Approfondimenti
Pionieri, miti e primati
dei giornalisti sportivi napoletani
di Mimmo Carratelli
(da: Roma del 27.04.2020)
 |
Text Size |
 |
Noi vecchie “querce” della carta stampata, reduci dell’epoca romantica dei giornali, superstiti di una meravigliosa avventura, superati e travolti, oggi, dai giovani e saettanti paladini del web, dei giornali on-line, dei blog, del bla-bla-bla in 280 caratteri, WhatsApp e Instagram, ragazzi più veloci della luce, noi che veniamo dal twist e abbiamo ceduto il campo ai tweet vogliamo raccontare una storia, così, mentre tutto è fermo, e le storie vengono a galla.
E chissenefrega se è una storia che ce la raccontiamo a nostro uso e consumo di antichi picchiatori sui tasti delle grosse e nere macchina per scrivere scomparse e sepolte, e i ragazzi d’oggi che pigiano abili e frenetici sui tablet ci guardano come si guardano le statue di cera di madame Tussauds a Londra e il sarcofago di Tutankhamon nella Valle egiziana dei Re.
La carta stampata, di cui dopo tanti miracoli si annuncia la fine, ma resisterà, resisterà, è stata il nostro vizio. Toccarla, odorarla dopo essere stata inchiostrata. Le bozze di stampa, le vecchie, buone, odorose bozze di stampa, umide e tenere. La buona carta dei giornali nelle gigantesche bobine delle cartiere vorticosamente mulinate dai rulli delle tuonanti rotative nelle notti febbrili delle prime edizioni, spento l’ultimo ticchettio delle linotype, un balletto da Fred Astaire in tipografia.
Oggi, tutto è computerizzato. L’orchestra delle tipografie è finita, la tipografia non c’è più. Non ci sono più i rumori e gli odori del buon tempo antico dei giornali. Il giornale viene fuori asettico, senza più il profumo delle notizie fuse nel piombo, viene fuori pulito, le nuove macchine di stampa hanno eliminato l’inchiostro che sporcava le mani, quel magnifico, primo, vivo contatto del giornale dei vecchi tempi.
Ragazzi stupite, Agata stupisci. Macchina del tempo, vai indietro. Fine ‘700, a Napoli e nel Regno c’erano 106 stabilimenti tipografici. Rubo notizie e curiosità dal volume di Piero Antonio Toma “Giornali e giornalisti a Napoli”. Nel 1873 si stampavano a Napoli 81 giornali (18 erano quotidiani).
Il primo numero del “Roma” uscì il 22 agosto 1862, la stamperia di Giovanni Brombeis era al Vico Lupanare al Cavone. Ma c’era già “Il Pungolo” nel 1860, “non più largo di un fazzoletto da signora”, seimila copie, distribuito di sera. Mercoledì 16 marzo 1892 apparve la prima copia de “Il Mattino”.
Napoli e i giornali, tanti primati. Il 10 agosto 1752, uscì a Napoli il primo quotidiano assoluto in Italia, “Il Diario Notizioso”, costava meno della metà di una pagnotta di pane, prima edicola una libreria in via Sant’Angelo al Nilo. Salvatore Maffei, che ha ricostruito e poderosamente arricchito l’Emeroteca Tucci alla Posta centrale, ne conserva una delle due uniche copie esistenti. Nel 1664 era già uscita “La Gazzetta di Mantova”, ma era un settimanale.
Napoli all’avanguardia. Il “Monitore” di Eleonora Pimentel Fonseca apparve il 2 febbraio 1799, portò la data di “sabato 14 piovoso dell’anno VII della Libertà”, piovoso no, fu una giornata di sole con la neve sul Vesuvio.
LO SPORT
“La Gazzetta dello Sport” vede la luce il 3 aprile 1896 a Milano, carta verdolina, in edicola lunedì e venerdì, carta rosa dal 1899, quotidiano dal 1913.
