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Cultura
Arte ed architettura
nel complesso degli Incurabili
di Achille della Ragione
Il Complesso degli Incurabili è tra i più importanti siti monumentali di Napoli; di epoca rinascimentale, si trova nel centro storico, non lontano dal decumano superiore (ora via dell'Anticaglia). 

Esso originariamente, comprendeva la chiesa di Santa Maria Succurre Miseris dei Bianchi, la chiesa di Santa Maria del Popolo e lo storico ospedale di Santa Maria del Popolo degli Incurabili. 

Col tempo ingloberà anche la chiesa di Santa Maria delle Grazie Maggiore a Caponapoli e l'omonimo chiostro, il complesso di Santa Maria della Consolazione, la chiesa di Santa Maria di Gerusalemme e il chiostro delle Trentatré. 

Lo storico ospedale degli Incurabili, fondato nel 1521 da Maria Lorenza Longo che volle tener fede ad un voto fatto quando era vittima di una malattia che l'aveva paralizzata, oltre agli altri pregi, racchiude la notevolissima la splendida farmacia settecentesca realizzata da Bartolomeo Vecchione a cui abbiamo dedicato un apposito capitolo.

L'insieme di queste strutture racchiude quelle che rappresentano alcune fra le più importanti testimonianze del rinascimento napoletano. Il complesso è infatti una rarissima testimonianza di un'opera umanitaria e sanitaria dell'epoca che avrebbe dovuto accudire i malati incurabili.  

Nel complesso degli Incurabili, a Capo Napoli, centro dal quale si dirama l’energia di Neapolis, c’è la cappella di Santa Maria Succurre Miseris della Compagnia dei Bianchi di Giustizia. Si tratta di una confraternita fondata nella seconda metà del ‘400 dal frate predicatore francescano Domenico Gonzalo: il futuro San Giacomo della Marca.  

Chi operava nel complesso ospedaliero aveva particolare attenzione alla cura del corpo e dell’anima, soprattutto per il delicato momento del trapasso, sia dei malati che dei condannati a morte. Gli appartenenti alla congrega vestivano un saio con cappuccio bianco e si occupavano di confortare coloro che avevano l’appuntamento col triste mietitore, farne celebrare i funerali, le messe in suffragio e l’assistenza post mortem delle famiglie. 
Agli Incurabili hanno trovato riscatto e lavoro tante donne che, spinte dalla miseria, avevano imboccato la strada della prostituzione, redimendosi con la cura dei malati. Il meretricio era molto diffuso nella capitale del regno, sia per le condizioni di disagio economico delle giovani popolane che per la presenza di militari della guarnigione spagnola di stanza a supporto del viceré. 

La cappella dei Bianchi era accessibile solo tre volte l’anno: a Pasqua, nel giorno dell’Assunzione e il giorno dei morti ovvero il 2 novembre quando si svolgeva la scenografica processione delle ossa, un rito che ricordava quello del funerale in suffragio di tutti i condannati per cui era stato impossibile celebrare le esequie.

La cappella è un vero e proprio scrigno di tesori e tra questi quello che più attira l’attenzione dei visitatori è una impressionate statua in cera conosciuta con il nome de ‘La Scandalosa’ (fig. 1).  Un ritratto vivido che aveva il compito di ammonire le giovani donne che avevano intrapreso o stavano per avviarsi al turpe mercato della prostituzione.

Esso mostrava, infatti, gli effetti, sul viso e sul corpo, della sifilide o lue, la malattia a trasmissione sessuale per la quale una cura è stata trovata solo nel secolo scorso e che ha causato vere e proprie epidemie. Chiamata “mal francese” o “mal napoletano”, la sifilide si trasmette a causa di un batterio e, se non trattata, può causare la morte che, a quei tempi, era certa visto che non si conoscevano gli antibiotici.

