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Fin dalla nascita del Cristianesimo, un particolare sentimento ha spinto uomini profondamente religiosi ad abbandonare per sempre il mondo, per dedicarsi integralmente ad una vita di preghiera e penitenza da svolgersi in un deserto, definito tale sia dal punto di vista figurativo che da quello sostanziale.
Distinguiamo in questa scelta di vita atteggiamenti diversi: quello eremitico, cioè di coloro i quali vivono la loro vita in solitudine, sotto una regola o anche isolatamente senza una organizzazione centrale e quello cenobitico che è proprio di quei monaci che vivono in comune sotto una regola ben determinata. Tra le fondazioni eremitiche nate tra il IX e l'XI secolo troviamo quelle dell'ordine camaldolese e quella certosina, che rappresenta un particolare punto di incontro tra aspirazione eremitica e la vita cenobitica.
Il fondatore dell'Ordine Certosino è S.Bruno che nel 1084 si ritirò con alcuni compagni in un luogo deserto chiamato Chartreuse, con l'intento di restituire alla vita contemplativa lo splendore della sua primitiva purezza. Richiamato a Roma dal papa Urbano II, fu costretto a fuggire in Calabria insieme a tutti i componenti della Curia quando la capitale venne occupata dall'imperatore Enrico IV e dall'antipapa Guiberto. In seguito S.Bruno venne eletto arcivescovo di Reggio Calabria, ma ben presto rinunciò alla carica chiedendo di essere restituito alla vita contemplativa. Urbano II acconsentì all'unica condizione che il luogo deputato a tale vita fosse S.Maria della Torre, sull'altipiano delle Serre in Calabria. Qui S.Bruno trascorse una decina d'anni con alcuni confratelli religiosi fino alla morte che sopraggiunse nel 1101.
Per una adeguata comprensione della particolare vita del monaco certosino è opportuno tenere presente tre caratteristiche che contraddistinguono la vita quotidiana certosina da altre vite monastiche come descritto dal Dom. Gabriele Maria Lorenzi:
"La prima nota caratteristica è una armoniosa fusione tra vita eremitica e vita cenobitica, che ha assicurato vitalità e lunga esistenza al nostro Ordine, e permette anche di ammettere all'austera vita eremitica soggetti in giovanile età, da venti anni in su.
La seconda nota è la particolare struttura architettonica delle certose, che non solo differenzia nettamente il monastero certosino dagli altri monasteri, ma esercita anche un influsso sullo svolgimento della vita quotidiana del certosino.
La terza caratteristica è la presenza, nell'Ordine Certosino, dei Fratelli conversi. Questa categoria di monaci, benché esistente nella Chiesa già prima della fondazione certosina, assume però, per la sua vocazione di vita solitaria individuale e di gruppo e per la dimensione contemplativa, un carattere tutto particolare che le fa esercitare un influsso speciale sull'equilibrio di tutta la vita certosina e, in particolare, di quella dei monaci del chiostro."
"Il fine del certosino è quello di applicarsi ad una vita di continua preghiera , di adorazione, di lode e di intercessione, in un austero clima di solitudine e di penitenza, per produrre abbondanti frutti di santità a gloria di Dio e a salvezza dell'umanità."
La vita del certosino è caratterizzata dall'amore, sentimento che deve necessariamente estendersi a tutte le opere di Dio e quindi alla natura e all'arte che è figlia della natura. Per questo motivo al certosino, nonostante la scelta eremitica, è consentita, anzi raccomandata una evasione settimanale nel mondo esterno alla Certosa a contatto con la natura.
Riportiamo la descrizione del paesaggio delle Serre fatta dal fondatore dei certosini: "come parlare adeguatamente del luogo della mitezza e salubrità del clima o dell'ampia e bella pianura che si estende lontano tra i monti e racchiude praterie verdeggianti e pascoli smaltati di fiori? Come descrivere l'aspetto delle colline che dolcemente si elevano all'intorno e il recesso delle valli ombrose con l'incanto dei numerosi fiumi, dei ruscelli e delle fonti?... In tali spettacoli della natura, il contemplativo, sotto il peso della Regola, piuttosto austera, trova assai spesso sollievo e respiro".
Incorporato alla cella del certosino, è sempre presente un giardinetto, che il certosino coltiva personalmente con amore e talora con arte: il monaco ha così la possibilità di vivere quotidianamente a contatto con la natura appagando da un lato le esigenze economiche dettate dalla volontà di non operare la questua e dall'altra quelle puramente estetiche e spirituali di comunione con la natura quale opera del Creatore.
I monasteri degli eremiti e quindi dei certosini, con la chiusura verso il mondo esterno definiscono la nascita del giardino claustrale che viene caratterizzato principalmente come orto produttivo, indispensabile per la sopravvivenza dei monaci.
