Cronaca
Comune di Napoli, una nave che va a fondo
I perché di una città ferma al 1860 non solo per colpe proprie
di Angelo Forgione
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Un anno fa, di questo periodo, era il tempo delle speranze per la città di Napoli che si leccava le ferite di un 2008 horribilis. Era accaduto di tutto: era scoppiata una tragica emergenza rifiuti toccando il suo apice e fornendo al mondo intero le immagini della città sommersa dai sacchetti in fiamme. Al Comune era scoppiato lo scandalo dell’inchiesta Global Service, l’operazione “Magnanapoli”, con l’immobiliarista Alfredo Romeo principale imputato nell’affidamento della manutenzione stradale, che aveva travolto la Giunta comunale con dimissioni, arresti e persino un suicidio, quello dell’Assessore Giorgio Nugnes travolto emotivamente dagli scandali. Insieme a lui furono coinvolti Enrico Cardillo, Assessore alle Risorse strategiche, al bilancio per intenderci, e altri due colleghi. Quanto bastava perché la Giunta si sciogliesse e invece il Sindaco Iervolino, interrogata dai P.M., non seppe far meglio che dichiararsi all’oscuro delle azioni commesse dai suoi collaboratori, valutare il suicidio di Nugnes come un atto di dignità e definire alcuni dei suoi assessori degli “sfrantummati”. Ne seguì uno dei tanti rimpasti di Rosetta e furono reclutati i “professori” per dare nuovo impulso all’attività di Palazzo San Giacomo. In tutto questo c’era stato anche il tempo di assistere allo schiaffo che il Comandante della Polizia Municipale Generale Sementa aveva sferrato ad un giornalista di Epolis.
Il 2009 difficilmente sarebbe stato peggiore dell’anno precedente, ma cominciò sotto il peggiore degli auspici con una morte assurda durante i festeggiamenti del Capodanno, quando Nicola Sarpa di 25 anni, affacciato al balcone di casa ai quartieri spagnoli per chiamare il fratello, fu colpito in pieno da un colpo di pistola sparato dalla strada da Manuela Terracciano detta ‘o masculone, figlia di un boss della zona. La criminalità organizzata non avrebbe poi mancato di macchiare di sangue l’immagine della città; a Maggio Petru Birlandeandu, musicista di strada rumeno, resterà ucciso sotto gli occhi della moglie nella stazione della Cumana di Montesanto durante un raid di camorra. Le immagini indigneranno la nazione almeno quanto quelle rese pubbliche a Novembre relative all’omicidio avvenuto sempre a Maggio di Mariano Bacio Terracino, finito da un killer davanti ad un bar della Sanità.
La microcriminalità invece aveva lasciato il segno ad Aprile quando in una villa di Posillipo tre rumeni avevano massacrato a colpi di spranga Franco Ambrosio, l’ex “re del grano”, e la moglie.
Nel 2009 la Giunta Comunale si è come accartocciata su se stessa, implosa senza far rumore. Anche la mano dei “professori” si è rivelata meno forte del previsto e il successore di Cardillo, l’economista Riccardo Realfonzo, ha sbattuto la porta lo scorso Novembre dopo aver accusato la Giunta, Sindaco compreso, di non averlo supportato nelle strategie di cambiamento. Ad oggi la macchina comunale è completamente decotta, ferma e immobile. La città vegeta in uno stato comatoso profondo, d’inerzia che è persino più dannosa degli scandali. Il Sindaco non parla più, non prende più posizione su alcun argomento, e persino il pur apprezzabile Comandante Sementa, voluto proprio dal Sindaco, dopo le polemiche ha dovuto smorzare i toni autoritari con i quali si era presentato alla città. I rimpasti della giunta si susseguono qua e là nel vano tentativo di restare in piedi ma ormai le gambe non reggono più. La città è in posizione orizzontale, supina.
Parlare di Comune è come parlare di Regione, una commistione di responsabilità che s’intrecciano in una fitta trama e che confluiscono nella grande area metropolitana del capoluogo.
La crisi dei rifiuti è soltanto arginata e non debellata, ma solo divenuta silenziosa. Eppure il Comune, alla luce dei tagli del Governo alle amministrazioni comunali, si è sentito autorizzato ad aumentare la T.A.R.S.U. nonostante la città resti cronicamente sporca e la raccolta differenziata non decolli restando ancorata ad una vergognosa percentuale vicina al 13 per cento. L’emergenza rifiuti non ha evidentemente insegnato molto ad un’amministrazione che non ha fatto nulla nell’ultimo decennio per scongiurarla.