A descrivere questa particolare opera d’arte, sconosciuta alle frotte odierne di turisti frettolosi che consumano i basoli delle strade, è stato Salvatore Di Giacomo, poeta, autore di canzoni napoletane e saggista: “Vidi ch’ella rinserrava un mezzo busto di cera, di grandezza quasi naturale…Un mezzo busto femminile  -  una orribile faccia contratta nelle smorfie della sofferenza, una bocca spalancata come in un urlo, un cranio giallastro sul quale la finzione paurosa dell’artefice aveva radunato ciocche copiose di spioventi capelli neri… Il vecchietto - riferendosi al custode - , s’alzò piano e mi s’appressò. - “Questa è la ‘donna scandalosa’ e si tiene qui perché tutte le femmine che fanno la vita cattiva sappiano che i sorci, gli scarafaggi e i vermi, dopo ch’è morta una di queste che dà il cattivo esempio, se la mangiano quelli animali”. Rabbrividii. Nella mezza oscurità quell’orribile busto di cera diventava impressionante: ora mi pareva davvero che la ‘scandalosa’ torcesse la bocca”. 

“La scandalosa” è esposta nella sagrestia della cappella, in una scarabattola, poco distante da un altro contenitore in legno e vetro che ospita un teschio: un memento mori che a tutti doveva e deve ricordare la caducità della vita e l’attenzione alla cura dell’anima visto che nessuno è a conoscenza del momento del proprio trapasso come ricorda San Matteo nella parabola delle dieci vergini “Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno, né l’ora in cui il Figlio dell’uomo verrà”. 

L'oratorio della Compagnia dei Bianchi della Giustizia contiene numerose opere d’arte meritevoli di attenzione.  Esso, insieme alla congregazione, venne fondato nel 1473 da san Giacomo della Marca e nel 1519, grazie all'appoggio di papa Paolo IV, venne ingrandito e restaurato. Nel XVI secolo la congregazione, trasferitasi nella Santa Casa degli Incurabili, divenne nota nel Regno e fuori grazie alla sua attività. Nel 1583 il re Filippo II ne ordinò lo scioglimento poiché essa generava sospetti nelle autorità spagnole a causa della segretezza nella quale si svolgeva la sua opera. Nel 1673 vennero eseguite nell'oratorio modifiche e restauri barocchi su progetto di Dionisio Lazzari.

L'ingresso all'oratorio si trova alla sinistra del portale nord di accesso al complesso, dopo una scala in piperno malridotta; l'ingresso è costituito da un portale anch'esso in piperno. L'elemento architettonico di spicco è la settecentesca scala a tenaglia (fig. 2) che dal cortile degli Incurabili sale all'ingresso secondario della chiesa. 

Nell'interno una effimera decorazione barocca composta da affreschi sulla volta; nelle fasce laterali vi sono efebi che hanno funzione di telamoni, ai quali si alternano conchiglie con figure allegoriche. Sull'altare è posta una statua della Vergine(fig. 3) di Giovanni da Nola, mentre la volta fu affrescata da Giovan Battista Beinaschi (fig. 4 - 5) nel 1672. 

La sagrestia presenta una volta affrescata da Paolo De Matteis nel 1720 e molti ritratti di membri eminenti della confraternita alle pareti( fig. 6 – 7 – 8). Altro ambiente di pregio è la Cappellina della Madonna della Purità, ornata sulla volta da stucchi dorati e alle pareti da affreschi illusionistici, dove sull’altare vi è un dipinto attribuibile a Pacecco De Rosa (fig. 9). Infine vogliamo segnalare la presenza di un dipinto attribuibile ad Antonio Sarnelli, raffigurante un putto col simbolo dei Bianchi

Nell’Ottocento sarà il poeta Salvatore Di Giacomo a descrivere la sua visita alla celebre istituzione, famosa per l’ufficio principale dei confratelli: l’assistenza ai condannati a morte. Attività che gli incappucciati svolsero accompagnando al patibolo e raccogliendo le ultime volontà di migliaia di miseri e documentando ogni cosa nei loro registri.

Carte preziose, che raccontano pezzi importanti della storia di Napoli Capitale, quale quella dei martiri della Repubblica del 1799. I confratelli si occupavano anche di confortare e assistere materialmente le famiglie dei condannati a morte come pure i malati ricoverati nelle corsie dell’Ospedale Incurabili.

La Compagnia, fondata da Giacomo della Marca, ebbe tra i suoi adepti e correttori San Gaetano da Thiene (fondatore dei Teatini), Sant’Alfonso Maria de’ Liguori (autore di “Tu scendi dalle stelle”), Francesco Caracciolo (detto il cacciatore di anime) oltre a nobili e importanti mercanti dei seggi di Napoli. Certamente, la compagnia fu punto d’incontro tra i poteri forti del vicereame spagnolo, la Curia, i nobili e i mercanti dei seggi.

