Approfondimenti
Piccola storia dell’Aeroporto di Capodichino
di Carlo A.G. Tripodi
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“Tra qualche minuto atterreremo all’aeroporto di Napoli Capodichino…” e dopo il rassicurante “buuuump… buuuump” del carrello sulla pista (gli applausi liberatori non si usano - quasi - più!) ed una veloce decelerazione, il nostro pensiero corre alla riconsegna dei bagagli, alla ricerca di un taxi, al raggiungimento della nostra meta finale.
Dopo aver letto questa breve nota, la prossima volta che saremo a Capodichino, in arrivo o in partenza, sapremo che l’Aeroporto che ci accoglie è innanzi tutto un luogo storico dell’aviazione italiana, essendo uno dei primi dove è iniziata la sfida alla forza di gravità.
Facciamo un passo indietro.
Il sito di Capodichino, l’antico medievale “capo de cliivium”, era un pianoro rialzato, coltivato a viti e frutteti che, come riporta lo storico Pietro Colletta, oltre 18 mila fanti di Gioacchino Murat spianarono per realizzarvi il “Campo di Marte” per esercitazioni militari, maneggio ed ippodromo.
Il Campo di Marte divenne un luogo mondano dove cavalieri e rampolli della nobiltà partenopea gareggiavano essenzialmente per aver in premio l’ammirazione ed un sorriso galeotto di belle fanciulle.
La vocazione aeronautica di Capodichino ha inizio nel 1812, il 16 febbraio, quando l’aeronauta francese Marie Sophie Blanchard, prima donna pilota professionista, decollò per una manifestazione, con il suo pallone aerostatico tra lo stupore di decine di migliaia di persone.
Marie Sophie Blanchard era “figlia d’arte”: suo padre, Jean Pierre, già alcuni anni prima aveva attraversato la Manica in pallone, portando con se il primo plico di posta aerea!
Donna minuta, apparentemente fragile, era denominata “l’Angelo di Bonaparte” perché Napoleone pretendeva la presenza della Blanchard e del suo pallone a tutte le feste che si tenevano a Versailles.
Le sue esibizioni erano spettacolari anche perché si concludevano con il lancio di fuochi pirotecnici.
Era nota per la sua idiosincrasia a viaggiare con mezzi tradizionali, preferendo il suo pallone. Spesso dormiva avvolta in una coperta nella “conchiglia” del pallone e sollevata dal suolo.
Questo storico momento è quasi del tutto ignorato e forse solo un’ancestrale ricordo è balenato a qualcuno poiché una delle tante stradine intorno all’aeroporto, con una toponomastica quasi totalmente “aeronautica”, porta il criptico nome di “Via della Mongolfiera”.
Ricordiamo che il settore militare di Capodichino è invece intitolato alla Medaglia d’Oro Ugo Niutta, eroico Sottotenente sacrificatosi, col suo velivolo dopo essere stato colpito , il 3 luglio del 1916 in Val Sugana.
Ritorniamo alla storia: gli anni passano, mongolfiere e palloni si innalzano un po’ dovunque a Napoli e dintorni e bisogna arrivare al 15 maggio del 1910, quando all’aerodromo di Capodichino, organizzato dall’appena fondato Circolo Aviatorio, si tenne un discusso raduno aeronautico.
I partecipanti furono il francese Busson, con un Blèriot XI, il belga Kinet con un Farman ed il pilota napoletano Ettore Sarubbi con il velivolo Napoli 1, costruito presso le Manifatture Cotoniere Meridionali di Poggioreale.
La manifestazione fu un fiasco colossale: Il Blèriot non riuscì a decollare, Sarubbi incidentò il carrello del Napoli1 ed il Farman rifiutò di mettersi in moto!
Migliaia di spettatori, tutti paganti ed inferociti, travolsero le transenne ed inseguirono piloti e meccanici per tutto il campo richiedendo il rimborso del biglietto.
Solo l’intervento dei Carabinieri risolse la prima “invasione di campo” nella storia degli avvenimenti sportivi napoletani.!
Il giorno successivo la manifestazione continuò a porte chiuse, tanta era stata la paura dei piloti. Kinet riuscì a volare per quattro minuti a 50 metri di altezza, Busson per oltre un minuto e mezzo compiendo eleganti evoluzioni e Napoli si riappacificò con l’Aviazione.
L’anno successivo avvenne una seconda manifestazione: gli aeroplani erano diventati più affidabili ed in questa occasione volò da passeggero anche Eduardo Scarfoglio, direttore del “Il Mattino”.
Nel 1912 terzo appuntamento aeronautico organizzato dal Circolo Aeronautico Napoletano cui parteciparono piloti di varie nazionalità e Rosina Ferrario, prima donna italiana ed ottava donna al mondo, ad avere il brevetto di pilotaggio.
Il maggiore Carlo Piazza, colui che in Libia aveva usato per la prima volta un aeroplano in una missione bellica le scrisse: "Tutte le mie più vive congratulazioni, signorina, ma preferirei saperla più mamma che aviatrice".
