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1962: in Cile tante stelle e molte botte
La storia dei Mondiali di calcio – 12
di Mimmo Carratelli
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Settimo campionato del mondo alla fine del mondo, dall’altra parte del continente americano, in Cile, nel 1962. Sedici nazionali in campo a Racangua sotto le Ande, a Vina del Mar in riva al Pacifico, ad Arica dove la terra trema, a Santiago nella brezza primaverile sudamericana.
Argentina, Brasile, Bulgaria, Cecoslovacchia, Colombia, Germania, Inghilterra, Italia, Jugoslavia, Messico, Spagna, Svizzera, Ungheria, Urss e Uruguay sulla linea di partenza degli ottavi di finale (4 gironi di quattro squadre, passavano le prime due di ogni girone).
Fu un campionato di tante stelle. Mai tanti assi avevano partecipato a un Mondiale. L’Urss con Jascin, portiere leggendario, Netto, Metreveli, Voronin. La Jugoslavia con Sekularac e suoi pazzi giocolieri. La Germania con Schnellinger, Haller, Szymaniak e il pelato Uwe Seeler. La Cecoslovacchia con Masopust. L’Ungheria col portiere Grosics, reduce dalla cocente delusione in Svizzera, e i nuovi Sarosi, Albert e Tichy. L’Inghilterra con Bobby Moore, Greaves e Bobby Charlton. La Spagna con Suarez, Gento e il naturalizzato colonnello ungherese Puskas. Il Brasile di Didi, Vavà, Pelè. L’Italia ci aggiunse Rivera e i suoi celebri oriundi Sivori e Maschio, italo-argentini, Altafini e Sormani, italo-brasiliani.
Tanta leggiadrìa, ma fu un campionato durissimo. I giocatori del Cile, più che il calcio, praticarono il karatè. Il deplorevole cileno Landa sferrò un calcio alla testa del mitico Jascin che ne risentì per tutto il torneo. Leonel Sanchez decimò da solo la nazionale italiana. Lo jugoslavo Mujc fracassò una gamba al sovietico Dubinski (frattura di tibia e perone) e fu rimandato a casa.
Per Santiago partì la più stravagante squadra azzurra di tutti i tempi, affidata a Paolo Mazza, presidente della Spal con la gran voglia di fare il tecnico, e a Giovanni Ferrari, ex campione del mondo e allenatore federale. Ai due la Federcalcio affiancò Helenio Herrera, allenatore dell’Inter supervincente. Ma “Habla Habla” dovette lasciare l’incarico dopo che tre suoi interisti, in campionato, erano stati beccati all’antidoping. Helenio andò ugualmente al Mondiale, allenatore della Spagna che venne eliminata al primo turno.
Con i ventidue giocatori giunti in Cile, l’Italia avrebbe potuto schierare due formazioni ugualmente competitive. Ma la “doppia squadra” provocò tensioni, rivalità e malumori. Nelle tre partite cilene scesero in campo venti azzurri: i portieri Buffon (Inter) e Mattrel (Palermo); i difensori Losi (Roma), Robotti (Fiorentina), Maldini, Salvadore, David e Radice (Milan), Janich (Bologna); i mediani Ferrini (Torino), Tumburus (Bologna); le mezzali Rivera (Milan), Maschio (Atalanta), Bulgarelli (Bologna); gli attaccanti Altafini (Milan), Sivori e Mora (Juve), Sormani (Mantova), Menichelli (Roma) e Pascutti (Bologna).
I presagi non furono buoni. Il DC8 che portò gli azzurri sul versante occidentale del Sudamerica ebbe un’avaria a un timone e dovette fermarsi per una notte a Buenos Aires. Comunque, gli azzurri furono indicati tra i favoriti insieme a Brasile e Urss.
La nazionale italiana si sistemò alla Scuola aeronautica “Capitano Alvares”, alla periferia di Santiago. Fu il castello degli equivoci e dei veleni. La stampa cilena cominciò a sparare a zero contro i quattro oriundi definendoli “traditori”. Sivori era un idolo in Sudamerica, secondo solo a Pelè.
Per il debutto contro la Germania, la strategia italiana fu quella di puntare sullo 0-0 pur schierando in attacco Rivera, Altafini e Sivori. Calcoli balordi di classifica. Sivori mancò il gol su un pallone sfuggito al portiere tedesco dopo il tiro di Rivera e fu lo 0-0 infelicemente programmato.
La successiva partita col Cile, protervo padrone di casa, diventò decisiva per andare avanti. Ma non fu una partita, fu una rissa nella quale naufragarono tutti i machiavellici programmi italiani. Per giunta, la vigilia della gara fu contrassegnata da un guazzabuglio di idee, scelte, ripensamenti, esclusioni e bugie.
Squadra rivoluzionata rispetto alla prima partita, cambiato persino il portiere, Mattrel al posto di Buffon. Fuori soprattutto i “fighetti” Rivera e Sivori. La stampa italiana difensivista pretese gladiatori al posto delle “belle gioie”. Fatti fuori anche Cesare Maldini e Radice, troppo eleganti, sostituiti dai combattivi Janich e Tumburus.
Sormani venne escluso in extremis, la notte precedente la partita, perché Altafini si esibì, in allenamento, in una serie di palleggi magici che incantarono il selezionatore Paolo Mazza e così conservò il posto a scapito del già designato “Pelè bianco”, la definizione di Angelo Benedico Sormani. Quando, nella notte, Sormani seppe dell’esclusione si sfogò in cucina divorando dodici uova al tegamino.
Pare che Mazza fosse assillato da due giornalisti italiani che volevano imporgli la loro formazione. Si vociferò di colloqui notturni tra il selezionatore e i giornalisti, istantaneamente battezzati “penne all’arrabbiata”. Una vera commedia all’italiana.
Mino Mulinacci, responsabile del Settore squadre nazionali, incontrò Sivori la mattina della partita col Cile e gli disse: “Mi raccomando stasera perché sarà dura”. O prese in giro il giocatore o non sapeva che Sivori era stato depennato dalla formazione.
Allo stadio di Santiago, il clima fu dei più sfavorevoli. La descrizione delle miserie del Cile apparse su alcuni giornali italiani provocarono una dura eco. Il quotidiano “La Hora” titolò a tutta pagina: “Prensa italiana insulta a Chile. Paìs de selvajes, dicen”.
In questa atmosfera fu preparata Cile-Italia, seconda partita degli azzurri.