A Napoli non stiamo a guardare. Adolfo Cotronei, schermidore olimpico, e Vittorio Argento, anch’egli spadaccino rinomato, fondano il settimanale “Tribuna Sport”. È il 1902. La stampa sportiva napoletana prende il via. Cotronei, l’anno dopo, andò a fare il redattore capo al “Corriere della sera”, poi vicedirettore a “La Gazzetta dello Sport”, antesignano di Gino Palumbo alla conquista di Milano.
Prendiamo il volo negli anni Venti. Felice Scandone, avellinese trapiantato a Napoli, giornalista, aviatore, calciatore e dirigente sportivo, fonda nel 1923 “Il Mezzogiorno sportivo”, trisettimanale, redazione in un ammezzato che affaccia su Piazza Trieste e Trento, alla destra della chiesa di San Ferdinando.
Con Scandone, c’è Michele Mottola (irpino di Atripalda) che sul giornale del 9 marzo 1931 spara questo titolo rimasto leggendario: “Una vittoria che vale un campionato: Napoli batte Roma 3-0”. Mottola passò poi al “Roma” quando la sede era in via Roma 402, quindi nel 1942 spiccò il volo verso il “Corriere della sera” divenendone il redattore-capo per trent’anni, elegante, taciturno, impenetrabile. A mezzogiorno era in via Solferino e staccava alle quattro del mattino.
Felice Scandone inventò la “radiocronaca dal balcone”. Si affacciava su Piazza Trieste e Trento riferendo le notizie che arrivavano via telefono dall’inviato al seguito del Napoli. La prima la fece il 23 giugno 1929 per il memorabile spareggio tra il Napoli e la Lazio che valeva l’ammissione alla prima serie A a girone unico. In guerra da aviatore, Scandone fu abbattuto dagli inglesi nel cielo di Tobruk il 10 settembre 1940.
Nel giugno del 1924 sboccia “Tutti gli Sports”, diretto da Antonio Scarfoglio, primo dei quattro figli di Edoardo Scarfoglio e Matilde Serao, settimanale illustrato in carta verdolina con articoli da tutto il mondo e le grandi foto di Ascari, Binda, Girardengo, Nuvolari, Learco Guerra sul traguardo dell’Arenaccia a conclusione di un Giro della Campania, Pupetto Sirignano impegnato nella Sorrento-Sant’Agata su un’Alfa 1750, le memorie di Primo Carnera, un’attenzione particolare alle donne nello sport, un numero a colori per Italia-Svizzera all’Ascarelli nel 1932.
Vi esordì il fotografo Riccardo Carbone con studio in via Chiaia. Giornalista di punta Mario Argento, figlio di Vittorio, ginnasta, nuotatore, calciatore, pallanuotista, militare in entrambe le guerre mondiali. Persona mite, colta, occhi azzurri. Allevava uccelli. Il settimanale cessò le pubblicazioni nel 1936. Cominciava l’autarchia.
TRE ASSI
Partono da Napoli tre assi del giornalismo sportivo. Gino Palumbo è del 1921, nato a Cava de’ Tirreni. Antonio Ghirelli è del 1922 e Maurizio Barendson è del 1923, napoletani.
A quindici anni, Palumbo (fantastico!) firma un articolo sul “Littoriale”, il titolo del “Corriere dello sport” negli anni del fascismo (dal 1927 al 1944). Lavora alla redazione napoletana de “La Gazzetta dello Sport”. A 27 anni, è redattore sportivo a “La Voce”, uno dei primi tre giornali napoletani del dopoguerra (quattro pagine, 15 lire) col “Risorgimento” e “Il Giornale” quotidiano del pomeriggio.
Nel 1949 Gino è a “Il Mattino”. Comincia una splendida carriera. Rivoluziona le pagine sportive. Nel 1953 fonda il settimanale del martedì “Sport Sud”, poi “Lo Sport del Mezzogiorno” che usciva al venerdì. Piccolo, rosso di capelli e col viso che gli si accendeva durante le sfuriate ai suoi redattori, è un commensale spiritoso ma, in redazione, un inflessibile cerbero. Soprattutto un eccelso caposcuola.
