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Approfondimenti
La vestizione della toga virilis
di Franco Polichetti
Silio appartiene ad un’antichissima famiglia Sarrasta, della Valle del Sarno trasferitasi a Pompei fin dall’inizio della fondazione della città, intorno al VI sec a. C. circa.

L’episodio di storia che ci accingiamo a narrare è avvenuto nell’anno 77 a.C. dopo la conquista di Pompei da parte di Lucio Cornelio Silla.

Quel pomeriggio Silio ha indugiato un po’ più del solito nell’allenamento che si svolge nell’impianto di canottaggio fluviale attrezzato sulle rive del Sarno, là dove, ad una decina di miglia dalla sorgente, in un’ampia ansa, selvosa e verdeggiante, il fiume forma una conca a mo’ di piccolo lago, di limpida e cristallina acqua.

La suggestività del luogo e uno stupendo tramonto hanno, quella sera, a tal punto coinvolto Silio, che, come in preda ad un’estasi, non si è accorto di aver superata l’ora in cui doveva, come gli era stato preannunciato, ricevere la visita dell’amico Labio per una comunicazione importante.

Intanto la mamma preoccupata per l’inspiegabile ritardo, ma soprattutto imbarazzata per l’attesa vana cui costringeva l’ospite, si era avviata verso la porta di Sarno che si apre nelle mura di cinta, sul selciato di pietra lavica con cui è pavimentata la strada che conduce alle scaturigini della divinità fluviale e ne aveva percorso già un discreto tratto quando, finalmente, da lungi, intravede la figura del figlio che intanto velocemente le si avvicinava.

Perché non sei rincasato al consueto orario? gli chiede, subito e alquanto nervosamente, la mamma. Mi sono lasciato prendere dalla suggestione di questo meraviglioso tramonto che riflette i suoi colori nell’incanto di questo specchio d’acqua, e non mi sono accorto del trascorrere del tempo; risponde amorevolmente Silio.

Intanto hai fatto una pessima figura col nostro autorevole amico Labio che ti sta attendendo da più di due ore, soggiunge la mamma, per darti la buona notizia che il “patronus Coloniae”, Publius Cornelius Silla, nipote del dittatore Silla, ha concesso lo jus civitatis. a te ed ad un gruppo di nostri concittadini per esservi distinti per fedeltà alla cosa pubblica.

La solenne cerimonia di investitura della toga virilis avrà forse, luogo fra dieci giorni, aggiunge la mamma.

Occorre ricordarsi in proposito che i pompeiani nel’80 a.C. in seguito alla conquista della loro città da parte del dittatore Lucio Silla, erano stati ridotti in condizione di schiavitù, per cui avevano perso i diritti civili. Però nel corso dei successivi anni era stato avviato un processo di lenta riammissione nella fascia dei “cives Romani”.

Lasciamo, momentaneamente, a questo punto Silio, la mamma e l’amico Labio per questa ulteriore utile divagazione al fine di rendere noto, a chi non lo sapesse, il significato e l’uso della toga presso i romani.

La toga, nella società romana, in generale era il capo di abbigliamento più elegante che il cittadino indossava sopra la tunica (la tunica era la corrispondente della sottoveste delle nostre mamme) in occasione di cerimonie ufficiali.

Tutti i cittadini romani, di nascita libera, indossavano una toga bianca (toga virilis) come abbigliamento di rito. La prima investitura avveniva durante una cerimonia che si svolgeva il 17 marzo al compimento del diciassettesimo anno di età.

Aveva valore, per il giovane, di riconoscimento ufficiale della raggiunta maggiore età, condizione che gli consentiva di partecipare alla vita pubblica. Da quel momento per il giovane aveva inizio il “cursus honorum”.

La toga bianca (candida donde candidato e candidatura) era d’obbligo indossarla in occasione della candidatura alle magistrature.

Vi era poi la toga praetexta, cioè una toga opportunamente ornata con una stringa di porpora, che indossavano i magistrati curuli, cioè quei magistrati che svolgevano la loro funzione giudicante, stando seduti su una specie di sgabello, curulus, ornato d’avorio. Il curulus, divenne poi il simbolo che questi magistrati portavano sempre con sé nelle funzioni pubbliche.

