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La favola di Maradona
La sua storia a puntate – 126
di Mimmo Carratelli
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Il “Monumental” del River Plate è lo stadio più grande di Buenos Aires. Tutto ti possono chiedere, Diego, ma non di saltare il derby. L’appuntamento è per il 25 ottobre 1997. Il River, allenato da Ramon Diaz, va come un treno. Vuole vincere il campionato di Apertura dopo essersi aggiudicato quello di Chiusura. E’ forte di cinque nazionali.
Vai all’assalto del River col tuo amico Caniggia, con l’astro nascente Martin Palermo, con Walter Samuel che poi verrà in Italia. Ottantamila tifosi spingono il River. Stringi i denti in campo. E’ maledettamente dura e quelli passano in vantaggio.
Sembra una partita segnata. Giochi un primo tempo faticoso ed Hèctor Veira, l’allenatore che ha sostituito Bilardo, ti sostituisce per il secondo tempo. Fa entrare Juan Roman Riquelme che ha 19 anni, diciotto meno di te. Resti a guardare come va. E va alla grande per il Boca che rimonta e vince 2-1.
Non sei stato il protagonista della festa, sei deluso. E, cinque giorni dopo, è il tuo compleanno. Trentasette anni. Qualcosa si spezza nel tuo cuore. Alla vigilia del compleanno, l’annuncio doloroso, in terza persona. Parli sempre in terza persona quando dici cose gravi: “E’ finito il giocatore di calcio, nessuno è più triste di me”.
E’ proprio l’annuncio del tuo addio al calcio. Non giocherai più, non ci saranno più ritorni. Il primo tempo di River-Boca è la tua ultima partita, senza appello.
Faccio rapidi calcoli con quello che ho sottomano.
In ventuno anni di calcio, hai giocato 679 partite e segnato 345 gol. Nei sette anni a Napoli, 259 partite e 115 gol. Il tuo massimo. In campionato, 81 gol; in Coppa Italia, 29 gol; nelle coppe europee, 5 gol.
Con l’Argentinos, 166 partite e 116 gol. Col Boca, 71 partite e 35 gol. Col Barcellona, 58 partite e 38 gol. Col Siviglia, 29 partite e 7 gol. Cinque partite col Newell’s Old Boys senza segnare. In nazionale, 91 gare e 34 gol.
E’ il tempo malinconico delle statistiche. Campione del mondo juniores nel 1979. Cinque volte capocannoniere argentino, una volta in Italia. Due volte Pallone d’oro del Sudamerica e una volta Pallone d’oro del Mondiale (1986). Una volta campione del mondo (1986) e una volta vicecampione (1990). Un campionato vinto in Argentina col Boca nel 1981, due scudetti col Napoli (1987 e 1990) e, col Napoli, anche una Coppa Italia, una Coppa Uefa e una Supercoppa italiana. Col Barcellona, una Coppa e una Supercoppa di Spagna.
Ma non sono le vittorie la scia luminosa che lasci nel calcio. Gli incantesimi, la delizia, la gioia che hai saputo dare giocando a pallone è il tuo grande patrimonio. Nessuno ha giocato al calcio come hai fatto tu, giocoliere e mago, il sinistro fatato di ogni tocco, i gol d’artista, la “rabona”, i pallonetti, il dribbling. Avevi undici anni, giocavi fra le “cebollitas” dell’Argentinos Juniors e facevi il raccattapalle nelle partite della prima squadra. Il “Clarin” per la prima volta scrisse di te storpiandoti il nome: “E’ mancino, sa anche usare il destro, si chiama Diego Caradona. Ha il numero dieci e si è guadagnato clamorosi applausi nell’intervallo di Argentinos-Independiente mettendo in mostra una rara abilità di palleggio”.
Il tempo è passato. L’astro luminoso si è spento alla fine del primo tempo di River-Boca al “Monumental”. Sei stato il più grande, senza paragoni. Cala il sipario. “I Mondiali di Francia del 1998? Andrò a Parigi ma solo per accompagnare le mie figlie a Eurodisney. Sono troppo vecchio per sopportare la disciplina della nazionale di Passarella. Sarò disciplinato quando diventerò il direttore generale del Napoli. Perché una cosa è certa, tornerò a Napoli per fare l’allenatore o il direttore generale”.
Napoli nel cuore perché qui, Diego, sei diventato Maradona, l’artefice magico, qui hai giocato più partite, qui la maglia azzurra si è sovrapposta a quella gialloblu del Boca e ha rivaleggiato con la maglia bianconceleste della nazionale argentina perché quella azzurra era una maglia d’amore.
E’ il 30 ottobre 1997. Festeggi un compleanno di addio. Noi andiamo a teatro.
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