Mille studi ma pochissimi lavori
di Mimmo Carratelli
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Napoli, la città dei fori imperiali - Seconda puntata - Il sindaco Iervolino accusa di catastrofismo i giornali, ma i suoi tecnici la smentiscono. Settembre, un mese a rischio. Le denunce degli esperti. Interventi tampone e mancanza di un piano organico per il sottosuolo: 733 cavità, 260 ricoveri bellici, 92 cisterne e 54 gallerie. Cinquemila miliardi di vecchie lire per risolvere il problema fognario. I morti di Secondigliano e le altre vittime dei disastri. Dal 1956 ad oggi, in tema di sottosuolo napoletano, gli studi, le relazioni, le commissioni, i progetti, gli stanziamenti e gli interventi superano il numero stesso dei dissesti che, in soli due anni, dal 1966 al 1968, furono 3.911 con un bilancio di nove morti. Nel periodo successivo, fino al 1996, le voragini napoletane sono state 59 con gli undici morti al quadrivio di Secondigliano, la tragedia che sembrò potesse dare un’accelerata a un intervento massiccio per la messa in sicurezza del sottosuolo cittadino. Chiedono ancora giustizia le vittime dell’incuria, dei ritardi, dell’assenza di un concreto e organico programma di interventi, le vittime dell’emergenza continua nella confusione di una politica di rattoppi, di falsa solidarietà e di più false lacrime.
Non si possono dimenticare i “martiri di Secondigliano” Stefania Bellone, Serena De Santis, Emilia Laudati (13 anni), Mario De Girolamo, Gennaro De Luca, Giuseppe Petrellesi, Francesco Russo, Alfonso Scala, Pasquale Silvestro, Michele Spartaco, Ciro Vastarella. Non si possono dimenticare le altre vittime di un continuo malgoverno: il commerciante Strato Improta sprofondato con la sua auto in una voragine al Corso Vittorio Emanuele (1964), l’insegnante Alfredo Cerrato inghiottito da una voragine in via Aniello Falcone (1969), l’artigiano Emilio Kuhn ucciso in un crollo in via Antonio Vitale alla Calata Capodichino (1971), il fabbro Francesco Angrisano e suo figlio Carmine morti in una voragine in via Miano (1996), il geometra Bruno Misuraca sprofondato in una voragine al vico Purità a Materdei (1999), Giuseppe Vallefuoco travolto e ucciso da un torrente di acqua e fango nella sua casa in via Quagliariello al Rione Alto (2001), Gennaro Mascioletti anch’egli vittima di un torrente di acqua e di fango in via Salvator Rosa (2003).
E’ del 1966 una Commissione di studio del sottosuolo presieduta dall’assessore comunale ai lavori pubblici Bruno Romano i cui risultati furono riportati in un volume, “Il sottosuolo di Napoli”, con la richiesta di lavori urgenti per 45 miliardi e fognature da rifare sotto 500 strade e piazze.
Nel 1967, l’ingegnere Mario Folinea pubblicò due volumi, “Il sottosuolo di Napoli” con tavole allegate. Un documento illuminante, ignorato.
Trent’anni dopo, il professor Antonio Vallario, docente di geologia applicata all’Università, censì 472 cavità in 13 quartieri (86 a San Carlo Arena, 26 al Vomero, 28 a Posillipo, 85 all’Avvocata, 62 a Stella). L’indagine, raccolta nel volume “Frane e territorio”, è uno dei tanti preziosissimi studi che vengono costantemente trascurati.
Franco Ortolani, ordinario di geologia all’Università, dopo gli sprofondamenti del 2003 in via Manzoni denunciò: “I dissesti sono avvenuti nel tratto dove sono stati eseguiti anche interventi recenti, presumibilmente in relazione a sottoservizi nuovi o antichi. Questi interventi nel sottosuolo rappresentano un potenziale pericolo”. Aggiunse: “Il sottosuolo napoletano è poco conosciuto nonostante le pluriennale attività svolte dal 1997 dalla struttura del Commissario straordinario per l’emergenza sottosuolo di Napoli che, su delega del ministro dell’interno, doveva individuare tutti i problemi che determinano dissesti e tutte le soluzioni per garantire la sicurezza della città. Ma ci sono state carenze nel metodo di indagine e una inadeguatezza dei programmi elaborati per far fronte alle emergenze”.
Domenico Calcaterra, associato di geologia applicata all’Università, nel 2004 disse: “La situazione del sottosuolo napoletano è monitorata da anni. Dal 1986 a oggi abbiamo avuto quattrocento movimenti franosi di ogni tipo, mentre dal 1880 al 1986 se ne registrarono duecento.”
