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La favola di Maradona
La sua storia a puntate - 12
di Mimmo Carratelli
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Con la Coppa europea che sfuma e il campionato che inchioda il Barcellona al terzo posto, i tifosi azulgrana sono in rivolta. Si sparla molto del tuo clan: il compagno dell’Argentinos che è il tuo vero amico Osvaldo Dalla Buona, il magazziniere che chiami sempre Galindez, Nestor Barrone che ha quel soprannome di “Ladilla”, piattola, e ti sta proprio azzeccato, tuo cognato Esposito che non piace a nessuno, Cyterszpiller, Guillermo Blanco, altri ancora e le ragazze.
Hai bisogno di amici e loro hanno bisogno della tua protezione che significa ospitalità e soldi, e le serate in discoteca. Si vocifera di notti bianche. Vai in televisione a difendere il clan: “Voglio dire a tutta la gente di Barcellona che non tutti noi argentini siamo cattivi, che noi argentini non vogliamo offendere nessuno, che sappiamo vivere”.
Che cosa significa? Significa che la tua vita a Barcellona è diventata un tormento. Qualcosa è venuto fuori quando, in un locale, c’è stata una mezza rissa. Con Osvaldo Dalla Buona spingi energicamente qualcuno che vi importuna. Le ramblas sono ormai una tentazione, la domenica e il lunedì sera andate in discoteca. La rissa viene riportata dai giornali. Ti difendi. Al Barcellona hai dato tutto quello che potevi, l’epatite e gli infortuni ti hanno impedito di dare di più. Ma pesano come un macigno i 15 miliardi che è costato il tuo trasferimento. La stampa non è tua amica.
Circola già la droga? Sì che circola. Comincia per gioco, naturalmente. Sembra divertente. Un giorno dirai: “Quando uno ci si trova, vorrebbe dire di no, ma finisce col sentire se stesso che dice sì”. Ti stiamo perdendo, Dieguito? “Ti illudi di riuscire a dominarla, di venirne fuori, e poi le cose si complicano” dirai. E’ un brutto affare. Chi ti aiuta? Chi ti può aiutare?
Certo, la droga non aiuta a vincere le partite. Non c’entra con le partite. Dirai troppo tardi: “Per giocare a calcio non serve, come non serve per la vita”. Ma ci scivoli lentamente dentro. Possibile che non ti rendi conto che ti stai cacciando in una trappola infernale? Le notti di Barcellona sono tentatrici e tu sei un ragazzo solo, lontanissimo ora da Villa Fiorito, dalle “cebollitas”, dai sogni col Boca. Per quell’epiteto di “sudarca” con cui i catalani definiscono spregiativamente i sudamericani, ti senti in un paese straniero. Hai compagni gelosi e avversari che ti vorrebbero spezzare una gamba. L’hanno già fatto. Spagnoli invidiosi. Non per niente, nel Barça, il tuo unico amico è un tedesco, Schuster.
Dentro sei solo, Diego, nonostante la corte di amici e Claudia. E’ questa solitudine che hai nel cuore che ti perde e ti consegna alla illusione che ti conquista, ti esalta, ti fa volare, ti farà prigioniero e non sarai più tu, maledizione. Sono le difficoltà sul campo, perché il Barcellona non vince il campionato, che aumentano la tua solitudine. Ma è una pazzia ricorrere alla polvere micidiale. E’ un gioco pericoloso. E non è un gioco, non sarà più il gioco delle prime volte.
Si fanno pessimi i rapporti col presidente Nunez. E’ uno che vuole comandare, ma con te non ce la fa. Ti proibisce di parlare col giornalista José Maria Garcia che lo attacca. Immagino la tua risposta.
Un episodio provoca la rottura definitiva. Ti impedisce di andare a giocare un’amichevole per l’addio al calcio del difensore tedesco Breitner. Te lo proibisce con parole dure che tu lasci a metà uscendo dal suo studio e sbattendo la porta. Te lo proibisce sul serio quando ti sequestra il passaporto.
La guerra con Nunez si fa dura. Lui certamente sa della droga. Forse vuole mandarti via, ma ha speso troppo e non ha ancora vinto nulla. E tu vuoi andare via. Lo sa bene il vicepresidente Joan Gaspart che ti prepara un nuovo contratto e ti dice: “Metti tu la cifra che vuoi”.
Ma tu, Diego, vuoi la libertà dall’incubo che è diventata Barcellona. E questo tuo desiderio trapela sui giornali che, ogni giorno, ormai, riferiscono tutti i particolari della guerra con Nunez.