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Recensioni
Totò: vita, opere e miracoli
di Luigi Alviggi
Nel penultimo giorno di vita il principe Antonio de Curtis sarà sul set del regista Nanni Loy per girare “Il padre di famiglia”, film il cui impegno sarà compagno delle ultime ore di lavoro, del giorno di riposo seguente e di quello del decesso.

Nello stesso giorno al suo autista viene consegnata la prima copia del disco con “ ’a livella ”, celebre poesia (1963) sull’uguaglianza imposta dalla morte a ogni essere vivente. A litigare per la vicinanza delle sepolture sono un marchese e un netturbino:

Ma chi te cride d'essere... nu ddio?
Ccà ddinto, 'o vvuo capì, ca simmo eguale?...
...Muorto si' tu e muorto so' pur'io;
ognuno comme a 'na 'ato è tale e qquale.

(...)

'A morte 'o ssaje, ched'è?... è ‘na livella.

'Nu rre, 'nu magistrato, nu grand'ommo
trasenno stu canciello ha fatt'o punto
ch'ha perzo tutto, 'a vita e pure 'o nomme:
tu nu t'hè fatto ancora chistu cunto?

Perciò, stamme a ssenti'... nun fa' 'o restivo,
suppuorteme vicino - che te 'mporta?
Sti pagliacciate e ffanno sulo 'e vive:
nuje simmo serie... appartenimme a morte!


Totò non farà festa per l’atteso arrivo del disco, non si sente bene e lo regalerà all’autista. In 30 anni di attività nel cinema girerà compiutamente 97 film, dal primo del 1937 di Gero Zambuto – Fermo con le mani – all’ultimo – Che cosa sono le nuvole?, episodio di Capriccio all’italiana – diretto da Pierpaolo Pasolini e uscito postumo nel 1968.

Ma fu con il regista Mario Mattoli che Totò esplose con i migliori best seller degli anni ’40 e ’50 in Italia.

Antonio Clemente (1898 – 1967) nasce nel Rione Sanità a Napoli, il cognome è quello della madre nubile. Il marchese Giuseppe de Curtis, padre biologico, riconoscerà solo all’età di 30 anni il giovane Totò, artista di teatro.

In seguito sarà adottato dal principe Gagliardi, divenendo Principe e Altezza Imperiale, pretendente al trono (?) di Bisanzio. “signori si nasce, e io lo nacqui... modestamente” dice Totò nel film “Signori si nasce” del 1960.

E la generosità dell’uomo in vita fu sempre all’altezza del titolo. Il figlio di madre nubile non dimenticherà la vergogna provata per tre decenni, nell’infanzia, adolescenza, e oltre, e la solitudine diverrà un suo distinto tratto caratteriale.

La profonda dicotomia tra Totò e il Principe non verrà mai superata dall’individuo: questi si considerava l’ultimo erede di un grande casato e Totò era soltanto il suo abito da lavoro. Dopo la morte ci saranno parecchi anni di silenzio sulla sua opera. Ripartirà alla grande solo negli anni 80.

È innegabile affermare che i prodromi della eccezionale arte di Totò siano nati nel variegato e insostituibile sfondo dei vicoli partenopei.

Nel primo dopoguerra l’inizio per lui, come per tutti in quegli anni, sarà molto difficile. Dopo uno sgarbo del pubblico napoletano si trasferì a Roma dove, pian piano e con molta fame sofferta - il volto emaciato dei primi anni pubblici ne è testimonianza -, iniziò a farsi un nome.

Ma Napoli la porterà sempre nel cuore. Diceva Totò: “non si può essere un vero attore comico senza aver fatto la guerra con la vita; io so a memoria la miseria, e la miseria è il copione della vera comicità”.

Fu un grande seduttore. Parte delle conquiste andava a trovarlo nel camerino del teatro, ove presenziava sempre un divano, magari negli intervalli dopo aver lasciato il compagno in platea.

Tale fu finché non inciampò in Liliana Castagnola, soubrette ultratrentenne di gran nome avviata ormai al viale del tramonto. Molto provata dalla vita, ricordo di un amante le restava una pallottola nel cranio, lo travolse con la piena di un amore del quale Totò non capì l’intensità.

Dopo un’ultima telefonata con lui si suicidò con sonniferi nel marzo 1930. Questo trauma segnò indelebile la personalità del comico, deviandola verso la tristezza e un’estrema cautela nei rapporti col mondo.

