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La favola di Maradona
La sua storia a puntate – 60
di Mimmo Carratelli
I giorni del “casamiento”, Dieguito, i giorni di Buenos Aires. Via con la pazza folla, lunedì 6 novembre 1989. Un caos all’aeroporto di Ezeiza all’arrivo del jumbo da Roma. Ad aspettarti c’era papà Diego. C’erano Dalmita, due anni e mezzo, e Gianinna, sei mesi, la prima nata con lo scudetto del 1987, la seconda con la Coppa Uefa del 1989. C’era Claudia in jeans strappati e pietre dure. Troppa ressa. Scappasti a bordo di una Mercedes. A fronteggiare i giornalisti Guillermo Coppola e il suo braccio destro Marco Franchi. Quattro pullman a due piani trasportarono i tuoi 120 ospiti al Plaza e allo Sheraton.

Faceva molto caldo a Buenos Aires, estate piena. E fu tutto molto veloce perché avevi promesso di rientrare subito dopo il matrimonio, partenza il mercoledì, arrivo a Napoli il giovedì e, dieci giorni dopo, in campo contro la Sampdoria al “San Paolo”. Il matrimonio più veloce del mondo, profittando di una sosta del campionato italiano, la luna di miele rimandata dopo il Mondiale 1990.

Giorni convulsi. Il “casamiento” dopo dodici anni di convivenza con Claudia. “Me lo ha chiesto Dalmita” continuavi a ripetere. Ma volevi anche stupire gli argentini con una festa memorabile. I giornali di Buenos Aires finsero di ignorarti. In Italia, pagine e pagine col resoconto puntuale di quei giorni.

Tutta di corsa la tua vita, Diego, anche il matrimonio. Addio al celibato alla discoteca “Trump”. Poi l’appuntamento al Club Hipico Aleman, vicino il respiro dell’immenso Rio de la Plata, per l’asado di benvenuto agli ospiti la sera stessa dell’arrivo a Buenos Aires. Un posto chic, un grande tetto di paglia, 300 chili di carne, dieci portate, familiari e amici ai tavoli, allegra confusione.

Nell’appartamento di Calle Libertadores 1216 trovasti i doni napoletani. L’orologio da polso diamantato, 32 milioni di lire, e il servizio di piatti, 17 milioni, regalo della squadra azzurra. Il mobile antico, 20 milioni, di Ferlaino. Un quadro del presidente argentino Menem. Bloccati all’aeroporto, dalla Dogana argentina, i regali di Napoli: un vaso Ming, tappeti persiani, 38 casse di vino, 30 di champagne, 12 di mozzarelle e un container dei pescatori di Mergellina con spigole, vongole, cernie, orate e pesce spada. Venti milioni per sdoganarli.

Il giorno dopo, di primo pomeriggio, tutti al municipio, al Registro Civil in Avenida Uruguay. Trecento poliziotti per tenere a bada la folla all’esterno. Ressa indescrivibile quando arrivasti su una Mercedes nera con Claudia, Dalmita e Gianinna. Tuo suocero, Coco Villafane, arrivò su una Volkswagen. Quattro guardie del corpo riuscirono a fatica ad aprirti un varco verso il municipio, la cerimonia civile al secondo piano di una stanza disadorna con moquette rossa.

Magnifica apparve Claudia in un tailleur blu di panno al ginocchio, labbra rosse e un grande panama blu a falde larghe sui capelli biondi. Dalmita e Gianinna tutte trine e pizzi, una vestita di bianco, l’altra d’azzurro, i colori della bandiera argentina. E tu, Dieguito? In blazer blu a doppio petto con bottoni d’oro, tanti, la lettera “D” dorata ricamata sul taschino, camicia bianca a righe blu, orecchino di brillanti e capelli inanellati dal gel. Impacciato. Tenevi le mani in tasca.

L’avvocato Jorge Lozano, official public, contenne la cerimonia in dieci minuti leggendoti l’impegno matrimoniale: fedeltà, coabitazione e assistenza economica. Alle 16,05 le firme sui registri, la firma con cui diventasti il marito di Claudia e lei tua moglie. Hola, Diego.

Lasciare il municipio fu un’impresa. Ressa e spintoni. Allontanasti con troppa decisione il fotografo americano Don Ripka. Coco Villafane portò via Dalmita sulla Volkswagen. Raggiungesti con Claudia la Mercedes nera e via. Fine del primo tempo.

L’appuntamento successivo era in chiesa, alle 20,30.

Continua

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27/12/2004
  
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