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Recensioni
Continuare di Laurent Mauvignier
di Luigi Alviggi
Dalla spettacolare immagine di copertina – sprofondare uniti negli abissi marini – possiamo farci un’idea di cosa sarebbe capace una madre per salvare il figlio in forte pericolo, che si trova rasente un precipizio. Tutto pur di ottenere la sua salvezza nel tentativo di non tralasciare alcunché di quanto umanamente possibile, e anche oltre.

Sybille è una madre separata, diciassette anni di matrimonio alle spalle, che tenta disperatamente di sottrarre il sedicenne Samuel allo sbando totale in cui sta per finire se continua a vivere nel posto in cui abitano.

E la salvezza appare garantita fuggendo verso le sperdute steppe del Kirghizistan, un paese che pochi conoscono infilato com’è nel cuore dell’Asia centrale, una volta sulle rotte della via della seta tra Oriente e Occidente ma oggi meta di pochi amanti dell’ignoto.

Prodromo dell’insolita decisione è l’amore per i cavalli che, anni addietro, ha accomunato i due. Vuole dar corpo a questa fuga nel remoto per salvare lui ma in fondo anche se stessa, con un passato travolto da due tragedie successive nel pieno delle eccitanti speranze di futuro: abile chirurga schiantata dall’errore in un semplice intervento, e grande amore stroncato da un bieco attentato terroristico.

Anche valida romanziera, il dolore è tanto che deve abbandonare tutto, iniziando a sprofondare nel nulla. Nell’oggi è travolta dalle mille cose della routine e, affascinata dall’idea esotica, decide di vendere la vecchia casa paterna, cui è legatissima e mai se ne vorrebbe separare, per far fronte alle spese e aprirsi tutt’intera al salvifico ignoto che sconvolge soltanto a pensarci.

Conosciamo poi i dettagli della notte brava di Samuel, il critico ritrovarsi madre-figlio quando lei va a ritirarlo, dopo la custodia in carcere, alla gendarmeria del paese in cui, dopo aver commesso atti vandalici in una festa come “imbucato”, ha assistito alla bravata di due compagni occasionali: violentare una ragazza mentre lui assiste alla scena dalla porta senza prendervi parte.

L’unica partecipazione è il non impedire alla giovane di scappare dalla stanza dove è stata incastrata. Ma è pur sempre un adolescente che si riveste di una corazza offensiva per non essere disprezzato, o peggio, dai componenti del branco in cui, di volta in volta, finisce col trovarsi. Inevitabile conseguenza: si va smarrendo lungo le ardue strade della vita, facile oggi.

La frattura di vecchia data si approfondisce tra la donna devastata nell’animo, che non sa riconoscere più il piccolo cresciuto con integro affetto di madre, e l’adolescente creduto indifeso che oggi pare rivelarsi ben altro, ma che lei è ben decisa a non far diventare un delinquente!

Non si capacita, e comprende tutto il male che loro genitori hanno provocato nel suo profondo, e che adesso riaffiora tutto d’un colpo. Chiama allora in causa l’ex-marito, Benoît, l’uomo che ha sposato senza amore per fuggire da ombre ancora più cupe che, intasando l’animo, negavano una vita normale. Lo chiama subito per condividere le colpe e investirlo della responsabilità paterna:

Anche se non ha voluto rendersene conto, sa che ieri sera è successo qualcosa: devono occuparsi di Samuel. Adesso de¬vono capire insieme cos'è successo.
Com'è che da mesi lui si sta distruggendo, come l'hanno distrutto loro a furia di indif¬ferenza o di cecità, poiché ciechi sono stati a qualsiasi cosa che non fosse la loro guerra, non fossero loro, ed entrambi sono responsabili di quello che succede stamattina.
Samuel è stato la loro vittima collaterale e mai una volta si è lamentato di quello che ha sentito, le grida, i rimproveri, le ore di silen¬zio rassegnato della madre, la violenza del padre - e poi ha accettato il divorzio, la separazione, vedere il padre un fine settimana su due e nelle vacanze, padre che sarebbe rimasto a Parigi mentre lui e Sibylle si sarebbero trasferiti in un appartamento a Bordeaux, in quella via ironicamente chiamata rue du Soleil e così stretta che il sole sembra non arrivarci mai.