Dopo poco, a risorgerlo, incontrerà la sedicenne Diana Bandini Rogliani, cognata di un attore di prosa, impazzendo per lei. Il contrasto della famiglia – 17 anni di differenza tra i due – non lo bloccherà.

Nel ’33 nascerà Liliana e nel ’35 i due si sposeranno. Lei, però, ha già cominciato a soffrire per la gelosia ossessiva che si riverserà poi anche sulla figlia, nemmeno mandata a scuola ma fatta studiare in casa.

La gelosia spinse Totò anche a convincerla al divorzio (ungherese, poi riconosciuto in Italia) perché fosse soltanto l’amore a tenerli uniti. Dopo anni di convivenza nell’interesse della figlia e con qualche fiammata di ritorno si lasceranno nel 1950.

Nel ’52 Totò - in un periodo di rottura anche con la figlia, sposatasi da poco contro la volontà del padre e lui non andrà al matrimonio - conosce un’attrice poco nota di ritorno dall’America, Franca Faldini. Sarà la sua ultima compagna,:

Così diversi, per carattere e per mentalità (lei moderna e aperta, lui così attaccato alle tradizioni, al vecchio, ai buoni sentimenti e alle buone maniere), avranno molti scontri, do¬vuti anche ai trentatré anni che li dividevano; staranno sul punto di dirsi addio più di una volta ma rimarranno insieme, con amore e rispetto reciproco, fino alla morte di lui. E per Totò quei quindici anni saranno fecondi e felici, gli anni della realizzazione professionale piena, definitiva, gli anni della tranquillità personale e della fine della solitudine.


Il successo personale inizia nel 1928 a Roma con lo spettacolo “Madama Follia”, e Totò girerà molto in tournée fino al ’39 quando, con Anna Magnani e Michele Galdieri, inizierà l’epoca, passata alla storia, del grande avanspettacolo - una rivista breve tenuta prima del film -, espressione inarrivabile di perfetta simbiosi tra teatro e cinema.

Unica consolazione: Totò era cosciente della propria grandezza, e nemmeno la voce di mille critici disapprovanti l’avrebbe fatto deflettere in minima parte dal puntuale esercizio della sua “arte”. Solo con l’ultimo film “Uccellacci e uccellini” (1966) entrò in crisi.

Leggendo la critica, credette di aver sbagliato tutto nella vita, di non essere stato il grande attore che avrebbe potuto in ruoli drammatici. Altro delitto senza colpevoli che i grandi esperti gli infersero alle soglie della tomba con la loro ferrea prosopopea.

Il riconoscimento verrà, come troppo spesso accade, dopo la morte. Il comico con la bombetta lisa ereditata da Charlot e la faccia strampalata – d’ineguagliabile contorsionismo ma, a seguire, anche di grandissima mimica - ancor più deforme e disarticolata di quella di Buster Keaton, da principe in vita salirà unanimemente al trono (reale questo) del più grande comico che l’Italia abbia avuto.

Le “totoate” - in vita così chiamati i filmetti ritenuti da quattro soldi - continuano a passare in cento canali tv a ritmo giornaliero. Caratteristica unica dei grandissimi artisti è che il rivedere Totò più volte, in una scena o sketch che sia, non annoia.

Ogni volta si scopre una smorfia nuova, un’allusione prima sfuggita, che fanno sorridere quando non ridere apertamente, e lo rendono un amico del quale non si può fare a meno.

E forse il “tracco” napoletano è il paragone che meglio riesce a descrivere le scoppiettanti performance del sommo artista.

Vanno ricordate anche le grandi “spalle” di Totò: Peppino De Filippo, Aldo Fabrizi, Nino Taranto, Mario Castellani il preferito, Carlo Croccolo, e sicuramente, in ciascuno di noi, a questi nomi si accoppiano scene piacevoli rimaste nella memoria visiva.

Oltre alle contrarietà familiari, nel ’57 Totò fu colpito da un’altra terribile disgrazia: diventò cieco sulle tavole di un palcoscenico a Palermo.

E qui non si può non ricordare un altro grande, Antonio Petito anch’egli napoletano, che al termine dell’ennesima rappresentazione nei panni di Pulcinella, terminerà l’avventura terrena di fronte al suo pubblico in una triste sera del marzo 1876.