I ragazzi fino alla maggiore età indossavano anch’essi una toga praetexta, in segno del rispetto che si doveva loro per la minore età.

Solo gli imperatori indossavano sempre la toga di porpora mentre la toga trabeata (cioè orlata di fasce di porpora) era caratteristica dei cavalieri.

E adesso torniamo a Silio che ormai insieme alla mamma, rientrato a casa trova Il vecchio amico che nel vederlo si alza e premurosamente gli muove incontro.

Caro Silio esclama Labio, col volto raggiante di gioia, sono venuto qui per darti, personalmente la buona notizia, dovuta ad un mio successo personale. Il Governatore Sulla ti ha inserito nella rosa dei giovani cui intende riconoscere lo jus civitatis.

Sono sorpreso risponde Silio perché non ho mai sollecitato questo riconoscimento. Ho agito io di mia iniziativa nel tuo interesse gli risponde Labio, e non è stato facile, atteso le tue ostili intemperanze politico-militari, ma alla fine, con fatica, ci sono riuscito senza aver compromesso il tuo amor proprio.

La cerimonia, come hai già saputo, avverrà fra dieci giorni all’ora quinta. Essendo morto tuo padre, ti farò, con piacere, io da padrino. Provvederò io a tutto ciò che occorre.

L’indossamento della “toga virilis”, come innanzi accennato, significava l’entrata del giovane nella società politica, la sua ammissione fra i cittadini attivi e ciò accadeva a diciassette anni compiuti, ma la guerra sociale, vinta da Silla, ha cambiato molte cose e Silio infatti si trova già nel suo ventunesimo anno di età e solo adesso si accinge a ricevere questa investitura.

Quindi già da alcuni anni si è liberato della “bulla aurea”, una sorta di medaglia religiosa che al momento della nascita gli era stata appesa al collo al fine di preservarlo dal “fascinum” il terribile malocchio.

Questa medaglia nel giorno dell’investitura avrebbe dovuto essere appesa nel Larario (il tempietto con le immagini degli antenati presente in tutte le dimore) nel giorno solenne dell’investitura, ma Silio l’aveva già deposta al compimento del diciassettesimo anno.

Allo scadere del decimo giorno, con un’ineccepibile puntualità, Silio giunge nella domus di Labio seguito da una giovane ancella, che reca in un cesto, una toga di pura lana bianca appositamente confezionata e accuratamente stirata con ferro caldo mentre era ancora umida.

Il giovane Silio si libera della toga praetexta e coperto dalla sottostante tunica bianca indossa la toga virile, mentre con garbo e premura, la bella ancella lo aiuta a sistemare le pieghe.

Sopraggiungono nel frattempo alcuni amici di famiglia, si forma un piccolo corteo e insieme si recano al tempio di Giove che si trova all’estremità occidentale del grande Foro, per i ringraziamenti di rito agli Dei.

In seguito il corteo si trasferisce al palazzo del Governatore, che si trova poco distante al di là del tempio di Venere, sulla via marina, dove il giovane presta il giuramento di rito.

Il governatore, patronus coloniae, a cui Silio è presentato da Labio, gli indirizza queste parole solenni: “Da questo giorno memorando, tu sei annoverato fra i “cives Romani”. Sappi renderti degno di così alto onore”!

Uscendo dal palazzo del Governatore Labio esprime i suoi rallegramenti ed auguri ed invita Silio e la mamma a cena a casa sua, quella sera stessa, per un brindisi all’avvenire del giovane.

Silio garbatamente ringrazia e rifiuta l’invito. Sarebbe una profanazione della memoria di mio padre dice, morto combattendo per rivendicare a tutti gli abitanti di Pompei questo “jus civitatis”, che, solo adesso, dopo tanto spargimento di sangue, viene elargito, a pochi per volta.

Labio comprende, ammira l’orgoglio del giovane e non insiste.
26/9/2018
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