considerazione non corretta del problema. Gli ingegneri idraulici che non sono supportati da esperti di geodinamica esogena hanno questa visione, cioè la visione di un alveo statico. Invece, l’alveo presenta una situazione dinamica. I detriti lo modificano. C’è poi una incongruità da segnalare. Gli alvei naturali, per una recente legge, non possono essere tombati. Quello di cui parliamo lo è”.

- Dunque, una situazione fuori legge e un intervento fuori da ogni criterio corretto.

“E’ così”.

- E che cosa si può fare?

“Bisognerebbe aprire l’alveo con un intervento radicale di ripristino della situazione che si avvicini il più possibile ad una condizione naturale, demolendo tutta la condotta in cui è costretto a scorrere. In questo modo si risolverebbe il problema in modo definitivo azzerando tutte le spese di manutenzione ordinaria e straordinaria. Oppure, se si lascia la struttura così com’è, bisognerebbe liberare l’alveo dai detriti già alle prime piogge, e ad ogni pioggia, con una ricognizione continua e programmata, e quindi con costi enormi di gestione per la collettività”.

Visto che si tratta di un alveo tombato, che cosa facciamo? Ci mettiamo una pietra tombale sopra? E’ un danno fatto nel passato cui si può rimediare con un’attenta opera di vigilanza e pulizia. Ma chissà se è possibile, se ci sono i mezzi, se ci sono gli uomini, se c’è la volontà di fare.

Il neoassessore comunale alla Protezione civile e al suolo e sottosuolo, Giorgio Nugnes, ha messo tra le priorità dei suoi interventi proprio la situazione dell’Arena Sant’Antonio. Ne riferiremo nelle prossime puntate.

Intanto, si saprà come intervenire per le prossime opere nel sottosuolo napoletano? Se ne annuncia una spettacolare: il contestatissimo tunnel sotto via Acton. Spettacolare o folle? Gli urbanisti più attenti l’hanno già criticato.

L’ingegnere Caniparoli dice: “Solo gli urbanisti? Siamo sicuri che l’opera è stata progettata considerando le difficoltà del sottosuolo?”

- Ci sembrerebbe ovvio.

“E ovvio non è. Ognuno va per la sua strada perché viviamo in un’epoca di specializzazione. Ogni tecnico ha una visione particolare del problema, ristretta al suo ambito. Mentre ci sarebbe bisogno di una cooperazione ampia perché venissero sviscerati e affrontati tutti gli aspetti del problema che, quando interessa il sottosuolo napoletano, è un problema complesso che richiederebbe il concorso degli specialisti di tutti i settori che investe”.

- Ma, allora, il tunnel di via Acton nasce proprio male?

“Il sottosuolo napoletano è ricco di sorgenti termali. Quando si scava si vanno a intercettare queste falde. E’ stata considerata la possibilità che ce ne siano sotto via Acton? E’ una zona di falde termali. Le sorgenti delle acque ferrate del Chiatamone, del Beverello e di Santa Lucia non sono lontane. Qual è il problema? Il problema è che la presenza di falde termali richiede una tecnica molto particolare per trattarle. Sono acque molto aggressive, ricche di gas disciolti, letali, quali l’anidride carbonica, senza odore, colore e sapore, quindi infidi perché non segnalano la loro presenza. Quando ci si accorge di loro, può essere tardi. Hanno già fatto il loro effetto letale. L’impermeabilizzazione di questi gas è molto complessa e costosa e non è mai al cento per cento”.

- Ci sembra impossibile che il problema non sia stato considerato.

“A Napoli tutto è possibile”.

- Sarà dunque un tunnel mortale? Sarà pericoloso per gli operai che dovranno realizzarlo?

“Mi auguro di no. Lei conosce la Grotta del Cane ad Agnano? Sa perché si chiama così? La denominazione serve per spiegarle come si comportano i gas di cui parliamo che sono gas pesanti, non si disperdono e si mantengono bassi. Si chiama Grotta del Cane perché vi si portano a morire i cani. L’uomo entra tenendo al guinzaglio il cane e l’animale muore respirando il gas che si mantiene basso e non raggiunge l’uomo”.

- Stando così le cose, abbiamo un futuro da cani.

“Ma bisogna essere sempre positivi, pensare che qualcosa cambierà nella gestione della nostra città, nella soluzione dei suoi problemi. Il pessimismo non paga”.

- Si ha l’impressione che non sia il problema dei fondi che impedisce di operare, ma la mancanza di uomini capaci con idee vincenti.

“Questo lo dice lei”.

- Vogliamo parlare di un altro vizio napoletano? Com’è che, dai complessi progetti, vengono tenute fuori le migliori risorse cittadine? Le facoltà di ingegneria e architettura sono ignorate. Per tornare al sottosuolo, non abbiamo mai registrato il coinvolgimento delle migliori risorse universitarie, dei geologi, degli esperti del settore. Possibile che tutto il sapere è negli uffici comunali e nei grandi professionisti chiamati dall’estero e dagli studi professionali di altre città italiane?

“Ci stiamo addentrando…”

- Capito. Ci stiamo addentrando in un tunnel. Da quello di via Acton a quello della politica che ha suoi gas nocivi. Grazie, dottor Caniparoli.

(continua)

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5/10/2006
  
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