Un occhio lo aveva già perso per un distacco di retina venti anni prima, il forte dosaggio di antibiotici per debellare una polmonite compromise anche l’altro occhio che, anche con l’inevitabile inattività a seguire, recuperò ben poco la funzione.

Il disastro nacque dall’interruzione di “A prescindere”, lo spettacolo di enorme successo del ritorno al teatro dopo anni di cinema.

Totò si rendeva conto del danno economico da lui causato a quanti coinvolti nella messa in scena e, ben conoscendo i problemi, si costrinse, non guarito dalla polmonite, a continuare il giro delle città con il tutto esaurito nei teatri. Il mancato rispetto dei tempi di riposo prescritti dai medici condusse al dramma. La quasi totale cecità lo costringerà a rinunciare per sempre al teatro.

Giancarlo Governi, giornalista e scrittore, è grande ammiratore di Totò cui ha dedicato fondamentali programmi tv – uno per tutti, il migliore, “Il pianeta Totò” in 30 puntate -, oltre a un accurato lavoro di scoperta e rifondazione dell’uomo attraverso le dichiarazioni di familiari e colleghi.

Egli divide questo libro, esauriente sotto ogni aspetto, in più parti. La principale “Il romanzo di una vita”, e poi le cronistorie complete delle rappresentazioni teatrali, cinematografiche, dei passaggi in tv, delle “spalle”, delle poesie, delle canzoni – ricordiamo la celebre Malafemmena del ‘51 -, le note biografiche, un glossarietto delle frasi celebri (parli come badi!).

Davvero un intero mondo! E non manca nemmeno un memoir di Piero Montanari, arrangiatore musicale dei programmi tv del Governi: “Da Malafemmena a Totò rap”. Nella prefazione l’Autore “totologo” ci informa che l’attore è anche oggetto di culto, venerato come un santo al quale si chiedono grazie, con scritti lasciati nella Cappella che ospita le spoglie mortali, quasi un santuario, e conclude:

Oggi che Totò non si discute più, ma viene persino vene¬rato, è utile riflettere sulla sua arte e sulla sua vita di uomo.
Questo libro, oltre a voler essere un contributo in questo senso, è l'omaggio di uno spettatore che lo ha seguito fin da bambino e lo ha amato sempre.


La suddivisione tra uomini e caporali – “Siamo uomini o caporali?”, film del 1955 ma anche sua biografia ben poco conosciuta del 1952 – è un fondamento dell’intera filosofia di vita di Totò.

Gli uomini, la maggioranza, combattono ogni giorno per vita e dignità; i caporali, minoranza pestifera, li sfruttano senza vergogna per i propri fini.

Totò nel libro dice che l’ispirazione gli è venuta da Dante. Nel canto V del Paradiso il poeta ha scritto: “uomini siate e non pecore matte”, e io dico: “uomini siate e non dei caporali”.

Avanspettacolo, teatro, e 97 film hanno lasciato una testimonianza inalienabile e incontrovertibile di divertimento e gradimento per vecchi e giovani. Persino la zecca dello Stato dovrebbe emettere a breve una moneta da 5 euro commemorativa dell’artista.

L’inarrivabile burattino snodato – che Sandro De Feo, giornalista, critico e scrittore, definì il “Picasso della risata” - ha saputo conquistare con le sue “quisquilie e pinzellacchere” milioni di ammiratori.

Ne furono testimonianza – le prime del dopo – le decine di migliaia di persone d’ogni età che fece doppia ala ininterrotta al corteo funebre dall’uscita dell’autostrada fino alla chiesa, e il diluvio interminabile di applausi che accompagnò l’uscita della bara dalla Chiesa del Carmine nella piazza omonima della amata Napoli.

La stessa chiesa delle esequie di Enrico Caruso, Beniamino Gigli, Tito Schipa, e piazza che sette secoli prima aveva visto la decapitazione di Corradino di Svevia.

Totò ebbe tre funerali: a Roma, a Napoli e, qualche mese dopo, alla Sanità con una bara vuota, omaggio deferente del rione di nascita. Nella tomba di famiglia al Cimitero di Poggioreale riposa con lui anche la sventurata Liliana Castagnola.

Giancarlo GOVERNI: Totò: vita, opere e miracoli
Fazi, 2017 – pp. 290 - € 15,00
5/10/2018
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