Cronaca
La riforma auspicabile della toponomastica “savoiarda”
di Gaetano Cafiero
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Suscitò un notevole vespaio, nel 2007, più o meno intorno al 4 luglio, secondo centenario della nascita di Giuseppe Garibaldi, la presentazione a Napoli dell’ultima fatica letteraria di Jean Noel Schifano, il Dictionaire amoreaux de Naples, un corposo volume di oltre cinquecento pagine ennesimo libro che lo scrittore francese, a lungo dinamico direttore dell’Istituto Grenoble e cittadino onorario di Napoli, ha dedicato alla città.
Più che parlare del suo Dictionaire, un compendio di tremila anni di storia partenopea, l’oratore, stuzzicato anche dagli interventi del pubblico, si era infervorato nel proporre rimedi alla disastrosa situazione dei nostri giorni e aveva consigliato calorosamente ai napoletani di rimpossessarsi della loro identità perduta, enumerando gli innumerevoli primati del Regno delle due Sicilie al cospetto dei record negativi di oggi, da capitale della monnezza a territorio incontrastato della criminalità organizzata.
Tanto per cominciare, aveva suggerito lo scrittore, si potrebbe cambiare il nome di alcune strade, per cancellare le tracce della colonizzazione piemontese avvenuta con l’Unità d’Italia: piazza del Plebiscito dovrebbe tornare al toponimo di Largo di Palazzo, via dei Mille andrebbe mutata in corso Gianbattista Basile ed infine piazza Garibaldi… andrebbe intitolata al 3 ottobre 1839, una data storica anche se poco conosciuta: l’inaugurazione della prima linea ferroviaria italiana, la Napoli-Portici. Schifano proponeva di seguire la via di una petizione o meglio ancora quella di un referendum popolare (ignorando forse che nel nostro ordinamento non esiste tale forma giuridica) e aveva rammentato che anche il corso Vittorio Emanuele, la prima tangenziale del mondo, aspetta ancora giustizia e l’intitolazione al nome del suo ideatore, Ferdinando II, che la realizzò in poco più di un anno.
La proposta mi colpì. Mi chiesi: quanti toponimi “risorgimentali” prevaricano la storia delle Due Sicilie? E per rispondere alla mia domanda mi sono dedicato a un’attenta lettura del “libro dei CAP”, l’elenco dei Codici di Avviamento Postale di tutt’Italia. Nel Libro dei CAP in mio possesso, che risale al 1967, l’80100 - Napoli - va da pagina 242 a pagina 277. La prima “voce” in ordine alfabetico è decisamente “risorgimentale”: Abba Giuseppe Cesare via; idem la seconda: Cairoli Benedetto via. Terza in elenco decisamente “borbonica”: Calà Ulloa Girolamo via. Riporta Wikipedia, l’enciclopedia online continuamente in divenire: “Nacque a Napoli (secondo altri a Lauria), nel 1801, dal Duca di Lauria Francesco e da Donna Elena O'Raredon, nobildonna irlandese.
È il primo di tre fratelli fedelissimi alla dinastia borbonica. Esercitò dapprima le funzioni di magistrato in Sicilia e si deve a lui se, nel 1838, per la prima volta emerse ufficialmente in un atto giudiziario la parola "mafia". Costituzionalista, è tra coloro che parteciparono al progetto di Costituzione approvato da Ferdinando II. Fu l'ultimo Presidente del Consiglio napoletano di Francesco II, carica che ricoprì anche nel Governo in esilio a Roma. Autore di numerosi saggi nel campo del diritto e della saggistica storica (circa trenta) morì a Napoli nel 1879. Pietro Ulloa si può considerare il padre dell'idea confederativa meridionalistica: furono infatti particolarmente apprezzate le sue tesi (per lo più dimenticate e solo recentemente riscoperte) su una possibile unione confederativa della penisola italiana.”
Dunque è anche attualissimo Girolamo Calà Ulloa, nei giorni in cui la prima legge sul federalismo fiscale è appena passata in parlamento. Si ritorna alla storiografia ufficiale con la quarta vai dello stradario napoletano: Calatafimi via. E qui rivado col pensiero a un mio incontro, nei primi anni ’70 del secolo scorso, con il nobile Don Achille di Lorenzo, Balí di Gran Croce del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, di professione funzionario civile della Nato, custode, nella sua bella casa del Parco Margherita ( e già!), a Napoli, di innumerevoli cimeli e sacre memorie dell’ancien régime: tra cui i diari autografi di Francesco II, tracciati su singolari blocchetti di ricevute rilegati in tela azzurra, scorrendo i quali scovai due lapidarie sentenze: una emessa a carico di un mio antenato, il capitano di vascello Federico Cafiero deprecato da de Sivo (“Carogna!”) per la sua entusiastica adesione al nuovo regime instaurato dopo l’aggressione del 1860, e l’altra contro il generale Lanza, sconfitto da Garibaldi a Calatafimi: “Emerito coglione!”
Decisamente sorprendenti per un re, un uomo, descritto come un bigotto, un baciapile, un tremebondo. La quinta strada (non quella di New York) è Caracciolo Francesco via, intitolata a un ammiraglio con più colpe del mio antenato per aver aderito alla repubblica nel 1799. Continuo a leggere in ordine alfabetico e m’imbatto nel santo nome di Cavour, Camillo Benso conte di Cavour artefice primo dell’unificazione forzata. A lui sono intitolati una piazza e un intero rione. I napoletani continuano a storpiare il riverito nome pronunciando “Càvur”. Quindi tocca a Domenico Cirillo, nel 1774 medico personale della famiglia reale, viaggia in Francia e Inghilterra, dove fa la conoscenza di nuove dottrine e dove fa nuove amicizie tra cui Nollet, Buffon, d'Alembert, Diderot, Franklin.
