Veleni ed avvelenatori nella storia
di Paola La Nave
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Si sa per certo che queste sostanze furono di uso piuttosto frequente anche presso la gente comune, nonostante al riguardo esistano notizie assai scarse. Una documentazione molto vasta si trova invece sull’uso dei veleni da parte dei potenti.
Nel II secolo a. C. Nicandro di Colofone, medico e poeta greco, scrisse due poemi molto istruttivi, uno sui morsi dei serpenti velenosi, intitolato “Theriaka”, ed un altro sugli antidoti contro i veleni, chiamato “Alexifarmakà”. Da ciò risulta evidente che, già da allora, doveva essere nota da molto tempo la relazione esistente tra veleno e medicamento.
Tra gli uomini di potere che adoperavano il veleno come arma per eliminare i propri nemici vanno ricordati, ad esempio, il tiranno di Siracusa Dionisio il Vecchio ed il generale spartano Clearco; perché Nerone potesse diventare imperatore venne avvelenato (forse con dei funghi) Britannico, figlio legittimo ed erede dell’imperatore Claudio.
E ancora, Vespasiano e i suoi due figli, Tito e Domiziano, divenuti anch’essi imperatori, furono tutti eliminati con il veleno.
Nel 192 d. C. un altro imperatore, Commodo, fu avvelenato, ma stavolta dall’amante, in combutta con un gruppo di cospiratori.
Quelli ricordati finora rappresentano solo una piccola parte di tutti gli omicidi perpetrati mediante avvelenamento nei tempi antichi.
In quelle epoche persino le condanne a morte potevano essere eseguite mediante “suicidi” forzati, come nel caso del grande filosofo greco Socrate, condannato a bere una pozione mortale a base di cicuta.
Una curiosa “moda”, diffusa nei tempi antichi, fu quella di collezionare veleni; una delle collezioni più importanti e famose fu quella di Caracalla, imperatore romano dal 211 al 217 d. C..
Naturalmente, poiché i potenti di quell’epoca erano soliti avvelenare i nemici, si trovavano esposti anch’essi al medesimo rischio, e fu proprio per questo che istituirono un servizio di assaggio con appositi addetti (quasi sempre schiavi) che avevano il compito non solo di verificare la qualità di cibi e bevande destinate ai loro padroni, ma soprattutto di evitare ogni possibilità di avvelenamento, agendo da “filtro” per ogni tentativo di omicidio mediante questa via.
I veleni adoperati per questi scopi avevano un’azione rapidissima e quelli estratti dalle piante vi trovavano un impiego particolarmente diffuso.
L’Europa si rivelò essere, tra il XIV ed il XVI secolo, un vero e proprio paradiso degli avvelenatori “di professione”: in Francia ed in Italia questa sinistra attività finì col diventare molto redditizia.
Nelle “cronache” degli avvelenamenti sono annoverate, in Italia, intere famiglie che eccelsero in questo campo alquanto… particolare: i Borgia, i Baglioni e gli Scaligeri ne rappresentano soltanto una minima parte.
Una delle principali avvelenatrici della storia sembra essere stata Caterina de’ Medici: ella riuscì infatti a risolvere molti complicati problemi di ordine politico usando il veleno, disciolto di solito nelle bevande “gentilmente offerte” agli avversari.
L’avvelenamento rappresentò, anche in Francia, un’utilizzatissima alternativa al classico duello per la risoluzione dei più svariati problemi. Ancora in Francia, inoltre, furono le donne a capeggiare l’elenco degli avvelenatori professionisti, come ad esempio Jeanne Stanulin, detta Chausee, la marchesa di Montespan, e poi “la voisine” che liberava, durante il regno di Luigi XIV, i nobili dalle loro amanti, una volta divenute opprimenti e scomode.
A quei tempi gli anelli “da veleno” rappresentavano una dotazione personale piuttosto comune: passavano facilmente inosservati, in quanto la moda allora corrente imponeva l’uso di gioielli di vari tipi e forme.
Questi anelli erano dotati di un opercolo (una sorta di “coperchietto”), ornato da una pietra preziosa, da un cammeo o da colori a smalto, sotto al quale veniva ricavato un piccolo alloggiamento, adatto a contenere il veleno; non era quindi troppo difficile, al momento opportuno, ingoiarne il contenuto, oppure versarlo nella coppa del vino.
Il veleno nascosto nell’anello poteva infatti poteva anche servire per procurarsi la morte, per evitare, ad esempio, terribili torture o sevizie.
I veleni venivano conservati in pregiati contenitori decorati: le donne usavano, come porta-veleno, flaconi simili a quelli che contenevano i profumi; e ancora, alloggiamenti per le “terribili polverine" venivano abilmente ricavati in preziose collane.
I contenitori moderni per i veleni vengono sempre ben nascosti, ad esempio, all’interno di un dente artificiale inserito in una protesi: in questo caso il veleno si trova in una microscopica capsula collocata in una cavità al di sotto della corona dentale ed esistono speciali congegni capaci di liberare a comando il veleno.