Nel 1962, passato a dirigere le pagine sportive del “Corriere della sera”, si afferma definitivamente. Da grande organizzatore, anticipa i gusti del pubblico. Inventa un giornalismo sportivo popolare. Dal 1976 al 1983 è direttore de “La Gazzetta dello Sport” che cambia profondamente e arricchisce, imponendo un nuovo modo di raccontare lo sport, più umano, meno tecnico.
Antonio Ghirelli era uno dei “ragazzi di via Chiaia”, com’era chiamato quel gruppo di giovani con Raffaele La Capria, Francesco Rosi e Giuseppe Patroni-Griffi con la passione della letteratura e del giornalismo che si ritrovarono a lavorare insieme a Radio Napoli nel palazzo della Singer a corso Umberto subito dopo la guerra.
Antonio ha avuto una vita avventurosa e l’avventura più appassionata fu quella nei giornali. Cominciò a Napoli a “La Repubblica” (fondata nel 1944 da Vincenzo Dattilo poi capo dell’Ansa da Napoli) e a “La Voce” scrivendo di sport dopo avere visto per la prima volta il Napoli all’Ascarelli contro il Bologna con Buscaglia che perse una scarpa e segnò un gol a piede nudo.
Trasferitosi a Roma, prima impaginò l’edizione romana de “La Gazzetta dello Sport”, poi fu per sette anni a “Paese sera”, il quotidiano di sinistra del pomeriggio, scrivendo ogni lunedì una intera pagina di commento, “Il romanzo del campionato”, sulle partite della domenica.
Con quella faccia da duro del Bronx diresse “Il calcio illustrato” nel 1958, “Tuttosport” nel 1959 e, per nove anni, il “Corriere dello sport”, fantastico maestro e scrittore gustoso, ancor di più oratore irresistibile nei dibattiti sportivi (schiacciò Gianni Brera a Cesenatico nel conviviale “Processo del calcio” inventato dal romagnolo Alberto Rognoni, per 40 anni uomo-ombra del pallone italiano ed editore del primo “Guerin sportivo”, verdolino in formato gigante). Direttore del Tg2 scovò Lilli Gruber nella redazione Rai di Bolzano lanciandola conduttrice del telegiornale della sera.
Maurizio Barendson, con la fronte spaziosa abbandonata ben presto dai capelli, eterno ragazzo entusiasta, si trasferì presto a Roma prima al “Tempo”, poi caposervizio dello sport al “Giornale d’Italia”, quindi dal 1968 in Rai responsabile dello sport. Con Paolo Valenti e Remo Pascucci, nel 1970, inventò “Novantesimo minuto” che condusse in coppia con Paolo. Fu per tutti “il timido che bucava il video”.
MITICI
Ed ecco tre leggende del giornalismo sportivo napoletano, Arturo Collana, Agostino Panico, Carlo Di Nanni.
Alto e grosso, capelli rossi, volto pieno e immenso, classe 1894, Collana era il John Wayne, lo Sceriffo, della redazione sportiva de “Il Giornale” con sede in via Nardones e tipografia a San Biagio dei Librai, “L’Arte Tipografica” del mitico Angelo Rossi nel Palazzo Marigliano.
Ho conosciuto Collana sessantenne energico e straripante nel dopoguerra a capo di una squadra con Mimì Farina, piccolo e gentile, Diego La Penna stramalato di ciclismo (a un Giro della Campania portò Fausto Coppi), Antonio Capolino, Franco Salvo, l’incontenibile Mario Cicellyn tifoso di La Paz (il mulatto del Napoli anni Quaranta), il mite Mario Argento coetaneo di Collana, il voluminoso Pio Nardacchione.
A Collana, il popolare e temuto Carlo Di Nanni tirò uno scherzo memorabile indicandolo, a una partita della nazionale all’Ascarelli, come il commissario tecnico Vittorio Pozzo. Collana fu aggredito da una folla di tifosi napoletani che gli urlarono di convocare in nazionale Arnaldo Sentimenti, il portiere del Napoli.
