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La favola di Maradona
La sua storia a puntate - 5
di Mimmo Carratelli
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Il Flaco non ti mollerà più. Sei nel giro stabile della nazionale, Diego. I campioni del mondo del 1978 si concedono una partita di gloria. Affronteranno, nello stadio del River, il Resto del mondo.
E’ il 25 giugno 1979. Stavolta ci sei. Formazione biancoceleste: Fillol; Olguin, Tarantini; Galvan, Gallego, Passarella; Houseman, Ardiles, Luque, Maradona, Valencia. La maglia numero 10 è tua. Il Resto del mondo l’allena l’italiano con la pipa, Enzo Bearzot. Ci stanno dentro Paolo Rossi, Krol, Platini, Zico. Ti marca Tardelli.
Sei il meraviglioso funambolo che porta in vantaggio l’Argentina. Un gollazo al brasiliano Leao. Dai spettacolo. Ma Galvan fa autogol e Zico regala la vittoria al Resto. Il “Clarin” esce con questo titolo: “La fiesta fue de Argentina y el resultado para el Resto del mundo”. Pazienza.
C’è il Flaco che vuole vittorie. La nazionale maggiore, dopo il mondiale vinto, dà poche soddisfazioni. Vediamo coi ragazzini. A Tokyo è in programma il Torneo mondiale juniores. Hola, Diego. In tre anni hai segnato 73 gol. Sei il miglior giocatore sudamericano. Sei la “stella” della nazionale dei minori di anni venti. Proviamo a fare bingo.
Tokyo, settembre 1979, è il tuo trionfo. La piccola Argentina vola. Sei il capitano. La dirigi e la trascini come un veterano. Fai gol e fai fare gol. Fai le suggestive veroniche dei grandi assi. José Maria Munoz, il telecronista più grosso e più pazzo di football che si sia mai visto e sentito, urla il tuo nome per l’emittente Rivadavia. Maradona, Maradona, Maradona. Le partite, in diretta, sono diffuse in Argentina alle quattro del mattino. Li svegli tutti. Svegli anche Claudia. Per lei eri il gran capitano.
Trio d’attacco stupendo: Barbas, Ramòn Diaz, che è la nuova “stella” del River, e Diego Armando Maradona, il tesoro dell’Argentinos Juniors. Con l’Indonesia è una passeggiata: 5-0 e doppietta personale. 1-0 alla Jugoslavia. 4-1 alla Polonia e firmi un gol. 5-0 all’Algeria e il Flaco ti ha fatto riposare, piangi da matto nello spogliatoio. Non vuoi riposarti mai. 2-0 all’Uruguay in semifinale, rete di Diaz e gol tuo, di testa. I guaglioni di Montevideo picchiano, la loro è una “scuola” di duri, gli fai un gol salvando le gambe.
Finalissima con l’Urss, campione in carica. Duri i russi, ma non cattivi come gli uruguayani. Le tue delizie li ammansiscono. Ma quelli vanno in vantaggio, maledizione. Pareggia Alves su rigore. La paura va via. Dai a Diaz la palla del sorpasso, un invito a nozze. Poi, dal tuo scrigno, tiri fuori la magìa del calcio di punizione. Finisce 3-1.
I giapponesi organizzano una scenografia da brividi. Spengono tutte le luci dello stadio e lasciano che un solo fascio luminoso ti segua con la squadra in un memorabile giro del campo. Il Flaco si coccola una vittoria meravigliosa. Sei il miglior giocatore del torneo e quel monumento vivente di Joao Havelange, presidente della Fifa, ti consegna la coppa. José Maria Munoz continua a gridare: Maradona, Maradona, Maradona.
Hai vinto il tuo mondiale. Ritorno trionfale a Buenos Aires. Lo Sheffield United chiede al presidente Consoli quanto costi: il padrone dell’Argentinos spara un miliardo e 200 milioni, il club inglese si ritira annichilito. Il Barcellona offre due miliardi. Ma il presidente Grondona blocca ogni espatrio in vista dei Mondiali del 1982 in Spagna.
Ti ricordi, Diego, il premio che ti concedesti? Andiamo al mare, dicesti a tutta la tua famiglia. Giorni felici sulla spiaggia di Atlàntida, in Uruguay. E a papà Chitoro dicesti: “Hai cinquant’anni, hai lavorato duro sempre, ora smettila. Ora tocca a me”. Grande campione, splendido figlio.