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1950: il Brasile in lutto per la sconfitta
La storia dei Mondiali di calcio - 7
di Mimmo Carratelli
Ai Mondiali 1950 in Brasile, più della immediata eliminazione italiana, la sorpresa fu la fulminea caduta dell’Inghilterra alla sua prima partecipazione.

La nazionale britannica, allenata da Winterbottom, forte di giocatori prestigiosi come il terzino Ramsey, il biondo mediano Billy Wright e gli attaccanti Mortensen, Mannion e Finney, superato il Cile (2-0), si apprestò a sistemare la squadra-materasso degli Stati Uniti. Ma dalla nebbia di una partita imprevedibile, nel caldo umido che tagliò le gambe agli inglesi, sbucò l’haitiano John Gaetyens che battè il portiere Williams inchiodando l’Inghilterra alla clamorosa sconfitta (1-0).

Nessuno a Londra ci credette e le agenzie di stampa, pensando ad un errore di trasmissione della notizia, corressero il risultato in un 10-1 per i britannici contro i dilettanti statunitensi. Battuta successivamente dalla Spagna, l’Inghilterra uscì fuori dalla competizione.

Per il Mondiale 1950, a Rio de Janiero fu costruito il più grande stadio del mondo, capace di ospitare 200mila persone, nel popolare quartiere di Maracanà. C’erano tre certezze in Brasile: Dio, il dittatore Getulio Vargas e la squadra verdeoro. Considerata la terza potenza calcistica sudamericana, dopo Uruguay e Argentina, il Brasile puntò alla Coppa per primeggiare.

Spazzò a suon di gol il Messico (4-0) e la Jugoslavia (2-0), ebbe qualche difficoltà col “catenaccio” svizzero (2-2), travolse la Svezia (7-1) e la Spagna (6-1) e si presentò raggiante, irresistibile e sicuro al match decisivo per il titolo mondiale, avversario l’Uruguay.

La nazionale celeste, con un gran portiere, Màspoli, e due assi all’attacco, Ghiggia e Schiaffino, più il roccioso centromediano Obdulio Jacinto Varela, doveva assolutamente battere il Brasile per conquistare la Coppa. Il pareggio avrebbe dato la vittoria ai brasiliani. Fra lo scetticismo generale, ebbe un centinaio di tifosi al seguito e Varela dichiarò: “Saremmo soddisfatti se l’inevitabile sconfitta fosse limitata allo scarto di due gol”. Insomma, il Brasile con l’attacco delle meraviglie Friaça, Zizinho, Ademir, Jair e Chico era superfavorito. Ma, toccati nell’orgoglio, i giocatori uruguayani promisero di sorprendere tutti: “C’è una possibilità su cento che noi si riesca a vincere, ma faremo il nostro gioco”.

Duecentoventimila persone entrarono nel “Maracanà”, ventimila restarono fuori la domenica 16 luglio 1950. Undici limousine, con fiori e belle ragazze, e coi nomi dei certissimi campioni del mondo brasiliani stampati sulle fiancate, si disposero in cerchio attorno allo stadio in attesa dello scontato risultato finale. Il capo dello Stato di Rio, dalla tribuna, cominciò così il suo discorso ai microfoni: “Voi, o brasiliani, che io considero come sicuri vincitori del torneo…”

L’Uruguay si dispose a soffrire preparando una grandiosa trappola: il terzino Matias Gonzales alle spalle dei difensori e il carismatico Varela davanti alla difesa. Cioè un doppio “libero”. E per il contrattacco ci avrebbero pensato la classe di Schiaffino e la velocità di Ghiggia. Varela stuzzicò astutamente il centravanti Oscar Miguez dicendogli: “Non vedi che faccia da stupido ha il portiere brasiliano? Vorresti farmi credere che proprio tu non sei in grado di fargli almeno due gol?”

Lo stadio aveva due soli colori, il verde e il giallo delle maglie brasiliane. L’Uruguay attaccò a sorpresa. Palo di Miguez. Falciato Ghiggia. Dribbling e botte fra i contendenti. Nella ripresa, esplose il “Maracanà”. Gol di Friaça, samba sugli spalti, coriandoli nel cielo.

Il furbo Varela corre dall’arbitro inglese Reader protestando per una presunta irregolarità. Sa che il gol è regolarissimo, ma confonde il pubblico, irretisce i giocatori brasiliani, fa perdere tempo. E urla alla riscossa. Il Brasile crede di avere già la vittoria in pugno. Ma l’Uruguay esce dalla tana.

Lancio di Varela sulla destra per Ghiggia. L’ala coi baffettini pianta il terzino Bigode e crossa per l’esile ma preciso Schiaffino che sta arrivando di corsa. Shoot fulminante e il portiere Barbosa è battuto. Il Brasile continua a giocare come se niente fosse perché anche il pareggio gli sta bene per vincere la Coppa. Ma a undici minuti dal termine la mannaia uruguaiana calò sulla formazione verdeoro.

La mezz’ala Julio Perez parte in dribbling, Ghiggia scatta sulla destra, il portiere brasiliano si stacca dalla porta aspettando il cross, e invece l’ala coi baffetti, prima che il terzino Bigode, sempre lui!, gli sbarri il passo, tira direttamente a rete tra il portiere troppo avanti e il palo. Ed è il 2-1 per l’Uruguay. Il “Maracanà” ammutolisce. C’è un impressionante silenzio nello stadio. Si sente la voce di Varela che incoraggia i compagni a resistere ancora dieci minuti per prendere la Coppa. E sono i dieci minuti in cui naufraga il Brasile. Per la seconda volta, l’Uruguay è campione del mondo dopo il successo del 1930.

Appena l’arbitro fischia la fine, il mediano Gambetta si impossessa del pallone e scappa via. Varela spalanca le braccia e tutta la squadra è attorno a lui. I brasiliani restano inebetiti in mezzo al campo.

La notizia della sconfitta gela l’intero Brasile. Si registrano numerosi morti per infarto, disordini e disperazione. Dice Ghiggia: “Quando ho tirato con tutta la forza che avevo ho chiuso gli occhi. Li ho riaperti e ho visto i miei compagni venirmi addosso”. Il giovane centravanti Miguez confessa: “Era scritto che dovessimo vincere noi, non temevamo né Dio, né il demonio. Se il nostro portiere avesse giocato centravanti, avrebbe segnato due gol. Se io avessi giocato in porta, avrei parato due rigori”.

Nel Brasile, battuto in casa, fu un giorno di lutto. L’indomani “A Gazeta Esportiva Illustrada” uscì con questo titolo: “Nunca mais”, mai più.

Unica, debole soddisfazione il titolo d capocannoniere del torneo per il fantastico centravanti pernambucano Ademir con 9 reti.

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13/3/2006
  
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