Carlo Di Nanni, nato a San Severo delle Puglie, venuto a Napoli per laurearsi in ingegneria, scapolo a vita dopo un delusione d’amore, calciatore, arbitro e alto dirigente calcistico, gran personaggio tra gli anni Venti e gli Ottanta, viveva con una sorella a Materdei, giornalista temuto per le cronache teatrali e sportive lanciando anatemi che andavano spesso a segno. Come la volta che scrisse “Quando Lustha segnerà se ne cadrà lo stadio”. Lustha segnò finalmente nella partita del Napoli contro il Bari al Vomero (27 gennaio 1946) e per la pressione della folla venne giù una balaustra dello stadio con 114 persone fra feriti e malconci.
Agostino Panico, dalla leggendaria sigla “agopan”, impiegato all’Esattoria comunale, a capo della redazione napoletana del “Corriere dello Sport” in quella prima sede di via Tommaso Senise, nei pressi di Piazza Carità, uno sgabuzzino con due scrivanie, inizi anni Cinquanta.
Si alternavano ai due tavoli i giovanissimi (destinati a una gran carriera nei giornali) Riccardo Cassero e Salvatore Maffei, Cesare Marcucci e Bruno Lucisano, Adriano Cisternino, Gianni De Felice detto “Serpelice” non avendo un buon carattere, il puteolano Franco Ferrara resocontista assoluto del Napoli poi schizzato alla sede centrale del “Corriere dello sport” a Roma, Franco Bucarelli che esordì a 17 anni con un articolo sulla Bagnolese, poi emigrò negli Usa e divenne un grande “inviato speciale” prima a “Il Mattino” e poi alla Rai-tv intervistando i più grandi protagonisti della Terra, compresa l’“intervista” a una elefantessa nella savana del Kenia, sotto lo sguardo sconcertato dell’operatore Massimo Coconi, e uno sceicco a Petra gli regalò un cavallo bianco.
ALLEGRA BRIGATA
Siamo stati giovani e scatenati nella seconda metà del secolo scorso (Totò: come passa il tempo!). Accidenti, dal nostro tempo sono passati già vent’anni.
Andavo dietro al Napoli con Romoletto Acampora, io del “Roma”, lui de “Il Mattino”. Andavo alle Olimpiadi e ai Mondiali di calcio con Giuseppe Pacileo (“Il Mattino”), qualche volta col mio sbarazzino Duetto rosso a coda mozza, altre volte con l’austera Rover due litri di Peppone che mi dispensava musica classica a tutto volume.
Al vecchio “Roma” di via Marina eravamo allo sport una bella squadra. Ugo Irace, piccolo e nervoso, sempre in agitazione, è stato il mio primo capo-servizio. Mario Gherarducci, bello e abbronzato, lavorava a torso nudo e staccava a mezzanotte per andare al “Trocadero” dove trovò moglie.
Lo seguiva Gianni Nicolini, fantastico nel disegnare menabò. Antonio Scotti, gentiluomo borbonico che faceva collezione di soldatini di piombo, mi “consegnò” il Napoli.
Clemente Hengeller somigliava a Mel Ferrer e suonava il piano. Franco Scandone, figlio di Felice, era il magnifico organizzatore del “Roma del lunedì”, Adriano Cisternino, dispensatore di saggezza, carattere forte e tenero, benvoluto da tutti.
Al “Roma” degli anni Sessanta cominciò Carletto Iuliano prima di proiettarsi nel Napoli a inventare l’ufficio-stampa nei club di calcio. Franco Fontanella faceva le “disegnate” delle partite del Napoli rivaleggiando con quelle di Carmelo Silva sul “Calcio illustrato”.
Fra i giovanissimi, Antonio Sasso era il più sveglio di tutti, lo chiamavamo “periscopio”, non gli sfuggiva niente, è diventato il grande direttore del “Roma” tenendolo in vita col suo lavoro appassionato e mettendo su una giovane redazione di eccellenti giornalisti.
