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La favola di Maradona
La sua storia a puntate - 20
di Mimmo Carratelli
Diego Maradona nel giorno della presentazione (Foto tratta dal sito ufficiale www.diegomaradona.com)
All’ultimo momento, pibe, forse temendo le critiche astiose a una felicità esagerata, l’organizzazione dell’evento memorabile rinuncia alla parte più spettacolare del tuo arrivo. Annullata la tua discesa in elicottero sul prato del “San Paolo”.

E scocca finalmente il tempo dell’emozione massima, le 18,31 del 5 luglio 1984. Un respiro accentuato, un aguzzare di occhi, un ondeggiamento sugli spalti e la liberazione di un “oooh” di meraviglia.

Nella ressa dei fotografi, sotto il ronzio delle telecamere, nell’agitarsi di inservienti e poliziotti, sbuchi dal sottopassaggio che è sotto la Curva A. Diego Armando Maradona. Il re è arrivato.

Sei un piccolo ragazzo di un metro e 68. Solo Carlo Iuliano, l’addetto stampa del Napoli, è più piccolo di te e porta occhiali da vista giganteschi come li usa Peppino Di Capri. Ecco la tua testa di riccioli neri. La prima ovazione. Due gambe massicce e una faccia da scugnizzo. Invocazioni e strepiti.

Hai difficoltà a farti largo nella ressa. Ci rinunci, torni. Eri così: pantaloni chiari di una tuta, una maglietta bianca sponsorizzata dalla Puma, una sciarpa azzurra e, ai piedi, scarpette da ginnastica.

Liberiamo il boato dell’accoglienza. Trema lo stadio. Il boato si diffonde per tutti i Campi Flegrei e sale sino alla collina di Posillipo. Accendiamo fuochi d’ogni colore. Sprigioniamo nuvole azzurre da potenti fumogeni. Sei sorpreso. E’ l’accoglienza che non hai avuto in nessun posto dove hai giocato.

Fai un giro di campo, seguito dal codazzo dei fotografi. Saluti. Il “San Paolo” è una cassa armonica di canti e di suoni, il preludio dello stadio sonoro che accompagnerà le tue prodezze domenicali.

Al centro del campo c’è un tappeto di caucciù, azzurro. Ti fermi sul tappeto, ti porgono un microfono. Dagli altoparlanti escono rumori confusi. L’agitazione cessa, stiamo tutti in silenzio. Ed ecco le parole magiche che si diffondono nello stadio, come quelle di Alì Babà davanti alla grotta di Sesamo. Perché le tue prime parole ci aprono il cuore.

“Buonasera, napolitani”.

Un boato. L’emozione va in frantumi e scoppia l’allegria.

Una pausa. Prendi il tuo primo pallone napoletano, reliquia conservata chissà da chi. Il tuo primo calcio a Fuorigrotta col magico piede sinistro. Il pallone s’impenna verso il cielo. E’ un coriandolo, una stella filante, accompagnati da un secondo boato. Il pallone ricade verso la Curva B dove la passione azzurra ha il volto e le voci di ragazzi felici. Sono ragazzi dei quartieri popolari, ragazzi della Sanità e dei Quartieri Spagnoli, di Forcella. Sono i ragazzi di un capopopolo del football, Gennaro Montuori, detto “Palummella”, che dirige canti e battimani, rulli di tamburi e “ola” improvvisate.

Nasce un amore.

Vedo la faccia araba di Ferlaino che si contrae in una smorfia di commozione, chi l’avrebbe mai sospettato? Vedo la terza moglie dell’Ingegnere, Patrizia Boldoni, che somiglia sempre più a Laureen Bacall, vent’anni di differenza con Corrado. Vedo i dirigenti del Napoli con le lacrime agli occhi, il naso d’orientamento di Gianni Punzo, il piccolo e gentile Dino Celentano, l’elegante Isaia, Pasqualino Carbone, il vecchio Gallo con la pelle indurita dal sole e dalla faticosa fortuna fatta in Venezuela. E c’è Josè Alberti l’argentino di Marechiaro.

Non vedo Totonno Juliano, sempre schivo, che ti ha voluto fortissimamente a Napoli. Forse c’è il sindaco Vincenzo Scotti che ha mosso bene le acque stagnanti delle banche per aiutare il Napoli.

Vedo, tra i tifosi organizzati, Crescenzo Chiummariello, una palla d’uomo, sudato e felice, cuore d’oro. Ci sarà Peppino Di Capri? C’è Luciano De Crescenzo, l’ingegnere che scrive libri di amena filosofia letti in tutto il mondo. Forse c’è anche Marisa Laurito, la nostra bella ciaciona dello spettacolo. C’è l’ingegnere Carlo Di Nanni, il giornalista storico, con la sua benedizione, e Tonino Scotti, il giornalista che ama il Napoli di un amore forte.

Ci sono Bruno Pesaola, il caro petisso, che ha gli occhi lucidi, l’immenso Vinicio con donna Flora, e Gennarino Rambone, cuore napoletano, il telefonista del Napoli Mario Parente minuscolo e astuto, e c’è, magro e impassibile, Rino Marchesi che dovrà dirigere l’orchestra azzurra.

Prima del tramonto, la festa è finita. Abbiamo occhi umidi, poca voce e una debolezza dovuta all’emozione e alla lunga giornata. Torniamo a casa con un sogno.

Ma sai, pibe, che somigli proprio ai nostri scugnizzi?

Continua

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13/7/2004
  
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