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La favola di Maradona
La sua storia a puntate – 127
di Mimmo Carratelli
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Vuoi andare alle Malvinas e ottieni il visto dal governo britannico. Programmi il Carnevale a Rio. Il calcio è alle spalle. Quale sarà la tua vita, Diego, ora che hai messo tutte le tue meraviglie in soffitta con le scarpette e le centinaia di magliette che hai collezionato? Dove andrai e che cosa farai? Ti libererai dal tunnel della droga? Rispondi a questo interrogativo, Dieguito, e saremo felici.
Festeggi il tuo trentasettesimo compleanno. E’ il 30 ottobre 1997, un giovedì, e noi andiamo a teatro, al “Bellini” di Napoli. Lo spettacolo si intitola: “Viva Diego”. E’ un musical scritto e realizzato da Tato Russo che l’anno scorso ha fatto uno spettacolo su Masaniello. Leopoldo Mastelloni ha collaborato alla regia.
Il teatro è pieno. Sul palcoscenico sessanta attori, quasi tutti giovanissimi più alcuni professionisti, Gigio Morra, Antonella D’Agostino, Lino Mattera, e un’orchestra di tredici elementi. E’ un musical etnico-tribale, come l’ha definito Tullio De Piscopo, il percussionista leggendario di Porta Capuana che ha lavorato sulle partiture di Mario Ciervo.
Te lo voglio raccontare lo spettacolo, Dieguito. Si ispira alla partita Napoli-Milan (2-1) dell’anno del primo scudetto azzurro. Tu non compari, ma c’è la statua di San Gennarmando. Lo scenografo Toni Di Ronza ha ricostruito un settore di curva del “San Paolo”. I costumi sono di Giusi Giustino.
Abbiamo il cuore in gola. Hai appena annunciato l’addio al calcio, ma sei sempre tra noi, stasera in modo particolare. Assisto allo spettacolo in compagnia di Tullio De Piscopo. Quanti ricordi di partite e di gol prima che lo spettacolo cominci!
Si alza il sipario. I tifosi affluiscono allo stadio alle dieci del mattino tanta è l’attesa della partita a tre giornate dalla fine del campionato col Napoli in testa alla classifica. Li ricordi i tifosi azzurri? Chi come loro? Nessuno. Euforici, ansiosi, disperati, felici, attori veri allo stadio come questi sul palcoscenico.
Tutto il primo tempo è uno “spaccato” di una curva del “San Paolo”. Vero ed emozionante. Vite qualunque, gioie e trepidazioni, striscioni, fumogeni, e quella carica elettrica che sapevi trasmettere sugli spalti. Un coro di voci e voci soliste. Il dialetto, l’anima di Napoli.
In platea c’è Leopoldo Mastelloni. Spiega: “Diego è un feticcio, l’occasione per l’orgia, per il rito pagano, per la catarsi viscerale”. L’idolo del pallone, la partita, le vittorie sono lo sfogo irrazionale di un popolo che ha poche altre gioie e stenta ad allinearsi nella razionalità.
Siamo immersi nella sonorità dello spettacolo. Era sonoro il “San Paolo” ai tuoi tempi, Diego. Un grande teatro sonoro all’aperto dove andavano in scena la gioia e la felicità per un pallone che toccavi col magico sinistro, per un gol di astuzia infinita, per i tuoi riccioli neri che ti rendevano scugnizzo tra gli scugnizzi, un teatro in cui tutti facevamo gli attori, tu l’attore massimo in campo e, sugli spalti, le scenografie di un tifo mai visto, protagonista, originale, allegro, i cori, il porompompero e “Maradona è meglio ‘e Pelè”.
Lo spettacolo ripropone quell’atmosfera magica. Si frantuma in tanti episodi, la vita di ciascuno allo stadio fatta di piccole cose, la scaramanzia, le invocazioni, i putipù nell’attesa infinita che la partita cominci. Il primo tempo si chiude col fischio dell’arbitro che dà inizio alla gara.
Nel secondo tempo del musical esplodono la passione per la gara, le emozioni, l’ansia per il risultato, la meraviglia, lo scoramento, gli incoraggiamenti, l’esultanza. C’è anche un episodio di violenza, una cosa che non è mai successa al “San Paolo”, ma gli autori hanno voluto mettercela. Un tifoso milanista viene ucciso da un napoletano. Tullio De Piscopo era contrario, Tato Russo ha voluto ricordare che lo stadio è anche teatro di violenza e di delitti incredibili.
La coralità gioiosa dei tifosi sul palcoscenico si tramuta in tragedia greca, è il colpo gobbo dello spettacolo. Scrosciano gli applausi perché il musical è bello, avvincente, è lo stadio in teatro e perché c’è San Gennarmando, perché c’è il ricordo vivo di te.
Lo spettacolo coincide col tuo trentasettesimo compleanno e col tuo addio al calcio. Una pura coincidenza. Usciamo dal teatro parlando di te, pibe. E’ finita un’epoca di gioia e fantasia. Le sonorità del musical ci inseguono per strada. Le luci del “Bellini” si spengono. Avvertiamo una concreta malinconia.
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