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1970: i sei minuti di Rivera
La storia dei Mondiali di calcio – 20
di Mimmo Carratelli
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Quattro giorni dopo la maratona coi tedeschi, la finale col Brasile fu un sogno. Ma forse la squadra azzurra, oltre che stanca, era appagata di avere centrato la finale. Il Brasile aveva studiato attentamente il gioco italiano sulle videocassette e, probabilmente, elementi freschi, meno conosciuti dai brasiliani, avrebbero potuto creare qualche sorpresa. Valcareggi, invece, confermò la formazione che aveva battuto la Germania. In ogni caso, la superiorità del Brasile fu alla lunga schiacciante.
Valcareggi affidò Pelè alla guardia arcigna di Burgnich, mentre Rivelino, l’attaccante che partiva da lontano, fu controllato dal mediano Bertini. I brasiliani giocarono senza particolari preoccupazioni tattiche. Erano sicuri della vittoria, come sempre.
Ebbero anche la fortuna di andare subito in vantaggio, dopo 18 minuti. Su un cross innocuo, saltarono Burgnich e Pelè. Il salto di Pelè fu strepitoso. Parve che il brasiliano, sovrastando Burgnich, rimanesse in area un tempo infinito per colpire di testa, venti centimetri più in alto dell’azzurro. Una sospensione come ne sono capaci solo i giocatori di basket.
Illuse, venti minuti dopo, il pareggio di Boninsegna. Giocò bene l’Italia, non funzionava (non aveva mai funzionato) il tandem d’attacco Boninsegna-Riva. Sembrava che i due si ignorassero, reciprocamente gelosi. Boninsegna rubò letteralmente il pallone dai piedi di Riva e con un gran tiro battè il portiere Felix. Gli azzurri, sentendo il risultato clamoroso possibile, si sfiancarono in contropiedi veloci pagando alla fine il tributo all’altitudine.
Tra primo e secondo tempo, Mazzola si slacciò le scarpette sicuro di dover cedere il posto a Rivera per la fatidica staffetta, ma Valcareggi gli disse: “Che fai? Tu giochi ancora”. La squadra rientrò in campo nella stessa formazione.
Forte delle sue straordinarie individualità, il Brasile volò nel secondo tempo verso la vittoria e la conquista della Coppa. Gerson segnò il 2-1 con la squadra verdeoro padrona del campo e padrona di un palleggio elegante ed efficace. La squadra sudamericana correva poco, ma faceva correre la palla. La migliore soluzione, a parte la grande classe dei suoi giocatori, per vincere l’affanno dell’altitudine.
Il vantaggio degli avversari sembrò spegnere la squadra azzurra. Il sogno si stava irrimediabilmente dileguando e il dominio dei brasiliani risultò netto. Gli italiani correvano a vuoto, stremati.
Jairzinho assestò la mazzata del 3-1 a venti minuti dalla fine. Non c’era più partita. Juliano sostituì Bertini senza più forze. In campo boccheggiavano De Sisti, Riva, Domenghini. Cera zoppicava.
Mancavano sei minuti alla fine. In panchina, Rivera cominciò a togliersi le scarpette, pronto a rientrare negli spogliatoi. In campo, Mazzola non guardava mai verso la panchina temendo d’essere sostituito: voleva giocare fino in fondo. A sorpresa, Valcareggi richiamò Boninsegna, che uscì incavolatissimo, e mandò in campo Rivera più sorpreso di tutti. Sull’1-3, con la partita già decisa e agli sgoccioli, che senso aveva quella sostituzione?
Rivera, ovviamente, non incise in quei sei minuti finali. Il terzino Carlos Alberto, dopo una galoppata solitaria, non contrastata da nessuno azzurro, segnò il quarto gol.
Il Brasile (4-1), campione del mondo per la terza volta, si prese definitivamente la Coppa Rimet destinata alla squadra che avesse vinto tre volte la competizione.
Vicecampione del mondo fu un magnifico risultato per l’Italia, ma i sei minuti finali fatti giocare a Rivera furono ritenuti una beffa dai tifosi che attesero il rientro della nazionale per fischiare e protestare vivacemente. Si scatenarono all’aeroporto di Fiumicino dove atterrò la squadra azzurra. I giocatori si aspettavano un’accoglienza festosa per il secondo posto. Ci furono, invece, fischi assordanti e lanci di sassi. Valcareggi fu costretto a fuggire su un cellulare della polizia. L’autobus con a bordo i giocatori dovette rifugiarsi in un hangar che fu sbarrato e là rimase a lungo prima che la protesta dei tifosi scemasse.
Rivera fu accolto come un eroe.
I campioni del modo brasiliani furono Felix, Carlos Alberto, Everaldo, Clodoaldo, Brito, Piazza, Jairzinho, Gerson, Tostao, Pelè, Rivelino.
Gli azzurri che giocarono la finale furono Albertosi, Burgnich, Facchetti, Bertini (Juliano), Rosato, Cera, Domenghini, Mazzola, Boninsegna (Rivera), De Sisti, Riva. Parteciparono alla spedizione messicana anche Furino, Gori, Niccolai, Luciano Poletti, Fabrizio Poletti, Ferrante, Puia, Prati e il secondo portiere Lido Vieri. All’ultimo momento, alla partenza dall’Italia, dette forfait Anastasi, per un problema inguinale, e fu sostituito con Boninsegna.
Il cannoniere del torneo fu il tedesco Mueller con 10 gol.