Maurizio Romano se ne andò poi alla Rai, Umberto Carli al giornale di Vicenza. Carlo Dell’Orefice era uno splendido organizzatore delle pagine sportive. Ciccio Marolda e Adolfo Mollichelli magnifici, prima di dirottarsi a “Il Mattino”.
Pasquale Esposito seguiva l’Internapoli e Gianfranco Lucariello cominciava la sua spendida avventura di giornalista e imitatore (formidabili quelle di Bianchi e Bruscolotti). Il marchese Sergio Capece, gran bell’uomo, scriveva di tennis. Italo Kuhne, biondino col naso a punta bruciato dal sole, esperto di sci e pallanuoto, Carlo Franco di nuoto. Nino Miraglia seguiva il pugilato, Lucio Pomicino il rugby, eredità ovale lasciatagli da Mariano dei sette fratelli Pomicino.
Il “Corriere dello sport” si trasferì in via Chiatamone, alfiere Ciccio Degni, uomo di mare, scattante come un delfino, e uomo di baccarà (notti infinite). Con lui Rino Cesarano, Gasparrino Acampora, Crescenzo Chiummariello che chiamavamo “Piombino” traducendone il cognome in italiano, Walter Pandimiglio, Francesco De Luca.
Oggi va in scena Antonio Giordano, “cavaioulo” come Palumbo, cioè di Cava de’ Tirreni, resocontista onirico. “La Gazzetta dello Sport” a Napoli passò da Ciro Buonanno a Rosario Pastore, poi Francesco Rasulo collega delizioso, Gustavo Affinita, Angelo Carotenuto, oggi svetta Mimmo Malfitano, bel tenebroso e cronista puntuale.
“Sport Sud”, diretto da Enrico Marcucci, poi da Aldo Bovio, fu una fantastica fucina di giornalisti. Nino Masiello, anche commediografo, dalla scrittura brillante, Mino Jouakim dal gossip in esclusiva, l’intervistatore-principe Vittorio Raio, Mario Vitelli, Mimmo Ferrara, Elio Tramontano, Mimì De Simone, Mimì Pessetti che con Enzo Pagliaro curava “Campania Sport” inventata da Sasso con Gregorio Di Micco per il calcio minore.
Alla redazione sportiva de “Il Mattino” gran timoniere è stato Riccardo Cassero col fido Ciccio Assini e una girandola di baldi guaglioni da prima linea, Gianni Infusino l’ultimo innamorato di Matilde Serao, l’immenso Lello Barbuto re del basket, Bruno Buonanno nero come un tizzone, Maurizio Mendia patito di grafica e di vela, il rombante Sergio Troise appassionato cronista di Formula 1, Mario Caruso (rugby), il mago delle pagine Clodomiro Tarsia, l’impagabile Zezé Guardascione, Vinni Volpe donne e motori, Sergio Iannaccone, Toni Iavarone, Gianfranco Coppola di passaggio fulmineo per andare prima al “Roma” e poi in Rai, ma anche Gegè Maisto padrone della vita dei Circoli nautici, Salvatore Massara sovrano dell’atletica dopo il “regno” di Mimmo Pomara, Salvatore Fellico, cronista del kappaò, Gaetano Borrelli che sussurra ai cavalli, gran conoscitore del mondo ippico e notista delicato delle corse ad Agnano, forse parente stretto di Varenne. Senza dimenticare l’esperto di pugilato Salvatore Esposito.
Giuseppe Pisani fondò la Rotopress, agenzia che fu una scuola di giornalismo, in un seminterrato di via Diocleziano al completo però di ogni tecnologia.
Cominciavano a conquistare a pieno merito la scena maggiore Antonio Corbo (“Corriere dello sport”, poi “La Repubblica”) dalla scrittura lampeggiante e Franco Esposito (“Il Mattino”, poi “Corriere dello sport”) dalla scrittura elettrica. Il porticese Guido Prestisimone, solitario solista, alto, eterno sigaro in bocca, si batteva per il calcio breriano e i talenti del Sud. Inventò con Antonio Fontana le “dirette” radiofoniche dal San Paolo.
