Calcio
Torna alla ricerca
1934: il primo titolo dell’Italia
La storia dei Mondiali di calcio - 3
di Mimmo Carratelli
L’Italia organizzò il secondo campionato del mondo nel 1934 e lo vinse. Si giocò nelle città di Firenze, Torino, Trieste, Napoli, Genova, Bologna, Milano e Roma. Presenti sedici nazionali: Argentina, Austria, Belgio, Brasile, Cecoslovacchia, Egitto, Francia, Germania, Italia, Olanda, Romania, Spagna, Svezia, Svizzera, Ungheria, Stati Uniti.

Il gran momento del calcio danubiano designò favorite l’Austria col grande centravanti Sindelar, detto “cartavelina” tanto era magro, e il grandissimo portiere Platzer, e la Cecoslovacchia. Era temibile la Spagna del mitico portiere Zamora. Il Brasile partecipò con una formazione minore esaltata da due assi, il centravanti Leonidas definito “il diamante nero”, famoso per le rovesciate, e il fromboliere Waldemar de Brito, che sarà poi lo scopritore di Pelè. L’Argentina schierò una squadra di dilettanti perché i club non vollero concedere i giocatori professionisti.

Vittorio Pozzo, torinese, impiegato alla Pirelli di Milano, alpino e giornalista, guidava la nazionale italiana da cinque anni. Dei giocatori diceva. “Devo sapere tutto di loro, se hanno una preoccupazione, se hanno un’amante”.

La squadra azzurra si radunò prima a Stresa, poi a Roveta sui colli tra Firenze e Pisa. L’Italia giocò una partita di qualificazione con la Grecia a Milano e vinse 4-0. Chiese ai greci di rinunciare alla partita di ritorno ad Atene. La nazionale italiana voleva risparmiarsi lo scomodo viaggio per mare. La Grecia, considerato il penalizzante punteggio di Milano, aderì alla richiesta. La Federazione italiana, riconoscente, comprò ad Atene un palazzo di due piani e lo donò alla Federazione ellenica che ne fece la sua sede. Fu un mezzo scandalo.

Pozzo convocò 40 giocatori. Cinque erano oriundi: gli italo-argentini Monti, Guaita, Orsi e Demaria, l’italo-brasiliano Guarisi. Alla vigilia del Mondiale si infortunò il portiere Ceresoli e Pozzo fece debuttare Giampiero Combi che aveva 32 anni. La formazione-base era: Combi (Juve); Monzeglio (Bologna), Allemandi (Ambrosiana); Ferraris IV (Roma), Monti (Juve), Bertolini (Juve); Guaita (Roma), Meazza (Ambrosiana), Schiavio (Bologna), Ferrari (Juve), Orsi (Juve).

La voce di Nicolò Carosio, palermitano, diffuse per radio le partite dell’Italia. Aveva cominciato a farlo un anno prima da Bologna in occasione di Italia-Germania. Stava ai bordi del campo, seduto davanti a un microfono issato su un’asta.

Il campionato si disputò ad eliminazione diretta. Negli ottavi di finale, l’Italia dissolse gli Stati Uniti 7-1 a Roma: tre gol di Schiavio, due di Orsi, uno di Ferrari e Meazza.

Nei quarti di finale, l’Italia affrontò la Spagna a Firenze. La partita finì 1-1 anche dopo i tempi supplementari e fu necessario ripeterla il giorno dopo. La Spagna si ripresentò senza Zamora e senza il temibile attaccante Langara: li aveva conciati male Monti in una mischia sotto la rete spagnola nella prima partita. Le assenze diffusero il sospetto di un favoritismo degli spagnoli all’Italia, padrona di casa. Nella seconda partita, Meazza detto “il balilla” segnò il gol della vittoria (1-0). Alla Spagna l’arbitro svizzero Mercet annullò il gol del pareggio per fuorigioco.

L’Italia filò in semifinale e battè la favoritissima Austria a Milano. Decise ancora un sol gol. Lo segnò Guaita. Gli austriaci protestarono con l’arbitro svedese Eklind perché Meazza aveva ostacolato il loro portiere. Combi fece parate prodigiose. L’incontro registrò l’incasso-record di 811.526 lire.

Finalissima a Roma allo Stadio del Partito, nel quartiere Flaminio. I posti numerati costavano cento lire. Mussolini comprò simbolicamente un biglietto e presenziò alla gara. Avversario la Cecoslovacchia del supercannoniere Nejedley. A venti minuti dalla fine, l’ala sinistra Puc portò in vantaggio i boemi. Sembrò la fine del sogno. Il centravanti Sobotka fallì il raddoppio, la mezz’ala Svoboda colpì un palo. L’Italia era in ginocchio.

Pozzo si portò dietro la porta degli avversari per incitare gli attaccanti azzurri. A dieci minuti dalla fine, Orsi volò sulla sinistra lasciandosi dietro una muta di inseguitori, fintò il cross di sinistro e calciò violentemente di destro verso l’angolo alto lontano: il grande portiere Planicka si distese inutilmente in volo. Il pareggio rimandò le squadre ai supplementari.

Al 5’ Angiolino Schiavio, alla soglia dei trent’anni, si produsse in uno degli ultimi guizzi della sua carriera e da pochi metri battè Planicka. Il resto dei supplementari fu una sofferenza, ma l’Italia tenne sino alla fine (2-1), forte di un carattere e di una determinazione assoluti. Dopo il gol, Schiavio svenne per l’emozione.

Il giorno dopo, la nazionale tornò allo stadio per la foto-ricordo. Orsi, che giocava con una carta portafortuna nel calzettone sinistro, un “jolly”, volle far vedere come aveva segnato la rete del pareggio. Scattò nell’identica posizione, palla al piede, e calciò verso la porta vuota. Fece tre tentativi e mai il pallone entrò in rete.

Il Brasile fu eliminato negli ottavi dalla Spagna (3-1) e l’Argentina dalla Svezia (3-2). A Napoli, l’Ungheria battè l’Egitto 4-2, ma cadde nei quarti contro l’Austria (2-1). La Germania eliminò il Belgio (5-2) e la Svezia (2-1), ma andò fuori nelle semifinali contro la Cecoslovacchia (3-1).

Il cannoniere del torneo fu il cecoslovacco Oldrich Nejedley con 5 reti, dotato di riflessi felini e grande anticipo.
5/3/2006
  
RICERCA ARTICOLI