Tale finalità si evolverà gradualmente nel corso dei secoli per assumere caratteristiche sempre meno materialistiche e sempre più spirituali.
Con il cristianesimo nasce una vera e propria teologia del giardino, che raggiunge il suo punto più alto nel Medioevo, come riferisce Massimo Venturi Ferriolo: "Si tratta di un percorso dove l'esempio certosino costituisce forse l'aspetto inconsciamente più alto, oltreché singolare del giardino cristiano."
E' indubbio che parallelamente all'aspetto meramente utilitaristico delle aree a verde delle Certose fosse presente sin dalla nascita anche un cosciente sentimento estetico-religioso. Questo per un duplice motivo: da un lato il livello culturale elevato dei monaci certosini che certo contribuì alla trasfigurazione delle motivazioni prettamente utilitaristiche in quelle spirituali, e dall'altro la scelta stessa dei luoghi deputati al ritiro che sono notevolmente caratterizzati sotto l'aspetto naturalistico per favorire l'ispirazione di sentimenti ascetici.
Nel tempo la volontà di realizzare luoghi in cui ricreare situazioni duali di naturalità e trascendenza divenne certamente più consapevole e determinata. Nella letteratura quattrocentesca troviamo documentate le conferme della spinta allegorica che accompagnava le realizzazioni dei giardini con le relative teorizzazioni.
Gli spazi aperti vengono suddivisi con i diversi ruoli: giardino claustrale, giardini delle celle dei certosini e aree a parco intorno la Certosa.
Gli orti e i giardini della Certosa sono strutturati in maniera da ottemperare ai fattori climatici e ambientali del sito e alle specifiche esigenze della struttura del monastero. Generalmente troviamo all'esterno del recinto claustrale le coltivazioni agricole e il desertum; all'interno il nucleo eremitico con il chiostro grande, il nucleo cenobitico con più chiostri piccoli ed infine i giardini delle celle e il giardino del Priore.
Questa suddivisione del verde rispecchia l'ordine di vita che i certosini si erano imposti: -la vita di relazione con l'esterno, che è anche il mondo dei conversi che si occupano delle coltivazioni destinate alla sussistenza del monastero e quelle dedicate alle spezie distribuite anche al mondo esterno fornendo continuità a un seppur minimo contatto sociale, -la vita eremitica, che si svolge nel chiostro grande, nelle celle e nei giardini dei monaci, -la vita cenobitica, che si svolge nei chiostri più piccoli e negli spazi interni dell'organismo della Certosa.
Alla fine del XIV secolo, quando le Certose, per le mutate condizioni storiche, si aprono verso il territorio, il giardino claustrale è già divenuto uno spazio pregno di allegorismo simbolico.
Tale allegorismo parte dalla lettura dell'Antico Testamento punto di riferimento intellettuale del monachesimo sia eremitico che cenobitico. Attraverso lo studio delle Sacre Scritture l'eremita dava un senso al giardino reale ma anche a quello ideale.
Il giardino claustrale diviene così il luogo deputato al ritiro e alla meditazione dei certosini in qualità di componenti di una stessa comunità spirituale.
L'hortus conclusus rappresenta lo spazio deputato alle aspirazioni di una vita rivolta all'ascesi.
Il deserto è, invece, il luogo dove la Sacra Scrittura dona pace e spazio di meditazione all'eremita e di norma risulta separato dalle zone coltivate affidate ai conversi.
Gli spazi verdi alludono all'Eden, nel quale riappropriarsi spiritualmente del Paradiso Perduto e ritrovare la Primitiva Armonia nella quale l'umanità viveva prima di essere abbandonata dalla Grazia Divina. L'orto, segreto e murato a rappresentazione della sua inespugnabilità spirituale, dona alla natura la possibilità di ritrovare l'originaria purezza.
Centro geometrico e simbolico di questo processo spirituale è la posizione del pozzo, la Fons Salutis dalla quale abbeverarsi dello Spirito Santo. La fonte viene a rappresentare un altare capace di trasformare lo spazio naturale nel punto di contatto tra la comunità e la divinità.
L'isolamento completo del certosino rende il giardino di ogni cella immagine riflessa rispondente al carattere, la cultura e l'esperienza di ciascuno di essi, anche quando mostrano medesime impostazioni tipologiche e varietali.
Il giardino claustrale impiega cinque secoli per completare questo processo evolutivo che porta alla nascita della moderna arte del giardino allegorico, nella quale si esprimono le capacità di trasformazione di uno spazio aperto, attraverso regole di composizione formale, in un opera che riesca a superare il limite terreno per donare un contatto con il trascendente.