Silenziosa è anche l’emergenza sottosuolo sul quale sprofonda la città superiore. Silenzio che però diventa frastuono quando l’emergenza esplode come nella voragine di San Carlo alle Mortelle dovuta al dissesto idrogeologico e che non evita di subire l’influenza dell’abusivismo edilizio dei decenni passati. Voce che ha in Pianura la realtà più critica con i suoi circa 120 mila abitanti effettivi a fronte dei circa 60 mila dichiarati dal Comune di Napoli.
Silenziosa anche l’emergenza mare, con un commissariato speciale regionale che da anni avrebbe il compito di bonificare il litorale senza però approssimarsi minimamente all’obiettivo. Circa 50 milioni di euro investiti col risultato che tre quarti di liquami della regione finiscono in mare senza depurazione. “Il mare non bagna Napoli” non è solo una raccolta di novelle della scrittrice Anna Maria Ortese ma anche la realtà alla quale sono inchiodati i napoletani ai quali, durante la stagione estiva, è preclusa la fruizione di una delle principali risorse del territorio. Da San Giovanni a Mergellina, il mare di Napoli è una concentrazione di colibatteri fecali fuori controllo con conseguente forte rischio salmonella, epatite e tifo. I depuratori sono pochi e obsoleti, e per di più neanche a pieno regime; va da se che in inverno, proprio quando bisognerebbe attuare le misure e gli interventi propedeutici per il recupero del litorale, tutto tace salvo poi scoprire che d’estate l’ARPAC ti invita a macinare chilometri e file per arrivare ad un mare che si possa definire tale. Qualcuno al Comune di Napoli minimizza ma l’Organizzazione Mondiale della Sanità classifica il Golfo di Napoli, uno dei più belli al mondo, al secondo posto per rischio di tossinfezione, solo dopo le acque di Bangkok. Forse un po’ troppo severo come dato anche perché si tratterebbe di dati raccolti nell’epoca post colera, ma in ogni caso il problema esiste ed è serio.
Il territorio cittadino è la cartina tornasole delle incapacità della classe politica napoletana alla quale si aggiungono le omissioni del governo centrale. Un territorio che raggruppa tre nuclei fondamentali: il centro, Napoli Est e Napoli Ovest: tre aree urbane che danno l’esatta dimensione di un immobilismo sostanziale.
La zona occidentale ha il suo emblema nel bellissimo comprensorio Bagnoli-Coroglio dove al posto della più grande acciaieria del Sud Italia si ipotizzano da troppi anni palazzi congressuali, alberghi, parchi, studios cinematografici, acquari, porti turistici e spiagge attrezzate. Se ne occupa la società Bagnolifutura SpA del Comune che ogni tanto perde pezzi del progetto originale. Depennato il porto turistico per ordine della Soprintendenza, ma anche tutti il resto resta ancora una chimera. Per ora Bagnoli è solo un’occasione sprecata, la più grande per lo sviluppo turistico della città.
La zona orientale è un altro potenziale polo di sviluppo che sorge alle spalle del Centro Direzionale, tra l’ex manifattura tabacchi e i depositi del greggio. Si tratta della zona in cui sulle carte è da anni previsto un nuovo grande quartiere con edilizia residenziale, spazi verdi, campus universitari, centri di ricerca, strutture per la musica, lo sport e la cultura. Il tutto accanto agli snodi autostradali, portuali e aeroportuali. Pensato nel 2001, per il momento della nuova Napoli est ci sono solo i progetti su carta.
Tra Napoli Ovest e Napoli Est c’è il centro storico, non uno qualsiasi. È il più vasto d’Europa, con la più alta concentrazione di monumenti e opere d’arte. È un nucleo urbano che conserva l’antico tracciato viario greco e che per tutti questi motivi è dal 1995 patrimonio mondiale protetto dall’Unesco. Per questo necessita del Piano di Gestione, ovvero un insieme di interventi programmatici atti alla sua conservazione e valorizzazione. L’Unesco lo chiede a Palazzo San Giacomo da quindici anni senza ottenerlo; il Comune si rende da sempre responsabile di un reato di omissione nascondendosi in un irritante silenzio. Qualche volta per la verità ha parlato, ma si è sempre trattato di bugie, come quando il Sindaco Iervolino annunciò che il Piano di Gestione era stato approvato per poi incassare l’umiliante smentita dal Capo delegazione delle Nazioni Unite durante la visita a Napoli del Dicembre 2008. È chiaro da quando gli ispettori Unesco hanno messo piede in città per verificare le condizioni di degrado del cuore di Napoli che il Piano di Gestione non sia una priorità del Comune che rischia per questo di perdere i contributi previsti dalla legge 77/2006 pari a circa 220 milioni di euro, o addirittura l’estromissione del centro storico di Napoli dalla lista dei patrimoni dell’umanità.