È proprio dalla Francia che acquisisce l'idea di liberismo e di Repubblica che lo porta ad essere uno degli artefici della Repubblica Napoletana. E ad accettare l'invito del generale Jean Étienne Championnet a diventare membro della Commissione Legislativa che era stata istituita dal commissario civile francese. Con la restaurazione la Repubblica fu spazzata via e Cirillo venne imprigionato. Gli fu concessa l'opportunità della grazia qualora avesse rinnegato il suo ideale repubblicano e giurasse fedeltà alla corona. Cirillo rifiutò e fu giustiziato il 29 ottobre 1799.
Il primo siciliano a farsi italiano, è Francesco Crispi e a lui è dedicata una via. Poi tocca a
Carlo De Cesare (attenzione: non Raffaele, autore della trilogia “La fine di un regno”). Ed ecco – sempre in ordine alfabetico - Giacinto De Sivo, lo storico legittimista che descrisse con parola accorate la tragedia dell’invasione e dell’occupazione del Regno. Si fa un balzo d’un secolo ed ecco corso, piazza, traversa e rione Duca d’Aosta: quindi piazza, traversa, via, vico e vicoletto Duca degli Abruzzi. Che esagerazione! Il Duca di Genova si accontenta d’una via, lo stesso riconoscimento è accordato a Salvatore Fergola: il pittore, però, non il generale Gennaro difensore eroico della Cittadella di Messina sino al 13 marzo 1861.
A Garibaldi (TANTO NOMINI NULLUM PAR ELOGIUM) spettano una piazza, le I II III IV Traversa (a Forcella), una via, un rione. Francamente mi aspettavo di più, almeno quanto il Duca d’Aosta.
A Napoli c’è poi una via Indipendenza (da che?) e anche a Marianella. L’elegantissima Martiri (dei) Piazza, è dedicata a quelli che consegnarono la capitale ai francesi del generale Championnet; un’altra via molto chic è quella che prende il nome da quegli sciamannati dei Mille; c’è ovviamente una via Guglielmo Pepe, una via Eleonora Pimentel Fonseca, non può mancare piazza del Plebiscito (che io non restituirei all’antico nome di Largo di Palazzo ma ribattezzerei icasticamente Piazza Truffa Elettorale).
Altri toponimi “risorgimentali” recano le vie Carlo Pisacane, Poerio Alessandro e Carlo. L’ordine alfabetico ci regala a questo punto altri Savoia: il principe di Napoli - a suo nome troviamo la galleria, i portici, una piazza, una via (a Ponticelli) e una a S. Pietro a Patierno) – il Principe di Piemonte (un rione), il principe Umberto (una piazza e una via (a Miano); poi c’era (ora si chiama Antonio Gramsci) un viale Principessa Elena; la Principessa Margherita vanta una traversa, una piazzetta e una via, il Re d’Italia un corso, la Regina Elena una piazza, la Regina Margherita una via. Il Risorgimento s’accontenta di una via a Piscinola, Cesare Rossarol ha anch’egli una via, Umberto I torna agli eccessi che caratterizzano i Savoia e così si prende un corso (il Rettifilo), la galleria, i portici, due Taversa I e II a Marianella.
Verso la fine dell’elenco alfabetico ecco l’orgia di Vittorio Emanuele: corso, gradini, rione, “scaletta” persino, quindi Vico I II III IV, una via a Miano e una a Secondigliano. Allo specifico Vittorio Emanuele III spetta soltanto una via. Fu il primo e unico re d’Italia nato a Napoli, nel 1869. A lui la storia assegnò il compito di far finire nell’ignominia – con la fuga a Pescara, l’abbandono delle Forze Armate alla rappresaglia dei tedeschi - quella stessa monarchia che suo nonno Vittorio Emanuele II aveva portato al massimo della potenza aggredendo il Regno delle Due Sicilie. E il Libro dei Cap finisce.
Nel Libro dei CAP l’80100 va da pag. 242 a pag. 277
Abba Giuseppe Cesare via
Cairoli Benedetto via
Calà Ulloa Girolamo via
Calatafimi via
Caracciolo Francesco via
Cavour piazza
Cavour rione
Cirillo Domenico via
Crispi Francesco via
De Cesare Carlo via
De Sivo Giacinto
Duca d’Aosta Corso
Duca d’Aosta piazza
Duca d’Aosta Traversa – Rione
Duca degli Abruzzi piazza
Duca degli Abruzzi Traversa Via Vico Violetto
Duca di Genova
Fergola Salvatore
Garibaldi Piazza
I II III IV Traversa
Via
Rione
Indipendenza
Indipendenza a Marianella
Martiri (dei) Piazza
Mille via dei
Pepe Guglielmo
Pimentel Fonseca Eleonora via
Plebiscito (piazza del)
Pisacane Carlo
Poerio Alessandro via
Poerio Carlo via
Principe di Napoli Galleria Portici
Piazza
Via (a Ponticelli)
Via (a S. Pietro a Paterno)
Principe di Piemonte Rione
Principe Umberto Piazza
A Miano via
Principessa Elena viale, ora Antonio Gramsci
Principessa Margherita Traversa piazzetta via
Re d’Italia corso
Regina Elena piazza
Regina Margherita via
Risorgimento
A Piscinola via
Roma via
Via vecchia
Rossarol Cesare
Umberto I Corso
Galleria Portici
Traversa I e II
A Marianella
Vittorio Emanuele Corso
Gradini
Rione
Scaletta
Vico I II III IV
Vittorio Emanuele III via
Vittorio Emanuele a Miano
Vittorio Emanuele a Secondigliano