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La favola di Maradona
La sua storia a puntate - 34
di Mimmo Carratelli
San Gennarmando (foto tratta dal sito: www.vivadiego.com)
Sarà che la prima volta non si scorda mai, ma questa domenica di maggio, il 10 maggio 1987, resterà unica, irripetibile, indimenticabile. La domenica del primo scudetto del Napoli.

Te la racconto, pibe, questa domenica speciale dalla sera all’alba che non hai visto perché eri nello spogliatoio a festeggiare con la squadra, bagnato di lacrime e di champagne, perché, se mai fossi uscito la sera a vedere Napoli, ti avrebbero trascinato per cento strade, rapito in mille case, offerto ragazze e bambini da baciare, e vecchi da consolare, baciato e strapazzato, sommerso di doni ingenui e rimpinzato di cozze e mozzarella. Perché, campione del mondo e d’Italia, sei diventato il re scugnizzo di questa città fantastica che ha riconquistato improvvisamente la felicità.

Con una fantasia unica e originale, con una tempestività sorprendente, con un dispiegamento di colori e teloni, i napoletani d’ogni ceto e quartiere hanno trasformato il paese del sole nel paese dello scudetto. Lo stadio si è svuotato, la città s’è affollata. Scoppia di folla, percorsa da cortei. C’è gente in strada e nelle piazze, dovunque. Nei vicoli e nei fondaci. Ai balconi e alle finestre. E’ tutto un addobbo di striscioni e bandiere, le strade e le piazze sono state fulmineamente dipinte di azzurro. Nei quartieri popolari si banchetta all’aperto. Ci sono caroselli di auto dappertutto, auto azzurre con lo scudetto sul cofano. Via Caracciolo è una fiumana di auto dipinte d’azzurro. E’ festa a Mergellina e al Vomero. E’ festa grande alla Sanità, a Forcella, ai Quartieri Spagnoli dove è la festa più bella, festa di popolo.

Industriali e commercianti improvvisati hanno prodotto e vendono coccarde, sciarpe, cappellini, pupazzi, palloncini, distintivi, orologi, cravatte, portachiavi, trombe, tamburi, tappi, bottiglie di spumante, torte, poster giganteschi, bengala, botti , magliette col tuo nome, parasoli, t-shirt, camicioni, lampadine e candele, barattoli di bevande. Tutto colorato di azzurro, lo scudetto sugli oggetti e sulle facce della gente, facce dipinte d’azzurro. Se ne vedono a migliaia. Il business spontaneo frutta venti miliardi di lire. Gioia e ricchezza.

Ai Quartieri Spagnoli una fabbrica improvvisata, e subito scomparsa, ha prodotto centinaia di teloni giganteschi coi quali sono avvolte molte facciate di palazzi. E’ un bagno generale nelle fontane. Pittori di strada hanno dipinto la tua gigantografia su marciapiedi e vie. Pittori acrobatici si sono issati sui muri delle case per dipingerti a grandezza smisurata. Su un palazzo di cinque piani, sei grande cinque piani e il pittore ha lasciato appena lo spazio a una finestra che sbuca sul tuo petto. Ai decumani, il dio del Nilo è ammantato di azzurro e, in testa, ha una gran tuba azzurra col tricolore. La statua di Nettuno è stata vestita con maglietta e pantaloncini della squadra del nostro cuore e, sul tridente, issa un grande scudetto. La statua di Dante ha uno scudetto al braccio e un pallone sul piede sinistro. C’è un ironico corteo di bare con i colori di tutte le squadre del campionato. E’ un entusiasmo vertiginoso. In cima all’altoforno numero 4 dell’Italsider, a Bagnoli, a 120 metri dal suolo, sventola una bandiera azzurra con lo scudetto.

Vuoi sapere altro, Dieguito? I lavoratori del San Carlo hanno appeso uno striscione sulla facciata del teatro: “Azzurri siete la decima di Beethoven”. In un vicolo hanno teso questo striscione: “Meglio uno scudetto da leoni che 22 da Agnelli”. Da balcone a balcone gli striscioni sono mille con scritte indimenticabili. “Comm’è bella ‘sta nuttata, si è ‘nu suonno nun me scetate”. “E me diciste sì ‘na sera ‘e maggio”. “Scusate il ritardo”. Aspettavamo lo scudetto da sessant’anni. Lo striscione dei tassisti dice: “Io lavoro e penso a te”. Sul muro del cimitero appare questa scritta: “E non sanno che se so’ perso”. Appaiono le immagini di San Gennarmando con questa poesiola:
“San Gennà, non ti crucciare /
tu lo sai, ti voglio bene, /
ma ‘na finta ‘e Maradona /
squaglia ‘o sanghe dint’’e vvene”.

La gente canta: “O mama, mama, mama, sai perché mi batte il corazòn? Ho visto Maradona, ho visto Maradona e, mammà, innamorato son”.

Sgorgano poesie, motti, canzoni e parodie di canzoni napoletane:
“E pe’ fa chistu scudetto /
vuò sapè comme facette /
s’è accattate Maradona /
ha futtuto Berlusconi /
Bagni, Renica e Garella /
pe’ te fa ‘sta squadra bella”.

Il presidente Ferlaino fa una confessione bugiarda: “Ho deciso di lasciare la presidenza. E’ una scommessa che feci con me stesso diciott’anni fa. Al Napoli ho sacrificato la mia vita. Metterò un professionista al mio posto”. Da Firenze, dove vive la sua malinconica degenza dopo l’ictus, Italo Allodi fa pervenire i suoi auguri commossi. Ha contribuito molto a creare questo successo, ma già nessuno si ricorda di lui. Così va il mondo, pibe.

A mezzanotte i fuochi artificiali illuminano il golfo. La festa dura sino all’alba. Il giorno dopo, la città è straordinariamente pulita e ordinata. Negli uffici, l’assenteismo cala addirittura dal 15 al 10 per cento. Chi aspettava la Napoli dei pazzarielli, il caos, l’entusiasmo balordo, per criticare e condannare come sempre, resta deluso. Della festa, e per lungo tempo, restano le strade e i palazzi dipinti di azzurro, gli scudetti giganteschi dipinti ovunque, un’euforia pacata, una gioia misurata.

Ma dietro la festa, dietro la gioia, si allungano ombre.
8/9/2004
  
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