Benoît si presenta con un enorme fascio di girasoli che la lascia interdetta. E se all’inizio l’orgoglio per essere stato chiamato in causa nella vicenda lo ringalluzzisce, alla fine si sovviene della funzione paterna che vorrebbe però esercitare in modo del tutto dissimile dall’ex moglie.

In fondo resta convinto che lei sia priva di senso di realtà e parte per grandi imprese senza avere le capacità di portarle a termine, insomma che non sa essere una buona madre. Nel passato gli è capitato di averla salvata quando la sua vita è stata in pericolo per un azzardo eccessivo in una vacanza lontano da casa.

La prima parte del racconto è spesa nell’approfondire la psicologia di questa minifamiglia, tipica dell’oggi, con limiti e aspirazioni, i sogni e il duro scontrarsi con la realtà, una vita comunque spezzata dal matrimonio infelice che non ha risparmiato il figlio, cresciuto nell’opposizione dei coniugi e nel tentativo reciproco e funesto da parte dell’uno di aizzarlo contro l’altro.

Ma ora la moglie è decisa e prevale il viaggio, e in esso nuovi orizzonti spalancano spazi inimmaginabili e pieni di vivificanti sorprese. All’inizio il giovane si protegge con le cuffie perennemente alle orecchie. È partito con un ricco corredo di cd e batterie di riserva, ma le cose presto iniziano a cambiare.

Primo stupore di Samuel è la mamma che parla il russo perché tali erano i nonni materni. Il paese è ancora in gran parte selvaggio e, giunti lì, per prima cosa acquistano due splendidi cavalli perché, secondo un locale proverbio, “chi non ha un cavallo non ha piedi”.

Il libro si apre, a viaggio già in corso, con l’assalto di una banda di kirghisi, nullificato all’ultimo istante per l’arrivo, del tutto inatteso, di una coppia di coniugi locali.

Saranno loro il primo impatto dei due pellegrini con una popolazione aperta e generosa, in specie verso gli stranieri ancora molto rari in quei luoghi. Regaleranno loro, per difesa, anche una vecchia pistola funzionante con la quale hanno messo in fuga i malfattori.

Poi la simbiosi uomo-cavallo diventa, al passare dei giorni, sempre più importante, fondamentale per i due che, attraverso l’unione con l’animale, riconquistano il patrimonio perduto da centinaia di generazioni. Dal tempo in cui l’uomo viveva nella natura e insieme con essa, scevro dei mille orpelli che in un paio di secoli hanno saputo stravolgerne l’intima essenza e si sono accumulati su ciascuno, facendo perdere le radici connaturate alla razza per sostituirle con altre artificiose, pure sovrapposizioni di nessun valore vitale.
E la felicità la toccano entrambi, improvvisa, in modo impensabile:

E allora, semplicemente perché il giorno declina, il sole è meno caldo, le pareti rocciose si punteggia¬no di ombre già meno forti e di fratture meno aspre, dise¬gnando linee, sfumature, riflessi viola e giallastri del giorno che finisce, mentre il crepuscolo sta per inondare di un'ombreggiatura sfocata l'orizzonte e le montagne, il cielo e le pia¬nure più in basso, allora si lanciano, a corpo morto, il corpo chino sul collo del cavallo, il naso e la bocca a contatto con la criniera e le mani avvinghiate alle ciocche di crine, le gambe incollate ai fianchi che si agitano e ai muscoli che guizzano e i cavalli capiscono e si lanciano fendendo il vento - sferzandolo come se fosse un campo di mais troppo alto che di riman¬do frusta la faccia -, mentre il sudore cola lungo la schiena e scivola nei capelli, sulla fronte, accecando gli occhi, inondando il petto, il sudore e la stanchezza, l'humus dell'odore uma¬no, salato, acre, che si mescola a quello dei cavalli, la criniera e la polvere che emanano quell'odore e quel calore dell'animale e le vibrazioni del suo corpo, la sua velocità, la sua foga e la sua forza che riecheggiano nel rumore degli zoccoli e dei ferri - scalpitio, boato, rombo secco, ritmato, sempre con lo stesso suono sincopato più o meno veloce, più o meno forte, che non si attenua mai, di un'esattezza moltiplicata per ogni cavallo quando si lancia come l'eco dell'altro, con la stessa precisione, liberando i cavalli tutta la loro energia e quella potenza che prorompe quando sembra ormai giunta al limite - e invece no, dopo una giornata in cui si sono arrampicati, in cui hanno trottato, in cui si sono fermati ore a non fare altro che scottarsi al sole, brucare se l'erba era grassa, ecco che ri¬partono, un colpo di tallone, un gesto che elettrizza tutto il corpo, i cavalli condividono l'eccitazione anche fra loro, la sfida diventa la loro, dura quel che dura, brevissima, poche centinaia di metri prima di fermarsi, senza fiato, di calmarsi, umani e cavalli, di dirsi che è finita, finisce, e alla fine si fer¬mano, sì - e anche questo è difficile: tirare il fiato, ritrovare il proprio ritmo, il proprio respiro. Tutte le sere o quasi si concedono questa corsa folle e poi non dicono altro.

