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Il gigante delle piscine
di Mimmo Carratelli
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Enzo D’Angelo, un colosso di ragazzo, un gigante in acqua, il più soprappeso dei pallanuotisti, arrivò alla Canottieri Napoli nel 1973, all’epoca ancora eroica e fantasiosa della pallanuoto, proprio a causa del suo fisico straripante nutrito da molte pastiere e dai manicaretti della sorella Giovanna. Giocava nella Rari Nantes e alla richiesta della Canottieri, allenata da Fritz Dennerlein, un dirigente della Rari esclamò: “E’ chiatto, fra poco diventa ‘na vacca, dammincillo”. Lo dettero.
Enzo aveva ventidue anni. Era cresciuto nella Rari, ma per quel dirigente malaccorto era cresciuto troppo. Fu la fortuna della Canottieri. Allora la formazione del Molosiglio era uno squadrone. La disciplina “tedesca” di Fritz regnava sovrana. Ma in acqua andava una banda di scugnizzi terribili. Massimo De Crescenzo era ‘o barone. Suo fratello Paolo “Lola Falana” per i capelli ricci che, quando erano bagnati, ricordavano la pettinatura crespa della ballerina del New Jersey. Gualtiero Parisio era ‘o marchese. Renè Notarangelo, dalle freddure fulminanti, ‘a zoccola. A questi si aggiunse Enzo D’Angelo, ‘a foca di Bacoli, capace di palleggiare disorientando qualsiasi avversario. Quella Canottieri era galvanizzata da Carlo De Gaudio, abbronzatissimo vicepresidente. Portava i giocatori al cinema e distribuiva gelati, ma distribuiva anche generosi premi-partita quando i pallanuotisti invocavano ‘a manata ‘e coriandoli, e i coriandoli erano le lire. C’era una tifosa d’eccezione, Angela Berardini, proprietaria di un negozio di orologi. Ne faceva dono ai giocatori.
Enzo D’Angelo dette alla Canottieri la stazza fisica che mancava al club giallorosso. Proprio a causa di atleti il cui peso era mediamente inferiore a quello degli avversari, Dennerlein inventò la “zona” che sfuggiva allo scontro fisico. Ma Enzo era Maciste. Lui non temeva gli scontri. Li vinceva di forza, ma anchedi abilità. Era il giocatore più agile che si fosse mai visto fra quelli decisamente robusti. Le sue “invenzioni” in piscina furono numerose e sorprendenti. Non solo, da centroboa, sfornava “beduine” e “palombelle”, figure di una pallanuoto estrosa che aveva avuto in Gildo Arena il capostipite, ma beffava gli avversari con ogni genere di colpi. Al portiere dei Carabinieri fece un gol di piede, librandosi sull’acqua, a quello del Mameli segnò di testa, come un centravanti di calcio.
Enzo D’Angelo era un allegrone. Il segreto del suo buonumore e della sua generosità stava forse nella famiglia numerosa creata da papà Angelo, puteolano, e da mamma Anna, di Baia che, alla domenica, celebrava con lauti ed allegrissimi pranzi il giorno festivo riunendo fino a diciannove membri tra figli, nipoti e zii. Da quel crogiolo di affetti, solidarietà e vivacità, nella casa di Sotto il Monte ad Arco Felice, venne fuori Enzo, fra tre fratelli e due sorelle.
Sulla spiaggia di Baia fu un bellissimo bambino bruno dalla pelle vellutata. A dieci anni, nuotava come un forsennato. A quindici giocava a pallanuoto nella tana gloriosa della Rari Nantes. Poi, il passaggio alla Canottieri in cambio di due giocatori, Dino Greco e Riccardo Scognamiglio. Renè Notarangelo lo accolse col soprannome di “fella ‘e pastiera”. Fritz lo portò dal dietologo Mangoni e si mise a dieta con lui. Il tecnico e il centroboa, che portavano in trasferta la loro riserva di pasta aproteica, erano il bersaglio degli sfottò della squadra.
Fu una straordinaria avventura della formazione giallorosa che vinse quattro campionati in sei anni, segnalandosi come la formazione degli scudetti dispari perché centrò l’obiettivo negli anni ’73, ’75, ’77, ’79. Quei campioni parteciparono al “Rischiatutto”. Vinsero un buono per comprare generi alimentari e la squadra ne fece omaggio proprio a D’Angelo e a sua moglie Daria come dono di nozze.
Anche Peppe D’Angelo, uno dei quattro fratelli, giocava a pallanuoto, ma per sua sfortuna portiere, prima alla Rari Nantes, poi alle Fiamme Oro di Roma.Sfortuna perché gli toccò di avere di fronte Enzo. Memorabile una partita a Roma. Fiamme Oro contro Canottieri, l’intera famiglia D’Angelo in tribuna, dieci gol della Canottieri, Enzo ripetutamente a bersaglio contro Peppe, e mamma Anna che, a un certo punto, gli gridò dalla tribuna: “Enzo, bello ‘e mamma, mòbasta”.
Quanti gol abbia segnato Enzo D’Angelo in quasi vent’anni di pallanuoto neppure lui lo sapeva, a vent’anni già in nazionale e presente in tre olimpiadi e due mondiali. Lavorava al Banco di Napoli e un mancato permesso gli tolse la soddisfazione di partecipare ai Mondiali di Berlino nel 1978 quando la squadra azzurra conquistò il titolo iridato. Cominciò col mettere il sigillo allo scudetto 1973 della Canottieri, che interruppe il predominio del Recco e riconsegnò il campionato al club del Molosiglio dopo dieci anni. Fu decisivo per la vittoria finale il gol del sorpasso (6-5) che Enzo segnò nelle acque di Punta Sant’Anna, la turbolenta tana liquida del Recco. Fu Notarangelo a passargli la palla. I due si intendevano a meraviglia. E fu ancora Enzo a segnare un gol essenziale e memorabile a Palermo nella finale di Coppa dei campioni 1977 contro la Marina di Mosca. Alla Canottieri bastava un pareggio per laurearsi campione d’Europa. La partita fu un fuoco pirotecnico di emozioni, russi sempre in vantaggio. Sotto di un gol a trenta secondi dalla fine, Notarangelo ebbe la palla e la passò a D’Angelo, questi gliela restituì, e Notarangelo la ripassò ad Enzo, mia, tua, mia, tua davanti alla porta degli avversari, una suspense infinita fin quando D’Angelo ruppe gli indugi e infilò il pallone in rete. Valeva il pareggio e il titolo europeo. La scarica di adrenalina fu tale che il gigante della Canottieri si fece espellere.
Quattro scudetti con la Canottieri da giocatore, uno da allenatore quando, erede di Fritz Dennerlein, portò la squadra alla conquista del campionato 1990, in acqua l’ultimo dei D’Angelo, Tony. Si allontanò dalla Canottieri quando al Molosiglio tramontò l’ultima epoca d’oro nella pallanuoto e i soci, allarmati dalle spese, perdettero la vocazione genuina di investire nello sport. Enzo D’Angelo andò al Posillipo e, poi, più lontano, al Recco, il rivale storico delle squadre napoletane. Ma, alla domenica, puntuali erano i suoi ritorni nella casa paterna di Arco Felice per quei pranzi che, preceduti e seguiti dallo scopone e dal tressette, erano il festival genuino di una grande, bella famiglia.