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1966: i pomodori di Genova
La storia dei Mondiali di calcio – 16
di Mimmo Carratelli
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Sul più bello la bella nazionale di Fabbri perse la sicurezza, smarrendola lo stesso Fabbri pressato dalla stampa contraria. In Inghilterra, gli venne recapitato un foglietto inviatogli dal giornalista Gianni Brera, suo feroce oppositore, contenente suggerimenti per la formazione. Il piccolo commissario tecnico sbottò a chi gli porse il biglietto: “Lo riporti a chi l’ha mandato e che ci si spazzi il culo”. L’atmosfera nel ritiro della nazionale a Durham divenne pesante e la nazionale tesa e nervosa.
Il debutto contro il Cile riportò alla memoria le botte di Santiago, ma Burgnich fece passare a Leonel Sanchez la voglia di ripetere le aggressioni di quattro anni prima. Gli azzurri vinsero 2-0 con gol di Mazzola e Barison. Ma Fabbri si dichiarò insoddisfatto: “Se giochiamo così, andiamo subito fuori”. Furono parole che accrebbero la depressione degli azzurri nella malinconia di Durham.
Prima della seconda partita, contro l’Urss, Fabbri andò a vedere i misteriosi coreani contro il Cile. Il commissario tecnico sovietico Morozov lo avvertì: “Attenti a loro, fanno un continuo movimento”. Fabbri uscì dallo stadio in anticipo coi cileni in vantaggio 1-0 sui coreani. Nel ritiro di Durham disse agli azzurri: “Ragazzi, è fatta. Contro Urss e Corea giocheremo senza angoscia. Anche due pareggi andranno bene”. Ma i giocatori lo gelarono: “Mister, la Corea ha pareggiato col Cile, a due minuti dalla fine, dopo che lei è uscito dallo stadio”.
In ogni caso, all’Italia sarebbe proprio bastato non perdere contro Urss e Corea per andare avanti.
Contro i sovietici Fabbri tenne fuori Rivera, un cencio nella partita contro il Cile, inserì tre nuovi giocatori e dispose una squadra più difensiva. Andò male. Mazzola fallì il gol del vantaggio davanti al mitico Jascin. A Facchetti (che poi disse: “Mi tremavano le gambe”) sfuggì l’ala Cislenko che battè Albertosi con un tiro neanche irresistibile. Gli azzurri non recuperarono e rimase lo 0-1.
Le cose si complicarono, ma per rimanere in corsa era ancora sufficiente un pareggio coi coreani. Fabbri, però, era disorientato. La sconfitta contro l’Urss lasciò il segno. Il commissario tecnico era scoraggiato. Disse: “Contro i sovietici la squadra non era in grado di stare in piedi”.
Cambiò ancora formazione. Reinserì Rivera, fece giocare Fogli, ricorse ad altri due difensori interisti, Landini e Guarneri, per irrobustire le retrovie e impiegò Janich al centro della difesa, escludendo Burgnich.
La sera del 19 luglio 1966 di Italia-Corea del nord all’”Ayresome Park” di Middlesbrough, una triste cittadina sul Mare del Nord, soffiò un doppio vento contrario: pungente quello meteorologico, di paura quello dell’attesa. Il commissario tecnico coreano Myung Re Hyung annunciò con estrema sicurezza: “Batteremo l’Italia”. Il pubblico inglese fu tutto dalla parte degli outsider asiatici.
Bulgarelli non si reggeva in piedi, dolorante a un ginocchio, e l’ala Perani sbagliò tre palle-gol. Furono i primi segnali infausti. I nordcoreani erano indistinguibili, sembravano tutti uguali e correvano come matti. Per il Mondiale avevano fatto uno stage in Germania e si favoleggiò di una misteriosa bevanda che ne moltiplicava le energie. Era il ginseng, non era doping.
Andò definitivamente storto quando, alla fine del primo tempo, arrivò la mazzata dell’occasionale gol del caporale dell’esercito popolare Pak Doo Ik, che non era affatto un dentista come si disse poi. C’era tutta la ripresa per rimediare, ma l’Italia giocò in dieci perché Bulgarelli si trascinava per il dolore al ginocchio.
Non bastò un grande Rivera per pareggiare. L’Italia si arrese alla più famosa sconfitta della sua storia (0-1) e uscì dal Mondiale. Passarono il turno i coreani e i sovietici.
Fabbri sospettò un complotto contro di lui e accusò il presidente federale Franchi e il medico Fini parlando di misteriose fialette rosa che avevano “addormentato” gli azzurri. Ci fu chi disse che si trattò di tranquillanti, di quelli usati dagli astronauti per vincere l’ansia del volo. Il massaggiatore Tresoldi chiarì che si trattava di vitamine. Le accuse costarono a Fabbri l’esonero e una pesante squalifica.
La nazionale italiana rientrò nel cuore della notte a Genova per evitare le contestazioni pronte negli aeroporti di Milano e Roma. Atterrò alle 3,40 della notte tra il 21 e il 22 luglio ritardando la partenza da Londra per giungere a un’ora che scoraggiasse i tifosi ad aspettarla. Ma, a quell’ora tarda, all’aeroporto di Genova c’era ugualmente una gran folla inferocita in attesa della nazionale.
In volo venne deciso che, allo sbarco, Perani sarebbe apparso da solo sulla scaletta principale dell’aereo attirando l’attenzione della folla e prendendosene gli scontatissimi fischi, mentre il resto della squadra sarebbe scesa dalla scaletta posteriore del velivolo per fuggire su un pullman.
La folla non si fece ingannare. Fu la notte celebre dei pomodori. Un fitto lancio bersagliò il torpedone della nazionale.
Fabbri rimase sull’aereo per un’ora dopo di che, con la folla che si era allontanata, fu preso a bordo di un’auto da un parente, accompagnato sotto scorta fuori dall’aeroporto.
Valcareggi, al seguito della nazionale come collaboratore di Fabbri, aveva definito “Ridolini” i coreani dopo averli visti in allenamento. Non perché facessero ridere, precisò, ma perché erano dei giocatori frenetici.