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Recensioni
Le due vie del destino
The railway man
di Giovanna D'Arbitrio
At the beginning of time the clock struck one
Then dropped the dew and the clock struck two
From the dew grew a tree and the clock struck three
The tree made a door and the clock struck four
Man came alive and the clock struck five
Count not, waste not the years on the clock
Behold, I stand at the door and knock.


Questi versi vengono più volte recitati da Eric Lomax, prigioniero dei giapponesi, nel film di J. Teplitzky “Le due vie del destino”, tratto dal romanzo autobiografico che lo stesso Eric scrisse e pubblicò nel 1995, “The Railway Man”.

Egli compose anche questa poesia che ripeteva come una preghiera nei momenti più bui della sua prigionia per lottare contro dolore e disperazione.

Eccone la traduzione:
“All’inizio dei tempi l’ orologio batté l’una
Poi cadde una goccia di rugiada e l’orologio batté le due
Dalla goccia crebbe un albero e l’orologio batté le tre
Dall’albero fu costruita una porta e l’orologio batté le quattro
L’Uomo prese vita e l’orologio batté le cinque
Non contare, non sprecare gli anni sull’orologio
Guarda, io sto alla porta e busso.


La storia nel film inizia in Inghilterra nel 1980 su un treno dove, Eric Lomax (Colin Firth, Eric da anziano), appassionato di ferrovie, incontra l’affascinante Patti Wallace (Nicole Kidman), se ne innamora e la sposa.

Purtroppo già durante la prima notte di nozze Eric comincia ad avere strani incubi legati alle sue drammatiche esperienze di guerra. All’inizio rifiuta di parlarne, ma poi gradualmente la verità emerge con l’aiuto di Patti.

Con continui flashback si ritorna al passato, al 1942, quando Singapore cadde nelle mani giapponesi.
Migliaia di soldati britannici, tra i quali erano Eric (Jeremy Irvine, Eric da giovane) e i suoi compagni, furono fatti prigionieri e costretti a lavorare come schiavi nella cosiddetta “ferrovia della morte”: progettata per collegare Bangkok a Rangoon, fu costruita con le lacrime e il sangue di migliaia di persone costrette a lavorare in condizioni disumane.

Purtroppo a Eric toccherà sperimentarne i lati peggiori quando cadrà nelle mani della polizia segreta, la spietata Kempeitai, e subirà ogni sorta di violenze fisiche e psichiche, inflitte soprattutto da un giovane aguzzino, Takshi Nagase (Tanroh Ishida, Takshi da giovane).

Patti continua a spingere Eric a riannodare passato e presente, lottando contro il codice del silenzio che unisce i prigionieri sopravvissuti e uno di essi, Finlay (Stellan Skarsgard), alla fine le racconta tutto, rivelandole inoltre che Takshi è ancora vivo e lavora ora come guida nei luoghi della “ferrovia della morte”.

La donna, tormentata da mille dubbi, alla fine lascerà partire il marito per la Thailandia dove egli incontrerà il suo ex carceriere (Hiroyuki Sanada, Takshi da vecchio), trovandolo con sorpresa profondamente cambiato.

In un dialogo serrato tra i due, molto coinvolgente per tensione morale e capacità evocativa, emerge tutta l’inutilità delle guerre con i suoi orrendi rituali che si ripetono in tutti i tempi e luoghi.

“The Railway Man” presentato al Toronto Film Festival del 2013, ha vinto diversi premi sia in Australia al “Film Critics Circle), tra i quali ricordiamo il premio alla miglior sceneggiatura (di Frank Cottrell Boyce e Andy Paterson), sia al Festival del Cinema di San Sebastian (“Signis Award” al regista e “Concha de Oro”, come miglior film).

La moglie Patricia Wallace è stata presente a diverse premiazioni. Eric è morto nel 2012 e Takshi nel 2011.

In tanti film di guerra sono stati esaltati i temi di coraggio, dignità umana, onore, potere salvifico dell'amore, conciliazione e perdono, ma ciò che rende diverso questo film è il tentativo di raccontare una storia vera, “rompendo il codice del silenzio” sulle terribili umiliazioni subite per ritornare alla Vita, come nel verso bellissimo della poesia di Eric “Man came alive”.

Non aspettiamo che l’orologio del tempo scandisca le ore degli stessi errori, c’è l’Uomo Nuovo che bussa alla porta, accogliamolo in pace.
17/9/2014
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