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La favola di Maradona
La sua storia a puntate - 33
di Mimmo Carratelli
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Ma la ricordi, pibe, quella domenica dell’anticipo della felicità totale, il 26 aprile 1987 al “San Paolo”, quando cantavamo “Vinceremo, vinceremo il tricolore”, un ritmo inesorabile e una gioia incontenibile? Il Milan, appena passato dal barone Liedholm a Capello, con Maldini, Wilkins, il povero Di Bartolomei e Virdis, tentava di imprigionarci con la ragnatela a zona, e Filippo Galli era la tua ombra. Ansia e sofferenza, gol di Carnevale su papera di Nuciari, felicità, si apre la porta della vittoria.
Grandissimo Giordano, re degli assist. Quanti ne ha fatti, Bruno, per portare lo scudetto a Napoli? Tanti, tantissimi. E’ il tuo scudiero fedele, il partner che ti esalta, vi guardate negli occhi e scatta l’intesa, passaggi filanti, colpi a sorpresa. E’ Bruno che ti apre la strada del gol per il raddoppio. Addomestichi il pallone, sfuggi a Filippo Galli e al suo caschetto e dribbli Nuciari in uscita. Quasi dalla linea di fondo inviti la palla ad adagiarsi in rete. Dedichi il gol a Dalmita. Non segnavi da sette domeniche. Finisce 2-1 e dai un taglio alle voci sulla dolce vita. L’Inter perde ad Ascoli e si allontana a tre punti. A casa un gruppo di tifosi ti invia l’omaggio di una grande coppa di cristallo piena di confetti azzurri per il Napoli, rosa per Dalmita.
Un passettino (1-1) nel nubifragio di Como e arriva il 10 maggio. Il “San Paolo” è gonfio di passione. Siamo in 90mila e, fuori, c’è una città in attesa. C’è la Fiorentina di Baggio, Antognoni e Diaz. Non è ancora scudetto, ma sulle due curve calano due immensi teloni azzurri col tricolore. Non è ancora scudetto, ma ci sono 132 striscioni sugli spalti che “parlano” di scudetto. E, in città, tutti gli artigiani di Napoli sono al lavoro per dipingere vie, piazze e palazzi d’azzurro, per dipingere giganteschi scudetti sull’asfalto di cento strade, mentre si preparano banchetti all’aperto e striscioni sono pronti ad essere stesi dappertutto, da balcone a balcone. Gli artigiani, improvvisati e professionisti, hanno lavorato tutta la notte per preparare bandiere, sciarpe, poster, gigantografie, torte, ciondoli, orologi e mille altri oggetti con lo scudetto. Dalle Filippine sono arrivati ventimila “Gennarì” di plastica con lo scudetto. E’ la nuova mascotte del Napoli, costo diecimila lire.
La partita è una gioia dolorosa. L’Inter è a tre punti e gioca a Bergamo. Battere la Fiorentina, a due giornate dal termine, vorrebbe dire scudetto al sicuro. L’arcobaleno di una tua punizione scompare oltre la porta toscana. Facci sognare, pibe, che siamo alla fine. Slalom, piroetta e pallonetto mentre t’accerchiano in quattro. Abbiamo il cuore in gola. L’attesa è pesante, gonfia di paura.
Due boati consecutivi scuotono lo stadio. Finalmente. Il prodigio si sta avverando. Segna Carnevale e, sette minuti dopo, sul display in cima alla curva A appare il risultato di Bergamo. L’Inter perde e si allontana.
Può essere così bella questa domenica? La felicità, a Napoli, è sempre molto complicata. Bisogna soffrire molto per essere poi felici. In amore, allo stadio, nella vita. Deve essere sofferta questa penultima partita, non saremmo a Napoli se non fosse così. In campo avete la stessa nostra angoscia e la magica punizione di Baggio nella rete di Garella (1-1) è la conferma che tocca soffrire. Molto e sino alla fine.
Il secondo tempo è una partita in trance. In campo e sugli spalti. Schiacciati sotto il peso insopportabile di una gioia troppo grande, vicina, possibile, strameritata, ma ancora incerta, che può sfuggirci. La Fiorentina sembra rispettare la nostra angoscia, governa il pareggio in letizia. Non provoca. E tu, pibe, che cosa fai, che cosa fanno gli azzurri? Paralizzati.
Il tempo non passa mai. Resiste il pareggio e resiste la sconfitta dell’Inter a Bergamo. A tre minuti dalla fine, l’addetto al display dello stadio non ne può più. Rilancia in anticipo il messaggio luminoso e definitivo della sconfitta dell’Inter e accende subito dopo il messaggio grande, lampeggiante, irresistibile preparato nell’attesa spasmodica che tutto finisse: “Napoli campione d’Italia 86-87”.
L’arbitro Pairetto fischia la fine. In campo, avete occhi pazzi e increduli. Sugli spalti è un abbraccio generale, lacrime, entusiasmo finalmente liberato. Scoppiano i petardi. Il “San Paolo” è tutto azzurro, è tutto un tricolore. Trascini la squadra sotto la tribuna dove c’è Claudia, rientrata da Buenos Aires con Dalmita, dove ci sono papà Chitoro, tua sorella Maria, i genitori di Claudia, i tuoi tre cognati.
In campo, nella folla dei duecento fotografi, dei carabinieri, dei poliziotti, degli inservienti e di alcuni fortunati invasori ci sei e non ci sei, appari, scompari, la maglie azzurre sommerse, poi la fuga negli spogliatoi, stentata, difficile nella ressa.
C’è un dono singolare che ti aspetta nello spogliatoio. E’ lo smoking che tua sorella Maria ti ha portato a Soccavo prima della partita perché tu lo indossassi a partita finita.
E, intanto, la città, se potessi vederla, è tutta uno scudetto.
Continua
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