Così Samuel andrà rinascendo, a sua insaputa e contro ogni volontà, iniziando con la cura personale verso i due splendidi cavalli, Starman e Sidious, che vanno assumendo la veste di nuovi unici amici, nel luogo che gli è lontano in tutto, lingua, posti visitati, gente incontrata, nel confronto improponibile con il vecchio mondo che lo ha visto crescere e che è penetrato fin nell’ultima goccia di sangue.

Il libro va letto con agio per dar modo allo scritto di entrar dentro e fare il suo effetto. Lavorerà sicuramente per noi, dando modo a qualche aspetto meno in evidenza dell’essere di salire in superfice e agire per il meglio nella migliore conoscenza di quanto possediamo e ci è rimasto celato soltanto a causa della nostra superficialità.

Grande bravura ha l’Autore nel ricreare atmosfere ed entrare nella descrizione puntuale di ogni minuta fase di quanto narrato. Porta in dote una precisione proustiana dei dettagli, protratta in una disamina che a tratti si allunga oltre la pagina, ma che comunque avvince e rende spettatori della scena di un film piuttosto che semplici lettori di freddi caratteri stampati che, per quanto esaltanti, restano sempre un po’ estranei rispetto all’intimo.

Di Mauvignier anni fa commentai lo splendido “Storia di un oblio” (2011) sullo sventurato caso di cronaca di un 25nne giovane francese pestato a morte dalla violenza di quattro assoluti criminali vestiti da guardiani di supermercato. E il tutto per una lattina di birra da un terzo, presa dallo scaffale sovrappensiero e bevuta a sbafo nell’esercizio. Laurent Mauvignier - Tours, 1967 – oltre che di narrativa è scrittore anche di teatro, tv e cinema.

Ma se da un lato la convivenza continuata, l’affrontare insieme cento pericoli, risveglia nei due sentimenti e complicità scomparse da tempo, è anche vero che i grandi disagi del viaggio in zone impervie, tra ghiacciai e pendii scoscesi, dà nuova linfa a contrasti mai sopiti che riemergono più taglienti dell’antico.

Gli imprevisti continui li sottopongono a dure prove. E arriva a odiarla la madre, a volere che fosse morta, a capire perché il padre l’ha lasciata, una donna troppo fragile che parte per imprese per le quali si ritrova poi impreparata, e tutto nasce dal fatto che arrivano a guardare la morte in faccia, immersi fino al collo dei cavalli in una palude infida in tutto simile alle letali sabbie mobili.

Poi l’evento scatenante. Nasce da un momento di distensione. A casa di una famiglia locale ospitante, si ritrovano con due francesi, vagabondi come loro e peggio attrezzati, per una serata di festa tra le tante notti all’addiaccio riparati alla men peggio sotto una piccola tenda. Hanno avuto con loro un breve contatto occasionale giorni prima e ora se li ritrovano davanti in quella casa a cena, con cibo e alcol a volontà che fa ubriacare di brutto tutti e quattro.

Sin dall’inizio è scoccata la simpatia tra Sybille e uno dei connazionali, e il calore, l’allegria, l’effetto dell’alcol eccessivo, non possono che facilitare confidenze altrimenti non facili a emergere.

Samuel non si sente bene e si allontana per primo, tutti pensano per andare a dormire. Dopo un po’ anche l’uomo e la donna vanno fuori, al freddo della notte. Gli animi sono accesi e Sybille allenta le briglie: si concede l’amore che non prova da anni, dimenticando ogni cosa nel ritrovare sensazioni credute perdute.

Ma Samuel non ha preso sonno ed esce dalla tenda alla ricerca del freddo che schiarisca la mente. E qui, nel silenzio diffuso, ode i gemiti della madre che, nella tenda dell’uomo, si abbandona al suo abbraccio. L’ascolto lo fa impazzire. Tutto il risentimento cumulato sfoga in una rabbia incontenibile e non trova di meglio che inforcare il cavallo e scappare in fuga precipitosa.

