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Recensioni
Dieci piccoli passi, schegge di anime
di Roberto Santucci
La solitudine è una condizione in cui ci si può ritrovare per decisione altrui, per fato o per propria scelta.
 
Penetra nell’esistenza dell’uomo, che, se vittima, può rimanerne corroso, annichilendosi fino al disperato varco della soglia estrema di vita o libertà, o può assorbirne indenne il logorante succo filtrandone linfa di rivincita, figlia di un’accettazione reattiva.
Per contro, un suo aperto e ponderato asilo permette alla mente di scoprire anfratti dell’anima così esili e profondi che la leggerezza della vita comune non può che far perdere, confusi tra sensazioni troppo rapide, che scorrono travolgendo ogni cosa.

Nell’opera prima del napoletano Francesco Pierucci, Dieci piccoli passi (Edizioni la Gru - Padova), la solitudine è il tema portante. Viene analizzata e sezionata in dieci storie che colgono appieno le varie sfaccettature di cui si compone questa possibile compagna di vita, amata o odiata che sia, adoperando uno stile elegante ma allo stesso tempo asciutto ed immediato, alternando passaggi morbidi che cullano l’immaginazione ad altri scanditi velocemente come battiti di un cuore in attesa, risultando di scorrevole e appassionante lettura.

I personaggi sono giocoforza inquieti, tratteggiati a tinte cupe, immersi come sono in un limbo sospeso tra morte e solitudine. Spesso subiscono la loro condizione, per ineluttabilità (Igor Taranski), per costrizione e oppressione altrui (Ninfee), per scelta di vita scellerata e dissipata (Clint Eastwood), per un destino amaro e ripetutamente beffardo (Dieci piccoli passi) o la usano come alibi per velare una volontà di estraniamento (Ius eligendi sepulchrum), per egoistica ricerca dell’annullamento di sé (Confesso...).
Altre volte è smarrimento per la perdita della fede (Eli’, Eli’, lama’ sabactani’?), in altre ancora la solitudine è oltre l’estremo, per la coscienza della perdita , reale o paventata, della persona amata (Alex e Sangue bianco).
Infine, dove solitudine e diversità sono troppo spesso facce di una stessa medaglia, c’è spazio per la ribellione interiore e la presa di coscienza che ci si trova in una condizione reversibile (Diverso).

Appare netta l’indissolubilità dei concetti di morte e solitudine, vanno di pari passo, si nutrono l’una dell’altra rendendo impossibile la dicotomia.
In tutte le storie la morte viene toccata con mano o anche solo respirata di riflesso, accompagna i personaggi nel loro percorso di isolamento e ne è, a volte, causa scatenante quando diviene sottrazione di affetti  o diventa strumento di fuga da esso, come una sorta di mezzo catartico al pari della perdita volontaria di libertà.
Ma la morte può anche essere, antinomicamente, scelta di vita, quando questa vita è consacrata alla legge della violenza e del sopruso, che concede l’effimera ricchezza, al prezzo, altissimo, della negazione della libertà di vivere.

L’abilità di Pierucci sta nel non pagare facile dazio alle atmosfere cupe delle situazioni. Non si avverte angoscia nel leggere le storie, tutt’altro, solo necessità di profonda riflessione suscitata da emozioni pure, che, cesellate ad arte da una mano poetica, sorreggono i racconti dolcemente fino a farli scorrere lievi, scoprendo una vivacità dei personaggi figlia del loro stesso essere alla ricerca di una coscienza della liberazione, qualunque essa sia.

Una via d’uscita, quindi.
Dopo essersi chiesti perché, ed essersi scoperti estranei.
Dopo essersi chiesti come, e aver capito che ogni fine è un nuovo inizio.
“Luce, immensa luce bianca..”

 
12/5/2011
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