arturo celentano architetto
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Un centro storico attualmente costituisce il risultato di una sequenza di contrasti e di trasformazioni, di tradizioni e di eredità culturali trasmesse; é già oggi, paradossalmente, il risultato di una somma di interventi di restauro. La visione, certamente fantastica, dello spazio urbano ad una certa data storica é demandata esclusivamente al sogno personale, a quello della mano di dotati artisti e alle ricostruzioni elettroniche su video di operatori della realtà virtuale. In qualsiasi epoca, successiva alla fondazione, la maglia architettonica e paesaggistica di ogni città era costituita da un insieme di elementi già storicizzati e da altri dichiaratamente moderni, realizzati in spazi liberi o in sostituzione di fabbriche, storicizzate o meno, che per vari motivi erano giunte al termine del loro ciclo vitale. La situazione che abbiamo davanti agli occhi é efficacemente descritta da Bruno Toscano: ...Quanto ancora resta dellAquileia dei patriarchi, della Roma sistina o della Napoli dei viceré, possiamo percepirlo solo attraverso mille diaframmi, frapposti dal mutare degli usi, da processi di sostituzione violenta o di stratificazione, ma spesso anche - perché non dirlo? - dalla pretesa di abolire almeno figurativamente strati e processi (non potendosi negli usi tornare indietro). Il patrimonio storico e artistico dei nostri centri storici ha dovuto affrontare, nel corso dei secoli, innumerevoli vicissitudini e pericoli di distruzione e rapina per giungere fino a noi. Alcune di tali vicissitudini e distruzioni, sono state opera, per colmo di ironia, di alcuni uomini che invece erano, e talvolta lo sono ancora, preposti invece alla loro conservazione. Tali azioni sono state spesso condotte in tutta onestà e con solide basi scientifiche e culturali a sostegno. Purtroppo ancora oggi latto del restauro é il risultato di posizioni culturali diverse cui corrispondono contrapposte valutazioni sul concetto di restauro stesso, creando così i presupposti per scelte che divengono personali o strettamente legate ad una corrente di pensiero. La critica contemporanea non é ancora in grado di proporre risposte, valide in assoluto per tutti e per sempre, a problemi come quelli che abbiamo fin qui enunciato, e lapproccio corrente allintervento sul tessuto storico é quello di un pressoché totale immobilismo, dove il divieto é la prescrizione imperante, in netto contrasto con lessenza del centro storico, summa di atti evidentemente dinamici. Tale crisi é ben evidenziata da Francesco La Regina: Qualé dunque loggetto della conservazione? Perché e cosa restaurare? Il disagio della moderna cultura del restauro non é soltanto un aspetto settoriale, seppur altamente significativo, della più generale crisi dellarchitettura moderna e del suo statuto funzionalista. Tale disagio si inscrive in realtà nel quadro di crisi profonda della moderna ragione storica, che allinsegna della razionalità organizzata si era illusa di poter celebrare lapoteosi del capitalismo in una marcia trionfale ove il negativo é il vero scandalo da reprimere, la vera vergogna da rimuovere, per procedere come il movimento cieco di un ingranaggio teso a conservare e rinsaldare solo se stesso. Giustamente il Brandi enunciava contro le metodologie di restauro a lui coeve dichiarando che il restauro costituisce il momento metodologico del riconoscimento dellopera darte, nella sua consistenza fisica e nella sua duplice polarità estetica e storica, in vista della sua trasmissione al futuro, e che esso deve mirare ristabilimento dellunità potenziale dellopera darte, purché ciò sia possibile senza commettere un falso artistico o un falso storico, e senza cancellare ogni traccia del passaggio dellopera darte nel tempo. Questi principi sono stati sviluppati nellintento di creare una guida che in qualche modo segnasse i limiti di una attività che sembrava, nelle sue metodologie, non averne affatto. Le azioni concrete di restauro effettuate sulla base degli enunciati del Brandi e la maturazione delle metodologie provocate dalle discussioni della critica negli anni successivi alla pubblicazione dei suoi scritti, hanno portato alla redazione della Carta del Restauro del 1972, strumento senzaltro valido di programmazione, al quale può soltanto ascriversi il difetto di non aver trovato sempre pronta applicazione nonostante la circolare del ministro della Pubblica Istruzione (n.117 del 6 aprile 1972) facesse obbligo a tutti i soprintendenti di attenersi strettamente alle norme in esso contenute. E da auspicare, nel prossimo futuro, un atteggiamento più sereno e disponibile nei confronti di un normale operare allinterno dei nostri centri storici, consentendo da un lato di uscire dallattuale tentativo di cristallizzazione della odierna morfologia della città antica e dallaltra di bloccare le operazioni speculative fuorilegge e permettendo contemporaneamente la ripresa di una necessaria e corretta edilizia da realizzarsi entro i limiti di una normativa coerente. E ormai evidente che la politica dei divieti, premia esclusivamente le opere di abuso che sono le uniche ancora in corso nei centri storici, se vogliamo eccettuare i lavori di restauro concernenti opere ridotte in condizione tali da non consentire ulteriori dilazioni. La ripresa del lavoro dei professionisti, dove la figura dellarchitetto responsabile dovrebbe essere imprescindibile, a progettare nel centro storico sia opere di nuova architettura che di corretti restauri o consolidamenti é, al momento, la sola strada onesta da intraprendere, dove i rapporti con gli organismi di controllo, Soprintendenze in special modo, abbiano uno svolgimento sereno, chiaro e regolato da norme finalizzate al raggiungimento di un risultato che non proclami vincitori ma premi piuttosto le istanze della città e dei cittadini, che di queste sono la parte concreta e vitale. Troppo spesso i cittadini, al contrario, vengono considerati come comparse di uno scenario appartenente ad un teatro di proprietà esclusiva, ora delle Soprintendenze, ora della cultura, ora dei professionisti, quasi sempre degli speculatori e mai di chi, come gli abitanti stessi, ne giustifica lesistenza rendendolo vivo e pregno di valenze semantiche e culturali proprie di ciascuna originale comunità. E con lausilio della attuale cultura e della moderna scienza, che si ha oggi loccasione di riprendere ad operare nel centro antico senza complessi di inferiorità, senza smanie di modernismo, senza mimetismi e senza aggressioni, rendendo in tal modo nuovamente vivo e vitale quello che, per un periodo di tempo anche troppo lungo, si é voluto ridurre ad un museo, ad uno spazio archeologico, ad un mero simulacro della propria essenza, ad uno spazio destinato a spogliarsi di tutte le umane attività: commerciali, artistiche, culturali e ludiche; e dopo di queste anche della consistenza materica che con tanto impegno si voleva conservare, ma con la quale, in realtà, non sappiamo confrontarci, rapportarci né tantomeno convivere. E salvando queste umane attività: abitare, commerciare, studiare, giocare, lavorare, amare ecc., che si consentirà la rivitalizzazione del centro storico, e queste attività richiedono spazi dinamici in cui potersi realizzare presentando istanze che necessitano di risposte concrete e mirate e non soltanto una serie di ostacoli e di divieti. Rivitalizzare in tal modo i centri storici, inoltre, non impone alcun freno alla critica architettonica, che dovrà agire da stimolo e da guida per gli operatori professionali, consentendo però quel libero operare che é stato proprio di ogni epoca e che, anche con errori e talune lacerazioni che oggi si condannano, ha regalato opere di immenso valore che in altra maniera non sarebbero mai state realizzate. |
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