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La favola di Maradona
La sua storia a puntate - 4
di Mimmo Carratelli
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Vamos a ganar, Dieguito. Tutto succede molto rapidamente e il ragazzo che sei deve crescere in fretta. Juan Carlos Montes, allenatore della prima squadra dell’Argentinos Juniors, ti tiene d’occhio. Hai sedici anni e un martedì di fine ottobre lui ti dice: “Domani vai in panchina”. Stenti a crederlo. Non ci dormi la notte.
E’ il 20 ottobre 1976, un mercoledì e un pomeriggio molto caldo a Cordoba, terza città argentina, tutta all’interno, lontana dal mare, due milioni di abitanti. L’Argentinos Juniors affronta il Talleres. Sei in panchina. La partita non va bene e la cancha di Cordoba è un inferno. L’Argentinos va sotto di un gol. Dopo pochi minuti della ripresa, Montes ti dice: “Vai in campo”. Ti tremano le gambe, è normale. Sostituisci Giacobetti. Sulla tua maglia rossa c’è il numero 16. L’ultima cosa che ti dice Montes è questa. “Se ci riesci, tira una cannonata”. Come se fosse facile.
In campo scopri una solidarietà commovente. I “grandi” ti danno tutti una mano, ti incoraggiano. Fai un dribbling, pianti il tuo avversario, la palla gli è passata tra le gambe, tiri: fuori! Qualche cosa non ti riesce. Normale, pibe, è il debutto in prima squadra e il Talleres è uno squadrone. E’ l’addio al periodo fantastico delle “cebollitas”. Il calcio dei “grandi” sarà duro e spietato. Ma tutti aspettano le tue delizie.
Giochi altri spezzoni di partite e, contro il Newell’s Old Boys, stai in campo tutti e 90 i minuti. E’ un bel giorno. E arrivano i gol in prima squadra: per cominciare, due reti al San Lorenzo di Mar del Plata il 14 novembre 1976. Hasta la vista, Dieguito. Il tango è cominciato.
E arriva il Flaco. Cesar Luis Menotti non ha ancora 40 anni, ma è già un mito. Sarà per quella sua faccia lunga da pirata incorniciata dai capelli abbondanti, per lo sguardo che trapassa uomini e cose, per quel fisico longilineo, essenziale, magro, da Savonarola del pallone. Un tenebroso affascinante. E’ alla guida della nazionale dal 1974. Ti ha seguito, ti chiama.
Vola, Dieguito, vola. In allenamento, vedi i “draghi”, Kempes e Passarella. E’ il febbraio del 1977. L’Argentina gioca un’amichevole alla Bombonera contro l’Ungheria. El Flaco ti porta in panchina. Ti dice: “Se la squadra segna, è possibile che giochi”. Non c’è in campo un tifoso più tifoso di te. Vai, Argentina, vai.
E va bene. E’ cominciata la ripresa e i biancocelesti sono in vantaggio per 3-0. Tutto gira per il verso giusto. Il Flaco ti guarda. E’ il momento di andare in campo. Entri al posto di Luque, un altro “drago”, un filibustiere del gol. I “draghi” ti adottano subito. Gallego e Carrascosa, soprattutto. Ti passano la palla. Com’è bella la vita. Conquisti la nazionale quando non hai ancora 17 anni. Stai spiccando il volo, Dieguito.
L’Argentina ti guarda, l’Argentina ti ammira. Che cosa non sei capace di fare col tuo piede mancino! Ricami, inventi, stupisci. E vai in gol. Ventidue reti nel campionato nacional, quattordici in quello metropolitano. Sono i timbri della tua classe.
Capocannoniere. Prendi le prime botte, ma sai saltare le gambe assassine che tranciano l’erba e ti mancano. In un'amichevole con l’Argentinos a Barcellona, Zuviria ti massacra e lo stesso pubblico spagnolo lo fischia. Sei agile, scansi artigli e durlindane. Sei Diego Maradona.
Sei pronto per il Mondiale del 1978 che si gioca in Argentina. Ci conti. Ma quando il Flaco deve chiudere la lista dei 22, si accorge che ha a disposizione cinque numeri 10: Villa, Alonso, Valencia che gli piace più di tutti, Bochini e tu, così giovane e così estraneo a ogni cricca da restare fuori. E’ la vita. Tu puoi aspettare, ma ti viene una rabbia grande. Piangi come un bambino, e non sei forse ancora un bambino? Vai a vedere le partite mondiali con don Coco Villafane. Ci andate col suo taxi. E col suo taxi strombettante per Buenos Aires dopo la vittoria dell’Argentina, per la prima volta campione del mondo coi gol di Kempes, con Ardiles e Bertoni, con Passarella e Luque. Sei felice, ma covi una vibrante rivincita.
Dovrai attraversare mezzo mondo per farlo, ma laggiù, a Tokyo, il mondo te lo mangerai. E’ quello che vedremo la prossima volta. Hola, Diego.