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La favola di Maradona
La sua storia a puntate - 52
di Mimmo Carratelli
Tormenti, molti, ed estasi, poche. Stagione 1989-90, che cosa ti frulla in testa, pibe? Ti stiamo perdendo. Luglio, arrivano messaggi come rondini. Sei arrabbiato, sei triste, sei stanco. E’ stata un’annata micidiale. Hai giocato quasi 70 partite, sette negli ultimi quindici giorni in Brasile per la Coppa America.

Estate di dispacci, fax e telex. Dispetti, veleni e vecchi merletti su questa rotta inconcludente da Napoli a Buenos Aires.

Ma già dal Brasile mandi a dire: “Ferlaino deve cedermi. Si tenga Careca e Alemao e mi ceda”. E’ il 2 luglio, che cosa vuoi dire? “Quei fischi nella partita contro il Pisa mi sono rimasti sullo stomaco, ancora una cosa del genere e mando tutti a quel paese. Siete stanchi di Maradona? Nessun problema, tolgo il disturbo”.

C’è posta per te e per noi. Altri messaggi del 10 luglio. Stai calmo, ti mandano a dire dal Napoli. Rispondi: “Stia calmo Ferlaino. Non mi ha venduto al Marsiglia? Adesso tutto sarà diverso”. Diverso, come? Con Bianchi è finita, ora c’è Bigon. Non te ne frega dell’uno e dell’altro. Messaggio numero tre: “Il Napoli così com’è farebbe fatica ad arrivare quarto”. Ferlaino prende tempo, Moggi fuma il sigaro.

Nessuno parla con te. Il Napoli parla con Guillermo Coppola. Non è la stessa cosa. Il punto è questo: prima di partire per la Coppa America, hai rinnovato il contratto col Napoli. Tredici miliardi di lire per i prossimi quattro anni, scadenza giugno 1992, il settanta per cento anticipato. Il Napoli dice: gli abbiamo dato i soldi, Maradona deve essere corretto con noi.

Il telex picchietta ancora nella sede azzurra. “Chiedo per favore a Ferlaino di cedermi. Non voglio andare via per soldi, ma per motivi familiari. Napoli mi ha dato tutto, adesso vorrei che mi accontentasse ancora una volta. Cedendomi, Ferlaino ha la possibilità di costruire una grande squadra attorno a Careca”.

Motivi familiari? Ribadisci: “A me si può fare di tutto, ma la mia famiglia deve essere lasciata in pace”. I giornali non dicono tutto. Tornano a galla vecchie storie: la biglia contro il parabrezza della tua auto in una notte misteriosa, il furto incomprensibile in casa di tua sorella Maria a Posillipo, il figlio di Cristiana Sinagra, certo anche i fischi nella partita col Pisa, ma anche i tuoi viaggi dovunque, le partenze solitarie per le trasferte senza accompagnarti alla squadra, le notti bianche, l’offerta marsigliese di quel furbone di Tapie.

C’è dell’altro? C’è. Dici di avere paura. Si usano delicati eufemismi: Maradona frequenta la parte meno nobile di Napoli. Non ci vuole molto a capire. C’entra la camorra? C’entra la droga? Nessuno osa dirlo. Non ci sono prove.

Lasci il Brasile e la Coppa, sei a Buenos Aires. Sabato 22 luglio scendi in campo nello stadio del Velez Sarsfield, 50mila spettatori. E’ una partita di beneficenza a favore dei bambini bisognosi. In campo la nazionale di Bilardo contro una selezione di assi argentini, il vecchio Hugo Gatti in porta, poi Fillol, e Batista, Caniggia, Troglio. Giochi con la nazionale, non è una novità. La novità è che con la maglia numero 5, nella squadra biancoceleste, gioca Carlos Saul Menem, 59 anni, da due settimane presidente della Repubblica argentina.

Ma come? Stavolta stai col potere, tu ribelle impenitente? La strana coppia diverte. Menem gioca bene, maschera gli anni, le partite a tennis gli tengono un fisico allenato. Devi battere un calcio di punizione, la tua magìa. Dici al presidente di mettersi nella barriera avversaria, a un tuo cenno si scosterà e tu farai passare la stella filante del pallone magico. Così succede. E’ il gol che fa vincere la nazionale presidenziale di Bilardo.

Cambia il tuo umore? Non cambia. Mandi un telex da Buenos Aires: “Torno a Napoli per soffrire ancora”. La verità è che il Marsiglia non pensa più a te. Tapie ha ingaggiato l’uruguayano Francescoli.

Continua

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20/11/2004
  
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