Questo commento suscitò non pochi malumori nelle femministe dell’epoca: Lydia Monferrini protestò presso la Lega Aerea Nazionale con una lettera in cui affermava: "Si dice che alla donna manchino la forza ed il coraggio necessari per prendere in aria il governo dell’aeroplano e che quando per eccezione una donna questo coraggio e questa forza possegga, vada poi menomata la sua femminilità. Contesto con tutta l’anima questa affermazione gratuita".
La Ferrario chiese poi di essere arruolata come crocerossina aerea ma il Ministero della guerra le rispose laconicamente: "Non è previsto l’arruolamento di signorine nel Regio Esercito".
Ma torniamo a Capodichino: l’esibizione della Ferrario, avvenuta il 23 aprile, si concluse con un fiabesco lancio di garofani rossi, personale omaggio della pilota alla città, tra l’entusiasmo dei napoletani.
Il periodo bellico spegne l’entusiasmo per le manifestazioni aeree e Napoli conosce il primo bombardamento da parte di un dirigibile austriaco.
La guerra finisce e giungiamo al 1920: Capodichino ha la sua prima vera e propria pista, utilizzata prevalentemente dalla 110ª Squadriglia di difesa aerea che aveva anche il compito di portare posta tra Roma e Napoli.
Utilizzata per circa sei mesi, la pista venne quasi dimenticata per il declassamento dell’aeroporto e si provvide al solo sfalcio d’erba estivo per evitare incendi.
Il Golfo di Napoli ospitò intanto, nel 1922, una prestigiosa Coppa Schneider di idrovolanti.
Nel 1925 l’aeroporto ridiventa operativo divenendo sede del 66° Gruppo di Osservazione ed il 28 giugno dello stesso anno iniziarono i lavori per realizzare un grande complesso edilizio che avrebbe dovuto ospitare l’Accademia Aeronautica, cosa che non avverrà mai, poiché a completamento dei lavori l’Accademia Aeronautica si era già insediata alla Reggia di Caserta.
Gli edifici ospitarono prima la Scuola Specialisti e poi quella Sottufficiali.
Con l’inizio delle ostilità l’aeroporto diviene sede di numerosi reparti di caccia , intercettazione ed aerosiluranti.
Gli eventi della Seconda guerra mondiale riducono l’Aeroporto in un cumulo di macerie: nel 1944, col Vesuvio in eruzione, il campo è letteralmente pieno zeppo di velivoli americani ed inglesi e di montagne di rottami di velivoli italiani.
Nel 1948 viene ricostruito l’angolo sud che diviene sede del Comando di Aeroporto e agli inizi degli anni ‘50 nasce una palazzina che incomincia ad ospitare l’aviazione civile: ai reparti militari che operano sull’aeroporto si affiancano i DC-3 della LAI, (poi Alitalia), i Fokker dell’ATI, i Comet, i Caravelle, i Tristar.
L’Aerostazione si ingrandisce man mano che il traffico aumenta e sono i tempi felici in cui passeggeri e visitatori erano separati dai velivoli da una semplice transenna metallica e da piccoli cancelli!
Le Compagnie straniere incominciano i loro scali e fra le prime, ricordiamo Lufthansa, British Airways, Air France, Sabena, Olympic Airways.
Nel 1954 nel golfo operano anche gli idrovolanti Short Solent dell’Aquila Aiways che collegavano l’Inghilterra direttamente con la Marina Grande di Capri.
Negli anni ’60 diventano frequenti ospiti dell’aeroporto le Pattuglie acrobatiche (Blue Angel, Thunderbirds, Red Arrows, Patruille de France, Cavallino Rampante, Frecce Tricolori) ospiti dei vari “Giro Aereo del Golfo” - poi “Settimana Aeromotonautica” de “il Mattino”.
Gli aerei diventano sempre più grandi, la loro tecnologia sempre più avanzata e l’aeroporto deve continuamente adeguarsi nella sicurezza e al maggior numero di passeggeri ed aerei.
Intanto, con il dilagante abusivismo e l’occulta complicità delle autorità dei vari Comuni, l’aeroporto viene letteralmente assediato da una cementificazione selvaggia che non rispetta regole.
L’Aeroporto Internazionale di Napoli è ancora oggi senza nome.
La città è ricca di personaggi che hanno portato lustro all’aviazione (De Pinedo, Folco Ruffo di Calabria, Umberto Nobile, solo per citarne alcuni) e sarebbe opportuno ed elegante dedicarlo a Marie Sophie Blanchard.
Sarebbe una occasione per evocare la sua vera internazionalità e di dedicarlo ad una donna, con buona pace delle “quote rosa”, poiché non sono tanti gli aeroporti che portano nomi femminili.
Mi sovviene solo il nuovo scalo di Istanbul “Sabiha Gokcen”, prima pilota militare turca.
Benvenuti, allora, all’Aeroporto Internazionale di Napoli “Marie Sophie Blanchard”: pensiamo che uno sforzo, in questa direzione, sia veramente minimo e dovuto...