L'Opinione
Viaggio nella spazzatura campana
Come affrontare il problema? - 6
di Achille della Ragione
Discarica a cielo aperto
La spazzatura può essere smaltita nelle discariche, può essere incenerita, può essere trasportata lontano. Può essere inoltre smaltita in impianti a freddo o gassificata. Ed a queste ipotesi possiamo aggiungerne un’altra, per il momento utopica, ma verso la quale bisognerà tendere con tutte le forze: non crearla affatto, la cosidetta opzione zero  secondo il lessico degli addetti al settore.

Qualunque sia la soluzione scelta, si impone l’opzione della raccolta differenziata e del riciclaggio dei rifiuti.
                                                      
Discariche

La discarica è l’anello finale della catena dove dovrebbero arrivare i rifiuti che non possono essere riutilizzati, recuperati o riciclati. Generalmente è costituita da una concavità naturale o da un enorme fossato artificiale, dove vengono depositati la spazzatura urbana e tutti quegli altri rifiuti che non possono trovare utilizzazione, come i materiali di risulta dell’attività edilizia o gli scarti industriali.
Secondo la normativa europea, alla quale aderisce l’Italia, esistono tre categorie di discariche:
1) Per rifiuti inerti
2) Per sostanze non pericolose, come la spazzatura urbana
3) Per rifiuti tossici o pericolosi
Le discariche rappresentano il più antico e più economico sistema di smaltimento dei rifiuti, in grado di risolvere momentaneamente il problema, che viene trasferito in gran parte ai nostri discendenti, i quali si troveranno costretti a dover convivere con una quota sempre più ampia di superficie  non utilizzabile,  perché occupata a stipare la spazzatura. In Campania le discariche divorano letteralmente 30 chilometri quadrati di territorio, per intenderci un’area estesa quasi dieci volte quella di San Giorgio a Cremano. Ed ogni giorno la situazione peggiora per le richieste pressanti del commissario ai rifiuti, che si vede costretto a pretendere, più di un mitologico mostro famelico, il sacrificio di sempre nuove aree per stipare le ecoballe in attesa di una soluzione futura.

Sono ogni mese 40.000 metri quadrati di terreno pianeggiante per far stazionare i rifiuti, una superficie equivalente a cinque stadi San Paolo messi assieme.
E’ una soluzione economica se la discarica è posta vicino ai luoghi di produzione dei rifiuti, tenuto conto che raccolta e trasporto incidono generalmente per il 75% della spesa. Naturalmente si parla di contenitori che rispettino le norme di sicurezza previste dalla legge, oggi molto severe, altrimenti la proporzione dei costi è ben diversa. I cinque sesti dell’immondizia raccolta in Italia negli ultimi anni è finita nelle discariche a cielo aperto, oramai quasi tutte stracolme ed esaurite.

Il pericolo maggiore di una discarica è costituito dalla circostanza che i rifiuti restino attivi per oltre trenta anni, dando luogo, per la decomposizione anaerobica, verso l’alto a numerosi biogas, che, se non raccolti, si diffondono nell’atmosfera e verso il basso ad un liquame (percolato), che può contaminare non solo il terreno, ma anche le falde acquifere. Alcuni tecnici più pessimisti hanno addirittura ipotizzato che questo pericolo possa manifestarsi per un periodo ben più ampio dei decenni.

L’emissione di gas pericolosi nell’atmosfera è molto più alto per le discariche del secondo e terzo tipo e si tratta di sostanze  che interferiscono nei cambiamenti climatici ed aumentano l’effetto serra del pianeta, in stridente contrasto alle indicazioni del protocollo di Kyoto, per cui è assolutamente necessario l’uso di sistemi di captazione di tali gas, non utilizzabili, a differenza del metano, che può essere tranquillamente adoperato.
In una discarica normale non sono ammessi i rifiuti liquidi, infiammabili, esplosivi ed ossidanti, provenienti da cliniche o ospedali infettivi, i pneumatici, salvo alcune eccezioni e tutte le sostanze potenzialmente pericolose. Per tutti questi rifiuti esistono, anche se in numero insufficiente, impianti particolari, dove confluiscono anche le cospicue quantità di ceneri tossiche prodotte nei termovalorrizzatori, che rappresentano circa il 30% della massa sottoposta al trattamento.