Il monaco dedito alla coltivazione del terreno, sperimenta contemporaneamente l'evoluzione della propria natura spirituale. Lo spazio del giardino della cella viene caratterizzato da un mistico simbolismo dove la maturazione dei frutti delle piante si associa a quella dei frutti dello spirito e la certezza del risveglio della natura in primavera diventa la certezza della resurrezione alla vita dopo la morte. Le piante ed i fiori divengono oggetto di profondi studi, per ottenere disposizioni formali tali da soddisfare anche complesse volontà allegoriche.
All'esplorazione del profondo io interiore, parallelamente si sperimenta l'agricoltura su nuove piante anche non indigene e con nuovi metodi. I risultati di tali ricerche venivano attivamente scambiati tra i monaci delle varie Certose.
La difficoltà di reperire fonti certe circa la conformazione dei giardini delle celle, unitamente al ruolo secondario che tale composizione assume nei confronti dell'immagine simbolica che certamente possedeva, rendono tale ricerca effimera e fine a se stessa.
D'altra parte non è esistita alcuna norma o consuetudine su come coltivare i giardini delle Certose. L'iniziativa era demandata esclusivamente al certosino che amministrava tale libertà confrontandola con le proprie esperienze introspettive. In questa scelta si inseriva, però, anche una valutazione di ordine economico in quanto la rigida autarchia di quest'ordine rifiutava la questua. Il giardino consentiva pertanto al certosino un supporto economico non trascurabile, in un'epoca ingrata in cui il deserto era proprio tale.
La norma certosina sceglie il giardino privato, parte integrante della cella, per creare i presupposti per un contatto con i profondi significati della Sacra Scrittura.
La medesima ricerca spirituale, con atteggiamento culturale del tutto diverso, era trasferita dai monaci cenobiti nel chiostro e in una esperienza di preghiera collettiva.
Le funzioni delle aree a verde vanno sottolineate insieme alla evoluzione tipica dei giardini monastici: questi erano infatti, in prevalenza giardini da cui ricavare nutrimento per il corpo e sostegno alle necessarie cure mediche. A queste finalità utilitaristiche si univano quelle spirituali legate alla simbologia di ciascun fiore, pianta o erba; è da questa simbiosi che nascono le forme e le disposizioni che ispireranno i più tardi giardini ornamentali. I fiori emblematici della tradizione monastica e certosina sono fra gli altri: il giglio detto di S.Bruno (paradisea liliastrum), il garofano (dianthus carthusianum), gli occhi della Madonna (omphalodes verna), la viola certosina identificabile con la viola calcarata, ranuncoli e anemoni.
Il chiostro diviene il punto di partenza della trasformazione dell'originaria utilità del giardino monastico. Nel chiostro nasce l'ornato e si sperimentano le tecniche compositive che fondono le antiche tradizioni alle nuove esperienze svolte sulle caratteristiche delle piante, erbe e fiori.
In epoca altomedioevale le aree a parco svolgono la funzione di separazione e difesa dai pericoli del mondo esterno e quella spirituale del Desertum, che allegoricamente è inteso come luogo di separazione dall'Eden evocato e ricreato all'interno della Certosa.
Nel Desertum il certosino ha modo di meditare circa le miserie della vita mondana rafforzando i sentimenti ispiratori della propria scelta claustrale.
Nel gioco allegorico il paradiso terrestre come immagine e prototipo del giardino spirituale, è l'hortus. La composizione dell'hortus è lontana da intenti meramente estetici, avendo come fine unico la rappresentazione biblica del luogo di delizie appartenuto ad Adamo ed Eva e a cui l'uomo tende per la riconquista.
La critica allegorica reputa raggiunta negli anni centrali del Medioevo la maturità dell'espressione del concetto di giardino, come simbiosi di elementi naturalistici e simbologia mistica.
Il giardino non è frutto esclusivo dalla fantasia del certosino, ma anche dei suggerimenti che la varietà degli elementi naturali offrono nel loro riflettere i diversi momenti delle speculazioni mistiche.
I luoghi del giardino, nelle varie interpretazioni, variano in numero e in espressione allegorica, dove forse solo l'ispirazione alla Vergine Maria rimane costante nella volontà rappresentativa.
Cristo è invece inteso come giardiniere, ordinatore universale di tutti i giardini, nei quali il monaco è chiamato a rendere concreta l'idealità del giardino.
Fonti bibliografiche:
M.De Cunzo, V.De Martini, "La Certosa di Padula", Edizioni Centro Di, Firenze, 1985
AA.VV., "Certose e Certosini", Atti del Convegno alla Certosa di S.Lorenzo a Padula, Sergio Civita Editore, settembre 1988
AA.VV., "La Certosa Ritrovata", De Luca Eizioni d'Arte, Roma, 1988
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