Maria Lorenza Longo, fondatrice e governatrice dell’Ospedale Incurabili, si prendeva materialmente cura dei confratelli di cui lavava gli abiti spesso intrisi del sangue dei condannati. Ecco perché la storia dell’Ospedale è strettamente legata alla Cappella. Al di là dell’aspetto caritatevole e sociale della compagnia, il popolo dava molta importanza alla scenografia del supplizio di cui i Bianchi erano essi stessi parte, perché presenti accanto al boia. 

Spesso le corde usate per l’impiccagione erano raccolte dai confratelli perché non se ne facesse commercio da parte del popolino, uso compravendere macabri reperti umani, strumenti di tortura e del supplizio ritenuti preziosi contro il malocchio.

La chiesetta di Santa Maria Succurre Miseris veniva aperta a pochi fortunati solo due volte l’anno, a Pasqua e all’Assunzione e, talvolta, il 2 novembre, quando aveva luogo la cosiddetta “processione delle ossa”, una sorta di funerale collettivo dedicato a quei giustiziati che non avevano potuto ricevere conforto delle esequie nei mesi precedenti. Il corteo raccoglieva su carri, addobbati con giganteschi ceri, le ossa dei condannati e partendo dalla Chiesa di Santa Maria di Loreto si concludeva nel cortile della Real Casa di Santa Maria del Popolo degli Incurabili.

Nell’opera di Giuseppe Boschetto “La Pimentel condotta al patibolo” (fig. 11), l’eroina della rivoluzione napoletana del 1799 viene ritratta poco prima di giungere a Piazza Mercato, dove sarà impiccata. Nel dipinto realizzato nel 1868, Lenór appare preceduta da un manipolo di uomini incappucciati, vestiti con un saio bianco. Si tratta dei componenti della Compagnia dei Bianchi della Giustizia, un’organizzazione caritatevole, che sin dalle origini aveva assunto la funzione di assistenza e conforto dei condannati a morte.

Associazione fondamentale durante la dominazione borbonica, i Bianchi della Giustizia vengono citati anche da Enzo Striano ne “Il resto di niente”, opera in cui l’autore dipinge un magistrale affresco della Rivoluzione Napoletana e dei suoi protagonisti. In particolare, parlando del corteo che avrebbe accompagnato al patibolo alcuni dei rivoluzionari condannati a morte, fra i quali Gennaro Serra di Cassano ed Eleonora Pimentel Fonseca, dice: “Si dispone il corteo, secondo misterioso, stolido rituale. Avanti i soldati, poi le guardie, i Bianchi, uno sbirro che porta lo stendardo blu e d’oro della Vicarìa, il trombetta che squilla e strillerà”. 

La Cappella dei Bianchi della Giustizia rappresenta un vero e proprio museo capace di illuminare su un momento importante della storia di Napoli: si tratta di un luogo emblematico dell’identità di un popolo da sempre fortemente animato da forme di creatività autentica, tanto nel campo artistico quanto nei modi della carità laica e cristiana. 

“Erano molto veri il dolore e il male di Napoli, uscita in pezzi dalla guerra. Ma Napoli era città sterminata, godeva anche di infinite risorse nella sua grazia naturale, nel suo vivere pieno di radici”, scrive Anna Maria Ortese in “Il mare non bagna Napoli”, per descrivere una società complessa e complicata come quella partenopea, capace anche in contesti decisamente problematici di attivare veri e propri laboratori di innovazione utili all’emergenza di possibili strategie di trasformazione sociale.

L’ultimo giustiziato ad essere “confortato” dai confratelli dei Bianchi fu il messinese Salvatore Gravagno,  soldato del  2° Granatieri, fucilato il 20 dicembre 1862, sotto il Fortino di Vigliena al Ponte. 

Attualmente i Registri della Congregazione dei Bianchi della Giustizia sono custoditi presso l’Archivio Storico Diocesano di Napoli e rappresentano un patrimonio inestimabile di notizie che abbracciano tre secoli di storia. 






24/4/2021
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