Per  contenere le emissioni nocive e limitare i pericoli gli impianti a regola devono essere costruiti con delle barriere di vari materiali per isolare i rifiuti dal terreno e debbono poter assorbire tutti i gas biologici. Una volta raggiunto il limite di capienza la struttura deve essere ricoperta, sigillata e rimanere in osservazione per almeno 30 anni, mentre l’area non può essere utilizzata, a differenza di tante discariche in Campania, dove sulla superficie si sono costruite villette ed appartamenti con negozi.

Il decreto Ronchi del ’97 prevedeva la sostituzione delle discariche con impianti di smaltimento, che avrebbero dovuto favorire il contenimento dei rifiuti, la raccolta differenziata ed il recupero energetico.
Bisogna però necessariamente dividere la spazzatura a monte, educando e convincendo la popolazione a collaborare o a valle, utilizzando costosi impianti di vagliatura, in grado di separare la parte umida dalla parte secca. Con questo trattamento è possibile produrre fertilizzanti (compost) e riciclare carta, vetro e metalli, oltre ad estrarre biogas. Purtroppo l’interregno tra la chiusura delle discariche e la costruzione dei nuovi impianti in Campania è stata particolarmente sofferta ed ha aggravato la cronica e già grave emergenza, per cui è stato necessario riaprire discariche sature, prevedere siti di stoccaggio temporanei, col rischio che da noi il concetto del tempo è estremamente variabile e creare un numero spaventoso di ecoballe in attesa di un futuro migliore, contenitori compressi che costituiscono delle potenziali bombe tossiche, per la presenza di materiale umido soggetto a fenomeni di putrefazione con relativo aumento volumetrico.

I termovalorizzatori

Un termovalorizzatore è costituito da un alto forno che, attraverso la combustione  dei rifiuti, ne riduce notevolmente il volume, permettendo nello stesso tempo un recupero energetico per scaldare del vapore da utilizzare per riscaldamento o per produrre energia elettrica da fornire al gestore della rete nazionale.

La prima proprietà è molto utile perchè può concorrere ad abbattere notevolmente i danni all’ambiente provocati dai normali impianti cittadini di riscaldamento, che a volte costituiscono, dove il clima è particolarmente rigido, il 50% dell’inquinamento. Per quel che riguarda l’energia elettrica prodotta, bisogna tener conto che il vantaggio per il gestore dell’impianto è superiore a quello della collettività, perchè l’elettricità è pagata ad un prezzo politico, tre volte superiore, di cui si fanno carico i contribuenti.

I termovalorizzatori sono conosciuti in tutto il mondo come inceneritori, ma da noi si preferisce questa terminologia più soft, con la speranza che l’impatto psicologico con le popolazioni limitrofe alle zone dove vengono localizzati sia più morbido. Si cerca di presentare infatti questi impianti come qualcosa che trasforma la spazzatura in energia, togliendola nello stesso tempo dalla circolazione, senza inquinamento e residui di alcun genere, la favola del fuoco famelico che si mangia tutta l’immondizia. Naturalmente in natura nulla si crea e nulla si distrugge, per cui una parte dei rifiuti attraverso la combustione viene immessa nell’atmosfera sotto forma di gas, una parte, modesta, si trasforma in energia ed una parte, 30% di peso e 10% di volume, residua come cenere, che necessita di essere smaltita in discariche speciali.

Il primo inceneritore, denominato destructor, venne realizzato nei primi anni dell’Ottocento a Manchester, in seguito trovarono utilizzo in Germania ad Amburgo, mentre i primi due ad essere costruiti negli Stati Uniti furono realizzati nel 1905 e prevedevano la produzione di energia elettrica ed il riscaldamento di tutti gli edifici adiacenti.

Negli anni passati, per la bassa tecnologia, erano strutture altamente inquinanti, mentre oggi quelli dotati delle più avanzate metodiche di abbattimento, sono in grado di ridurre, ma non di eliminare del tutto, i prodotti nocivi della combustione.

Un po’ come è capitato per le automobili, alle quali è stata dedicata attenzione da parte delle case produttrici in tema di diminuzione dei gas di scarico. Oggi infatti non possiamo certo paragonare una scorreggiante Balilla, dal fetido tubo di scappamento, ad una moderna Bwv ultimo tipo, dalla marmitta catalitica, in grado di emettere ad ogni accellerazione spruzzi e sprazzi di afrore paradisiaco, da rammentarci l’eccitante ebbrezza dello Chanel n.5.
11/10/2006
  
FOTO GALLERY
ImpermeabilizzazioneMappa dislocazione discaricheDiscarica a cielo aperto
RICERCA ARTICOLI