E’ del 2002 la Carta del rischio da frana, redatta dall’Autorità di bacino nord occidentale della Campania, che segnala come “zone rosse” Agnano, i Camaldoli e il costone di via Manzoni.
Il geologo Riccardo Caniparoli, nel 2004, denunciò: “A Napoli non c’è mai stata attenzione verso il rispetto dell’equilibrio idrogeologico. Si è sempre pensato a costruire senza valutare l’impatto che le nuove opere avrebbero avuto sul sottosuolo, non trascurando la vibrazione continua dovuta all’aumento del traffico. Non è un caso che, a Posillipo, abbia ceduto una zona estremamente trafficata, quella vicina al deposito degli autobus. A Napoli, quando si apre una voragine, ci si affretta con interventi tampone e si continua a rinsaldare il sottosuolo con il cemento. Ma c’è qualcuno che valuta l’impatto del cemento sul sottosuolo e che pensi ad assecondare la natura invece di andarle contro? Pure le opere pubbliche più recenti alterano l’equilibrio naturale. Faccio l’esempio del Centro direzionale, del Metrò e della Linea tranviaria rapida”.
L’ingegnere Antonio Guizzi, grande esperto di problemi napoletani, scriveva alla fine del 2004: “Nel marzo del 1997, il ministro dell’Interno designò Bassolino Commissario straordinario per gli interventi nel sottosuolo e versanti della città di Napoli. Il comitato tecnico concluse i suoi studi con la segnalazione di 42 interventi prioritari da effettuare sui numerosi collettori della città. Ma l’ufficio tecnico del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti sottolineò l’insufficienza dell’indagine svolta su circa cento chilometri di condotte fognarie rispetto ai 1.300 chilometri dell’intera rete”.
Domenico Pianese, ordinario di costruzioni idrauliche e idrogeologia all’Università, alla fine del 2005 fece il punto su uno dei collettori critici, l’impianto Arena Sant’Antonio: “E’ una struttura vecchia con dimensioni e caratteristiche idrauliche insufficienti. Quando si riempie cerca uno sfogo trovandolo nelle giunture, nelle fessure e nelle incisioni dovute alle immissioni anche di allacciamenti abusivi. Così va in pressione e scoppia. C’è anche un problema di manutenzione ordinaria insufficiente”.
Giacomo Rasulo, docente di ingegneria idraulica all’Università, ha detto: “Nel 1981, dopo il terremoto dell’80, fu promulgata la legge 219 che prevedeva per l’area napoletana, a cura di Commissari straordinari, la realizzazione delle reti fognarie necessarie. Ma i Commissari straordinari non predisposero un vero piano organico limitandosi ad acquisire quanto programmata fino ad allora dai vari enti e ne affidarono la progettazione esecutiva e la realizzazione a molte imprese nemmeno integrate tra loro. A seguito dello scioglimento della gestione commissariale nel 1994, il Comune ha avuto consegnate opere per lo più non funzionanti e addirittura non completate a causa del fallimento delle imprese. Quando nel febbraio 1997, il sindaco di Napoli fu nominato Commissario delegato per gli interventi d’emergenza connessi con il sottosuolo e i versanti della città il Comune rilevò le infrastrutture fognarie realizzate dalla Cassa del Mezzogiorno e dai vari Commissari straordinari per potere predisporre un piano generale del sistema fognario. Questo piano è stato fatto e, purtroppo, una stima sommaria delle esigenze finanziarie evidenziò che gli investimenti necessari superavano il miliardo di euro. A nessun politico interessa spendere tanti soldi per un’opera che si vedrà non prima di dieci anni quando ci sarà un’altra amministrazione che ne raccoglierà i frutti. Quella di Napoli è una rete fognaria su cui ci sono mille studi ma pochissimi lavori”.
Carlo Viggiani, ingegnere civile e coordinatore della Commissione comunale del sottosuolo, ha dichiarato: “Lavoriamo in emergenza dal 1999. Dal 2001 abbiamo speso 300 milioni di euro, una goccia nell’oceano visto che per risanare tutto il sottosuolo cittadino servirebbero cinquemila miliardi di vecchie lire”.
Denunce, studi, finanziamenti insufficienti coperti dal “pensiero positivo” delle amministrazioni che cancellano le tragedie, dimenticano i morti e se ne infischiano del rischio di una città che poggia sul vuoto (733 cavità, 260 ricoveri bellici, 92 cisterne e 54 gallerie). Dopo i disastri del nubifragio del settembre 2005, il sindaco Iervolino accusò i giornali di fare del catastrofismo. Ma il subcommissario al Sottosuolo Vincenzo Mossetti la smentì: “Napoli è città a rischio. C’è ormai un mese, settembre, molto a rischio. Gli eventi si ripetono in maniera cadenzata, ma per affrontarli servono soldi che non ci sono”.
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(continua)
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