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Calcio
La favola di Maradona
La sua storia a puntate – 152
di Mimmo Carratelli
Coma artificiale e farmacologico, situazione critica. Questa è la notizia che ci arriva domenica, 18 aprile 2004. Ricoverato nell’unità di terapia intensiva dell’ospedale “Suizo Argentina” di Buenos Aires. E poi: c’è un leggero miglioramento. E ancora: la funzione cardiaca è accettabile.

Così, all’improvviso. Tutto è successo all’improvviso.

Ma che cosa è successo, stavolta, caro Diego?

Il dottor Cahe assicura che, negli ultimi tempi, non hai assunto stupefacenti.

Claudia dice che sei tornato a Buenos Aires da Cuba a fine marzo e che tutto stava andando bene, più o meno.

I corrispondenti dall’Argentina scrivono di averti visto di recente in alcuni programmi televisivi ed eri ansimante, sudato, soprappeso di almeno trenta chili e che non riuscivi a parlare.

A Napoli, Cristiana Sinagra, la madre del piccolo Diego, ci rassicura: “Il quadro non è tragico e non si può parlare di pericoli imminenti”. Ha telefonato in Argentina e sa come sono andate le cose: “Diego era reduce da una broncopolmonite mal curata e ha avuto problemi respiratori. E’ andato da solo in ospedale dove gli hanno dato dei sedativi e lo stanno aiutando nella respirazione. Il cuore regge”.

Già, il cuore. Il tuo cuore, Dieguito. Il cuore dilatato. Il cuore di un novantenne, dicono i medici, che ha consumato due terzi delle sue funzioni. Sì, certo, per la stramaledetta cocaina.

Tornano mille voci e mille pareri. “Diego ha un cuore da bufalo, allo stremo” dice il medico colombiano German Alberto Ochoa. “Ci vuole un trapianto” dice il chirurgo brasiliano Nabil Ghorayeb, ma aggiunge: “E’ inutile trapiantare un uomo dalla vita sregolata, allo stato attuale Maradona non reggerebbe il trauma dell’operazione. Obeso com’è, deve avere la cassa toracica piena di grasso che opprime i polmoni e anche il cuore”.

Ma che cosa è successo, tra sabato e domenica?

Dicono che non riuscivi più a dormire, che respiravi a fatica, che ti mettevi a piangere per un niente, che sudavi troppo e spesso e non sopportavi di stare al chiuso. Dicono che ora pesi 130 chili.

Dicono che eri ospite della lussuosa residenza di un industriale di origine italiana, Pascual Mastellone, con un campo da golf di 18 buche. Non vivi più con Claudia da cui sei separato. E che, sabato, a notte inoltrata sei andato a giocare con una pallina fosforescente. E che hai giocato sino all’alba, folle Dieguito del nostro cuore in ansia.

All’alba, sei andato a prendere Gianinna in una discoteca. Siete andati in una trattoria a bere una birra e a mangiare una pizza. Eri felice con tua figlia e hai fatto giochi divertenti, come tenere una bottiglia in equilibrio sulla testa. Ed eri zuppo di sudore nella notte fredda.

Hai continuato da matto. Sei rientrato nella residenza di Mastellone e hai mangiato pollo con patate e bevuto mate e caffè. E sei tornato a giocare a golf. Poi sei andato alla partita del Boca alla “Bombonera”. Una imprudenza dopo l’altra, nelle tue condizioni.

Nel pomeriggio di domenica, la crisi. Vomito e febbre a quaranta. Chiazzato di vomito e bagnato di sudore ti hanno portato all’ospedale “Suizo Argentina” con un’autoambulanza. Respiravi a fatica con la pressione arteriosa al limite.

Questo è successo. Una follia delle tue, Diego. E ora i giornali titolano: “L’Argentina si ferma e parla solo della salute di Diego”. Come quattro anni fa, quando sei stato sul punto di morire a Punta del Este, in Uruguay.

Il dottor Cahe dice che dovrai restare in ospedale per un lungo tempo. Polmonite con rischi di complicazioni.

Claudia, Dalma e Giannina sono con te, oltre la porta dell’unità intensiva. Accorre anche il presidente del Boca, Macri. Accorre il piccolo Jorge Burruchaga al quale passasti il pallone decisivo per il titolo mondiale del 1986 all’Azteca, contro la Germania.

A Napoli sono tante le manifestazioni di affetto, ingenue e spontanee, nei luoghi dove resistono le tue immagini sui muri, dove il barista Enzo Limatola custodisce in una vetrinetta un tuo capello originale, a San Biagio dei Librai, e a Forcella dove il tempo non ha ancora cancellato i murales degli anni Ottanta e Giovanni Durante, in via Vicaria Vecchia, cura sempre la tua gigantografia e una specie di edicola votiva con una tua foto di gioco al “San Paolo”. In Galleria, su un grande albero, e in via Roma, nella vetrina di un negozio di articoli sportivi, i tifosi che non ti dimenticheranno mai lasciano biglietti di auguri e di speranza. Dicono quei biglietti: “Sei un mito, non mollare”, “El pibe non se puede matar”, “Diego, ridacci il tuo cuore”, “Un cuore come il tuo è indispensabile”. Stanno preparando uno striscione di cento metri da mostrare allo stadio.

Il Napoli sta fallendo e tu, Dieguito, sei in un reparto di rianimazione a Buenos Aires. Ecco come è girato il mondo.
8/5/2006
  
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