Quando la madre si accorgerà di questo, impazzisce anche lei. Sa i cento pericoli che li hanno circondati ogni istante e, temendo per la vita del figlio che ha anche sottratto dalla sua borsa la pistola, non può far altro che correre alla ricerca a cavallo, senza sapere dove dirigersi.

Nella corsa, solitaria e affannosa, affiora tutta la fragilità della donna che deve fronteggiare la natura ostile che le ha sottratto il bene più prezioso posseduto per ritrovare il quale non sa che fare. Sola nella notte in luoghi sconosciuti, a combattere tutte le forze del creato, sassi, crepacci, frane, foreste, passaggi insicuri, animali selvaggi, e nulla, assolutamente nulla, che possa fornire una minima traccia su dove sia finito Samuel.

Ritrova Starman, moribondo in un fosso, con una cerchia di lupi intorno che ne attendono la fine per sbranarlo. E, andando via, lo sguardo e i lamenti del cavallo rimbombano nella mente. Ma quello che pesa ancor più è il radicale rifiuto verso di lei che non comprende, terrorizzata di fronte al rigetto improvviso che non riesce a collegare a quanto avvenuto. La notte d’amore pare presentarle davvero un conto troppo salato.

Poi al grande malessere si aggiunge la pioggia a dirotto che inzuppa fino all’osso. Il cavallo, spaventato dagli elementi, fugge via mentre lei va a recuperare la pistola intravista tra le pietre. Se lui l’ha gettata vuol dire che non vuole utilizzarla! La raccoglie solo per scagliarla in un dirupo e tenta invano di recuperare il cavallo.

La fine del mondo è pronta a travolgerla da ogni lato, ponendola di fronte alle responsabilità dell’infausta decisione: intraprendere quel pazzo viaggio senza le capacità necessarie. Poi pioggia, grandine, vento forte, freddo gelido, non le resta che attendere la morte sotto uno spuntone di roccia che poco protegge dalla furia della natura.

Nel finimondo che la circonda, nel trionfo della natura che si prende la rivincita su ogni illusione di dominio da parte dell’uomo, a mezzo tra sogno e fantasticheria, ecco riemergere il volto e le gioie dei giorni del grande amore, quando lui, Gaël, motociclista pazzo, la illuminava di riflesso come il più potente dei soli per cambiare la vita in un delirio continuato. Il cielo scendeva in terra ad abbracciarla e sollevarla fino alle vette della beatitudine.

Ora è nell’anticamera della morte, ma se questa è la morte può anche abbandonarsi a essa, felice di una vita che non è mai riuscita ad apprezzare. Ma se la madre può far tutto per un figlio, anche questi spesso non è da meno della genitrice.

Tutto parrebbe riavvolgersi – grazie anche alla venuta di Benoît, chiamato dal figlio - perché, come a volte capita, tutto resta racchiuso in un segreto tra i coniugi mai rivelato al figlio, cresciuto in una struttura fittizia edificata dai due fino a che lei non ha più avuto la forza di mentire ed è esplosa facendo naufragare il matrimonio.

La caduta ha trascinato il figlio, troppo giovane per comprendere quanto sepolto nella coscienza degli artefici del danno. Pur nel disastro precedente, però, l’obiettivo è raggiunto. Ora Samuel è un piccolo uomo diverso, ben lontano da quello partito dalla civilissima Bordeaux per approdare nella steppa sconfinata del paese ignoto, del quale ha finito per apprendere anche i rudimenti della lingua.

Sì, è un uomo diverso che si avvia a divenire un buon adulto perché ha compreso:

Se abbiamo paura degli altri siamo fottuti. Se non lo fac¬ciamo un po’, anche solo un po’, di andare incontro agli altri, ogni tanto, capisci, credo che alla fine moriamo. Muoiono le persone, ma anche i paesi, capisci, tutti, se crediamo di non aver bisogno degli altri o che gli altri siano soltanto un peri¬colo, allora siamo fottuti. Andare verso gli altri non vuol dire rinunciare a se stessi.

Luigi Alviggi


Laurent Mauvignier: Continuare
Traduzione di Yasmina Melaouah
Feltrinelli, 2018 – pp. 176 - € 16,00


13/5/2018
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