FONDATORI
Il “Corriere della sera” è nato dall’idea del napoletano Eugenio Torelli Viollier, fondatore e direttore per ventidue anni del giornale milanese. Bisogna mettere anche questo nel conto del giornalismo napoletano. Torelli, padre avvocato, madre francese (Josephine Viollier), napoletano classe 1842, arrivò al giornalismo grazie ad Alexandre Dumas. Il prodigioso romanziere, giunto a Napoli in coincidenza dell’arrivo di Garibaldi (7 settembre 1860), fondò un giornale, “L’Indipendente”. Scritto in francese da Dumas, il giornale veniva malamente tradotto in italiano. Torelli, che ben conosceva il francese per via della madre, si propose come traduttore. Fu il suo inizio giornalistico.
Seguì Dumas a Parigi (1864) cominciando a scrivere sui periodici francesi. Nel 1865, l’editore milanese Edoardo Sonzogno lo fece rientrare in Italia per dirigere due suoi periodici, “L’illustrazione universale” e “Emporio pittoresco”, designandolo successivamente cronista-capo al quotidiano “Il Secolo”.
Era un bel tipo, Torelli, capace di guadagnarsi immediate simpatie e stima. Sapeva muoversi, balzando da un editore all’altro. Piantò Sonzogno per fare il redattore-capo al “Corriere di Milano” edito da Emilio Treves. Ma non tutte le ciambelle e i giornali riescono col buco.
Quando Treves si sbarazzò del giornale, Torelli rimase disoccupato a Milano per quasi un anno. Ma era sempre in pista e pronto ad ogni nuova avventura. Fu così che, a 33 anni, approdò alla direzione di “La Lombardia”, edita da un avvocato lodigiano che era in cerca di un direttore giovane e brillante.
Torelli aveva bene in testa l’idea di un quotidiano tutto suo all’insegna di “moderazione e mediazione”, il suo motto. Trovò quattro soci per rastrellare il danaro occorrente per una nuova impresa giornalistica quando, a Milano, si stampavano già otto quotidiani. Per titolo scelse “Corriere”, com’era consuetudine, e aggiunse “della sera” perché il giornale sarebbe uscito nel tardo pomeriggio. Ma il primo numero fu annunciato dagli strilloni in Piazza della Scala alle ore 21. Era domenica 5 marzo 1876, quattro pagine e costava cinque centesimi, copie vendute tremila.
Successivamente, il giornale andò in piazza alle 16. Torelli lo compilava con l’aiuto di due redattori e cinque impiegati in due stanze in Galleria. Dal 1888 il “Corriere della sera” divenne un quotidiano del mattino. Torelli lo lasciò che vendeva 60mila copie, articoli in esclusiva e diffusione in tutta Italia. Tornò a Napoli e qui morì a 58 anni. Era il 26 aprile 1900.
Giornalisti intraprendenti. Renato Casalbore, salernitano, classe 1891, raggiunse Torino a 21 anni, assunto da “La Stampa” come impiegato amministrativo. Divenne giornalista nell’altro quotidiano torinese, la “Gazzetta del Popolo”.
Era il 1941. Quattro anni dopo, Casalbore fondò e diresse il “Tuttosport”, bisettimanale, diventato quotidiano nel 1951. Ma Casalbore non c’era più, perito nello schianto dell’aereo che riportava in Italia il Grande Torino di Valentino Mazzola dopo un’amichevole in Portogallo (4 maggio 1949). Nel disastro perirono altri due giornalisti, Renato Tosatti della “Gazzetta del Popolo”, padre di Giorgio, e Luigi Cavallero de “La Stampa”.
Era di origini napoletane Emilio De Martino, nato a Milano nel 1895, direttore de “La Gazzetta dello Sport” dal 1947, succedendo a Bruno Roghi, fino al 1950 quando lasciò per problemi di salute. Le origini partenopee si rivelavano nella pittoresca gestualità e nella voce alta con cui conduceva le riunioni di redazione.