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Cronaca
Un morso alla Grande Mela
19 - La citta' delle ragazze
di Angela Vitaliano
Alla fine sono tornate, con i loro vestiti e le loro scarpe da capogiro ma soprattutto con la loro amicizia e senza piu’ la loro gioventu’, come doveva giustamente essere: Carrie, Charlotte, Miranda e Samantha hanno fatto segnare numeri da capogiro nel primo weekend dell’uscita del nuovo episodio di Sex and the City. Nonostante le critiche, negative nella quasi totalita’, e gli accanimenti “preventivi” di chi, pur non avendo visto nemmeno un millimetro della pellicola, ne attaccava persino i messaggi che mai gli autori si sono sognati di dare, come sempre avviene in questi casi, i fan hanno regalato un altro successo a Sarah Jessica Parker e compagne, approfittandone, poi, per una magnifica serata fra amiche, tacchi alti e un bicchiere di Martini in mano, tanto per restare nell’iconografia newyorchese.

Perche’ che piaccia o no, Sex and the City, parla di quattro amiche e della loro vita nella citta’ piu’ sognata, amata e detestata al mondo: magari “a prescindere”, senza averla vista (d’altro canto, se i presidenti discutono e fanno guerre preventive e’ comprensibile che i giornalisti possano fare critiche preventive). Io, invece, non essendo abbastanza famosa da potermi concedere certi lussi, il film sono andata a vederlo e a dire il vero mi e’ anche piaciuto. Il tutto in un cinema nel centro di Manhattan dove, in fila con me, c’erano signore e signorine di ogni razza e ceto sociale che, come me, si sono molto divertite. Nessuno e’ andato al cinema aspettandosi di trovare il verbo che ci insegni a vivere la nostra vita o un significato cosi’ profondo da doverci fare tre dibattiti e quattro tavole rotonde per sviscerarlo in ogni aspetto.

Noi, ventenni e ultraquarantenni, non disperate e nemmeno “affamate coguar mangia giovanotti”, al cinema siamo andate per sorridere e vedere bei vestiti, belle scarpe e belle case dove, ahime’, probabilmente non abiteremo mai, ma non per questo le detestiamo. Ho letto da qualche parte che il film era “surreale” considerata la crisi economica o addirittura “inopportuno”. Vivendo in questa citta’, pur sentendo di persone che hanno perso meta’ o piu’ dei loro capitali, non mi e’ capitato, infatti, di passare da Park Avenue e vedere la fila di famiglie pronte a traslocare “causa tracollo Wall Street”. Allo stesso modo non ho visto signore passeggiare a Madison Avenue, fra una boutiques e l’altra, indossando ciabattine e jeans sdruciti.

Ho continuato a vedere molto lusso e molti autisti e molti moltissimi abiti e scarpe da capogiro. Se sei ricco, come puoi esserlo a Manhattan se fai l’avvocato o la PR, non diventi povero in canna in un giorno per i capricci di Wall Street. Resti ricco. Un po’ in meno, ma ricco. E non tagli le tue sedute dal parrucchiere ma la mancia al ristorante o lo stipendio della baby sitter (brutto, sicuramente, ma vero).
Alcune critiche poi, riportavano dettagli e scene, mai esistite nel film ma frutto di quelle “false anticipazioni” messe in giro mesi fa quando non si sapeva nemmeno che Aiden (e non Hayden) sarebbe riapparso in questo sequel, dopo sua assenza nel primo film.

Fermo restando che andare e’ vedere un film non e’ mai un obbligo, se lo si fa per lavoro, perche’ si e’ pagati per quello, allora si’, bisognerebbe vederlo, ci piaccia o no, dall’inizio alla fine prima di poterlo smantellare pezzo pezzo.

A New York, comunque, le trombe della critica inferocita hanno trovato i fan con le orecchie occupate dalle cuffiette dell’Ipod che trasmettevano a velocita’ “pazzesca”, “Empire State of mind”. Perche’ New York e’ quello, lo stato impero della mente, dove si torna insieme alle “amiche” di un decennio, nelle dune del Marocco (perche’ erano li’) e si parla (anche) di occhiaie e di problemi domestici, come fanno tutte le donne sposate con figli. Chissa’ perche’ le nostre dovrebbero essere diverse. Forse per piacere preventivamente a qualche critico che ha problemi con l’avanzare dell’eta’.

31/5/2010
  
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