Cultura
Aniello Ascione un brillante pittore barocco
di Achille della Ragione
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Di Aniello Ascione tutti i testi di storia dell’arte ripetono pedissequamente: notizie dal 1680 al 1708, copiando a vicenda questo dato, che non ha riscontro in alcun documento e che è certamente inesatto se prendiamo in esame alcuni suoi dipinti, conservati nel museo Correale di Sorrento(fig. 1 – 2), siglati ed eseguiti in collaborazione con Andrea Vaccaro, morto nel 1670, salvo che la sigla poco leggibile posta sul tino della prima tela non venga interpretata, come la leggeva Causa, NV e vada riferita al figlio di Andrea, Nicola, ancora poco noto, nonostante una recente monografia e spesso confuso col padre.
Per conoscere l’artista dobbiamo come sempre rifarci al racconto del De Dominici, che afferma:” Aniello Ascione fu anche egli scolaro del Ruoppoli ed anche fu valentuomo dipingendo con amenità di colore assai vago, e che però tira assai al rossetto d’alacchetta; ha fatto molte opere di frutti e fiori, ma per lo più frutte, e l’uva erano la sua applicazione e con decoro ha l’arte esercitata, facendoli ben riconoscere delle sue fatiche e mantenendo il decoro della professione, ha con esse rese adorne varie gallerie de’ signori ed altre stanze di particolari e da tutti son tenute in pregio l’opere sue”.
Il Dalbono ci riferisce inoltre che eseguiva quadri di grandi dimensioni seguendo l’esempio del maestro e del Giordano.
Di più non sappiamo dalle fonti.
Fortunatamente siglava quasi sempre le sue opere, con un monogramma nel quale si intrecciano le due A del nome e del cognome, per cui siamo in grado oramai di riconoscere con facilità la sua pennellata e di costituire un corpus di alcune decine di dipinti certamente suoi.
Ascione fu tra i più convinti assertori della natura morta barocca a Napoli, sulla scia del grande successo in Roma dello Spadino e di Michelangelo di Campidoglio. Fu allievo di Giovan Battista Ruoppolo e del suo repertorio predilesse la rappresentazione di frutta ed uva che seppe ritrarre, creando atmosfere calde e sontuose scenografie, attraverso una rilettura della lezione magniloquente dell’ultimo Giordano.
Alcune sue opere raggiungono un livello molto alto, caratterizzate da un’intonazione cromatica calda e da una schietta vena decorativa, come alcune conservate al museo Correale, tra cui Natura morta di frutta e fiori con cesto riverso(tav. 1), le due grandi tele del museo di Castel Ursino a Catania (fig. 3) e la splendida Uva, mele e cedro(fig. 4) in collezione Lucano a Roma. Sono tutte composizioni influenzate in parte anche dagli eleganti modi pittorici di Abraham Brueghel.
Una rarità nel suo percorso è costituita dalla Cucina con l’agnello scuoiato già in collezione Castellino a Napoli, siglata in basso a sinistra sul primo gradino con il suo classico monogramma, a dimostrare che fu attratto anche dal tema delle cucine, portato al successo da Giovan Battista e Giuseppe Recco, raggiungendo discreti risultati.
Altre opere famose sono la Frutta(tav. 2), già in collezione Cenzato ed oggi a Capodimonte, improntata ad un vivace piglio decorativo già pienamente barocco, la Natura morta di fiori e cocomero(tav. 3) e la Natura morta di uva, melagrane, mele e pere(tav. 4), entrambe in raccolte private, pervase da quei rutilanti trionfi di frutta perfettamente in sintonia con la sprizzante vitalità ed il temperamento dei napoletani, gaio ed esuberante.
Alcune tele del Nostro sono conservate all’estero, come le due nel museo di Budapest, cartellinate di scuola tedesca, nonostante il monogramma AA chiaramente visibile, mentre spesso i dipinti dell’Ascione passano frequentemente nelle aste nazionali ed internazionali. E tra questi segnaliamo la Composizione di frutta, selvaggina ed un cane(tav. 5), presente sul mercato monegasco nel 1993, immersa in un paesaggio crepuscolare, Frutta in un giardino con un vaso di rose(fig. 5), con grandi cascate di fiori dalle tonalità calde ed un’anguria spaccata e rosseggiante, e di nuovo frutta con grappoli d’uva in primo piano, nei due ultimi quadri esitati presso la Finarte di Roma, il primo(fig. 6) nel 1979 ed il secondo nel 1995.
Bibliografia
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