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Cultura
Ciao Scarpetta - secondo me
Ricordo di un genio comico a cinque anni dalla sua scomparsa
di Emanuela Cicoira
Io, Scarpetta – Mario, pronipote del celebre commediografo e attore Eduardo, nipote del pure noto Vincenzo, nonché parente del trio De Filippo, cugino di Luca e Luigi… chi più ne ha più ne metta – lo vidi recitare tre volte, tra il 2001 e il 2003. Dal vivo, s’intende; senza contare i film in cui nel frattempo lo avevo messo a fuoco ("Sabato, domenica e lunedì", "’O tuon ’e marz", "La patata bollente"…).

In principio fu "Aspettando Godot", teatro Mercadante, stagione 2001-2002, con Luca De Filippo e Gianfelice Imparato: vestiva i panni extralarghi di Vladimiro, contaminava l’assurdo con una comicità stralunata di stampo vesuviano, e navigava in degna comitiva nello stazionario tempo non-tempo della beckettiana attesa, giocando con un sole, una luna, un albero di carta colorata su una scenografia raffigurante un foglio bianco a quadretti.

Qualche anno dopo mi ritrovai casualmente davanti a un manifestino che annunciava lo spettacolo "’Na Santarella" al castello Macchiaroli di Teggiano, dove l’erede della prestigiosa dinastia teatrale partenopea faceva tappa con un ciclo estivo di commedie, la “Scarpettiana”, naturalmente dedicato al bisnonno, di cui ricorreva il centocinquantenario della nascita. Ci andai, lo riconobbi, mi divertii. Anzi, fu veramente una valle di lacrime (da risate)!...

Le terza volta capitò nella stessa estate dopo numero di giorni dieci, se ben ricordo. Andai al mare a Sapri e lui era lì, stavolta con l’allestimento di "Sogno di una notte di mezza sbornia", non troppo noto testo del prozio Eduardo De Filippo.

La prima volta pensai che era un bravo attore; la seconda… non ebbi il tempo di pensare (ridevo troppo); la terza mi venne in mente una frase che Pirandello disse a un’attrice con cui pare avesse avuto una lite: che le mancava la cosiddetta “carrettella”, vale a dire la capacità di coinvolgere il pubblico.

Ecco, mutuando l’appena citata e più che pittoresca espressione pirandelliana, consona, seppure formulata per un altro contesto, da spettatrice direi che Mario Scarpetta pilotava una “carrettella” più sontuosa della carrozza magica di Cenerentola.

Mario Scarpetta era un comico, non ci sono dubbi. La versatilità scenica di Eduardo e di suo figlio Luca; l’ambivalenza tragicomica di certe performances del Maestro, e la malinconia triste che faceva come da sfondo del desktop sul monitor di un teatro comico solo in superficie – quella per cui, tanto per capirci, a Lucariello alla fine piace “’o presepio”–  Mario attore non la possedeva. O, semplicemente, non la esprimeva. Perché, come ebbe a dire Lina Wertmüller, che lo aveva diretto in diversi film, lui era della pasta di Peppino, e nel suo talento una vis comica innata, spontanea e popolaresca, sbaragliava ogni altra sfumatura.

Mario Scarpetta si divertiva, recitando. Era naturale e gioioso, esilarante e vivace. Aveva una voce calda e una risata fragorosa. Grazie al suo senso dei ritmi scenici, grazie al suo spiccato tempismo drammatico – mica Eduardo (“Iss”, con la “I” maiuscola) glielo chiedeva, sennò, di entrare a far parte della sua compagnia! – tu già ridevi prima che pronunciasse la battuta; te la annunciava un gesto, una scena, la mimica.

Scarpetta recitava divertendosi. Quasi non recitava, finivi col pensare.

Da Napoli e dalle sue origini non prescindeva (e come avrebbe potuto? con quella faccia, con quella sagoma, le phisique du rôle di tradizione ce l’aveva tutto…). Amava certe figure caricaturali e bislacche del teatro del bisnonno, e le caratterizzava al massimo, velandole audacemente di grottesco cinismo. Si trovava bene nei panni del tontolone ingenuotto alla Mimì Cardillo; in quelli del pulcinellesco don Felice Sciosciammocca anche meglio. Ma era un attore poliedrico: Beckett, Zòscenko, Marivaux non lo intimorivano. E pensare che da giovane voleva fare il chimico...

Poi Scarpetta uscì di scena per non tornarvi. Così, quasi all’improvviso. Una lezione addolorata e commossa, a lui dedicata, del professore di Storia del Teatro all’università, me lo annunciò quando avevo da poco letto il suo nome sul programma corrente dello Stabile napoletano Mercadante. Era il 2004: cinque anni fa.

Ciao, Mario. Te ne sei andato presto, ma hai fatto in tempo a lasciare il segno.

Il tuo illustre avo Eduardo rideva nella sua villa del Vomero… Ora ridi tu. Tu pure. Nel medesimo posto dove sta da tempo anche lui (hai voglia, di spazio, lassù…). In familiare compagnia.
13/11/2009
  
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