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1970: la staffetta Mazzola-Rivera
La storia dei Mondiali di calcio -18
di Mimmo Carratelli
Più vicino al cielo il nono campionato del mondo organizzato dal Messico. Si giocò ad altitudini vertiginose: Città di Messico 2277 metri, Puebla 2164, Toluca 2680, Guadalajara 1545, Leòn 1885. Fu come giocare sulle Alpi.

Si temettero affanni e malesseri per la rarefazione dell’aria. Molte nazionali fecero preparazioni specifiche. La Svezia realizzò cabine pressurizzate per assuefare i giocatori alle condizioni messicane. I cecoslovacchi si allenarono sui Pirenei, i bulgari sui duemila metri di Belkemen, la loro montagna, dove ospitarono i sovietici. Anche gli israeliani, per la prima volta al Mondiale, si prepararono ad alta quota: prima sul monte Hermon, poi ad Addis Abeba, infine nel Colorado. Brasile e Inghilterra sostarono a lungo in Messico prima del campionato. Italia, Germania e Belgio non usarono accorgimenti particolari, ma anticiparono l’arrivo in Messico.

C’era una grande ruggine tra sudamericani e inglesi dopo che questi ultimi, al Mondiale 1966, definirono “animals” i giocatori argentini. Successe uno strano episodio in Colombia dove la nazionale inglese fece tappa prima di raggiungere il Messico. A Bogotà, i “carabineiros” piombarono nel ritiro dei britannici e ammanettarono Bobby Moore, capitano della nazionale, trascinandolo in carcere con una disinvolta accusa di furto di un braccialetto d’oro e smeraldi in una gioielleria della capitale. Moore venne rilasciato dopo il versamento di una pesante cauzione. In segno di solidarietà, Pelè andò a stringergli la mano a Guadalajara prima del torneo.

L’Italia trovò una esigua schiera di tifosi. Solo duecento dei duemila italiani che vivevano in Messico si mobilitarono al seguito della squadra azzurra guidati dal cagliaritano Ottavio Mulas e dal livornese Egidio Beghe residenti nella capitale messicana. Trecento italiani giunsero da New York, duecento dal Canada e altrettanti dai Paesi dell’America latina. Dall’Italia partì un centinaio di sostenitori.

Il più popolare giocatore azzurro era Gigi Riva. Con i suoi gol teneva in piedi una nazionale poco convincente e ricca dei soliti veleni. I giornali messicani lo chiamarono “el emperador”. Un settimanale di Città di Messico pubblicò un grande fotomontaggio che ritraeva la scarpa sinistra di Riva e quella destra di Pelè sintetizzando così l’atteso duello del campionato.

Capo della spedizione azzurra fu Walter Mandelli, piemontese, presidente del Settore tecnico, proprietario di una fonderia torinese, sciatore e giocatore di golf. Nello splendido “Parco dei Principi”, l’albergo di Città di Messico dove alloggiò la nazionale italiana, toccò a Mandelli gestire la difficile coesistenza in azzurro di Mazzola e Rivera, i rivali milanesi.

Mazzola non voleva più giocare centravanti preferendo arretrare ad interno. Così diventava un doppione di Rivera. Proponendogli di giocare insieme, sia “Sandrocchio” che il golden-boy milanista rifiutarono di essere defilati all’ala con la maglia numero 7.

Nel primo provino sul campo del Club America, il commissario tecnico Ferruccio Valcareggi schierò Mazzola nell’Italia A e Rivera in quella B. Rivera esplose coi giornalisti sul muretto della piscina dell’albergo: “Mi vogliono fare fuori”. Quasi tutta la squadra stava con Mazzola. Con Rivera si schierarono Riva, Boninsegna e Rosato. Questi furono i tormentati giorni azzurri alla vigilia del campionato. Rivera dichiarò: “Spero che non siano i giornalisti a fare la formazione. E’ già successo in Cile e in Inghilterra e abbiamo rimediato due figuracce”. Rocco, chiamato precipitosamente in Messico dall’Italia, cercò di calmarlo. Mandelli decise per Mazzola rifinitore e Rivera fuori squadra.

L’Italia debuttò contro la Svezia senza Rivera. Riva fu bloccato dalla doppia marcatura di Olsson e Cronqvist e un tiraccio di Domenghini assicurò la vittoria (1-0). L’esordio di Niccolai, il “libero” del Cagliari, durò solo 37 minuti, poi un fallaccio di Kindvall lo mise fuorigioco. In Italia, il suo allenatore Scopigno commentò: “Tutto mi sarei aspettato dalla vita, ma non di vedere Niccolai via satellite”. Il difensore cagliaritano era celebre per i suoi autogol. Riva era sempre di malumore e forse a disagio con l’altitudine. Non si svegliava mai prima di mezzogiorno. Valcareggi sostituì Niccolai con Cera, che nel Cagliari giocava da laterale, e fece giocare Rosato da stopper.

Nelle prime tre partite, l’Italia rimediò la striminzita vittoria sulla Svezia e due pareggi senza gol con Uruguay e Israele. Passò il turno con quell’unica rete di Domenghini e fu definita “Cassa di risparmio”. Lo 0-0 con l’Uruguay fu il frutto di un tacito patto di non belligeranza fra le due nazionali. Contro Israele, venne annullato un gol a Domenghini su segnalazione del guardalinee etiope Torrekegn. In televisione, Nicolò Carosio lo chiamò “negraccio” in diretta e fu licenziato in tronco dalla Rai.

Per tenere calmo Rivera, il presidente della Federcalcio Franchi inventò la staffetta, escamotage che debuttò nella terza gara, contro Israele. Invocato dal pubblico, Rivera entrò nel secondo tempo e sostituì Domenghini stremato dalla sua generosità (dopo il match contro la Svezia era stato rianimato con bombole di ossigeno).

Ma la staffetta storica, quella tra Mazzola e Rivera, nacque nella partita dei quarti contro il Messico (4-1). Mazzola doveva dare tutto nel primo tempo, poi entrava Rivera. L’interista si infuriò per il cambio: “Si sapeva che Rivera sarebbe entrato nel secondo tempo, ma non era deciso che dovevo uscire io”.

In realtà, la notte precedente la partita, Mazzola era stato colto da una violenta diarrea e Valcareggi gli aveva preannunciato di tenerlo in campo solo un tempo se non si fosse sentito in forze. Se ce l’avesse fatta, allora Rivera sarebbe entrato, ma al posto di Boninsegna. Mazzola giurò di essere in perfette condizioni e di potere giocare anche la ripresa, ma fu lui ad essere sostituito. Contro il Messico Riva segnò due gol, ma continuava a soffrire per l’altitudine e per la nostalgia della sua donna cagliaritana lontana.
4/4/2006
  
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