A tutto ciò si aggiunge l’area Nord, l’agglomerato delle periferie degradate che ha in Scampia il suo emblema, un quartiere dormitorio dove neanche il paventato abbattimento delle bruttissime “vele” si è mai compiuto. Periferie che in qualche modo sono un’estensione della città stessa in cui circa settecentomila napoletani su un milione vivono in quartieri degradati, abbandonati, privi di servizi sociali e contaminati dalla criminalità organizzata, piazze di spaccio di droghe strutturate sull’evasione scolastica che alimenta l’illegalità e il lavoro minorile sui quali controllo e repressione sono inesistenti.
La macchina comunale assomiglia sempre più ad un vecchio elefante bloccato da artrosi, e per sopravvivere e alimentarsi spreca troppe risorse. Basterebbe citare i circa 13 mila dipendenti a libro paga e i 16 elementi che formano la Giunta quando Roma ne conta 12.
Probabilmente è questo il punto nodale dal quale si dipanano gli affanni della città. La metafora del pachiderma si concretizza nelle statistiche nazionali che indicano Napoli tra le città con più sostanziosi trasferimenti statali e regionali in Italia mentre il suo Comune indirizza una delle maggiori percentuali di risorse al proprio funzionamento, oltre il 35 per cento. Questo vuol dire che la nostra Amministrazione Comunale gode più di altre di stanziamenti di denaro ma ne spreca almeno un terzo per alimentare la statuaria macchina comunale, ossia se stessa. Ne consegue che ne risentono i servizi sociali, la cultura, il turismo e l’istruzione, settori fondamentali che, guarda caso, vedono Napoli in fondo alle classifiche per investimenti, ma anche l’impiantistica sportiva che è davvero disastrosa: Napoli è l’unica metropoli europea priva di un palazzetto dello sport di livello internazionale. Il “Mario Argento” è stato abbandonato e ridotto ad un rudere post-bellico durante i lavori di rifacimento, il “San Paolo” è uno stadio fatiscente e mangiasoldi che succhia risorse al “Collana” e a tutti gli altri impianti della città inagibili e ai limiti della praticabilità. Sono dati impietosi ai quali si somma la classifica della qualità della vita de “Il Sole 24 Ore” che attribuisce alla provincia di Napoli il penultimo posto. Quando fu eletta Sindaco per la prima volta, alla Iervolino fu affidato il compito morale di riorganizzare la macchina comunale, ridurre l’evasione delle tasse e assicurare i flussi di denaro in entrata.
Nulla di tutto questo è successo e la giunta, tra una seduta e l’altra dedicata all’approvazione del bilancio, non riesce neanche a trovare i soldi per la manutenzione delle strade sempre più rotte e indecorose, quelle stesse strade che sono la pietra dello scandalo “Magnanapoli”. Le cifre del deficit le ha snocciolate la Corte dei Conti: più di 50 milioni di passivo ai quali se ne sommano altri 60 fuori bilancio.
Rieletta con secondo mandato, il Sindaco ebbe a dire che il Comune doveva essere l’esempio del rispetto delle regole ma le inchieste giudiziarie hanno detto il contrario mentre la città continua a sguazzare nella più diffusa illegalità. Del resto le inchieste della magistratura investono spesso il palazzo di città, alcune rumorose, altre più silenziose; come quella innescata dalla Guardia di Finanza sull’uso disinvolto dei cellulari che ha fatto ingrossare la spesa del Comune per la telefonia mobile a 600 mila euro, escluse spese per telefonia fissa. Qualcuno raggiunse il record di 7.500 euro in 48 ore e nessuno scendeva sotto gli 800 euro a bimestre, tranne uno: il Sindaco Iervolino che si attestava sui 150 euro. Anche su internet viaggiava l’immoralità e il Comune fu costretto a porre un freno alla libera navigazione limitando ad un’ora al giorno la consultazione di siti web che non appartengono alla pubblica amministrazione: a Palazzo San Giacomo si visitavano siti porno e di scommesse.
La città è un immenso cantiere e tutto si riverbera sul quotidiano in termini di viabilità, inquinamento acustico e vivibilità. I lavori della metropolitana, forse gli unici in progress sistematico, avanzano tra mille difficoltà giustificate dai reperti archeologici che ad ogni scavo vengono alla luce. Ma ci sono anche i progetti incompiuti, come per esempio Palazzo Fuga, il borbonico Real Albergo dei Poveri, il più grande edificio urbano d’Europa al quale non si riesce a dare sicurezza, decoro e destinazione nonostante i costosissimi lavori perenni.
Nell’era Iervolino un risultato si è raggiunto ed è quello della riorganizzazione dei consigli di quartiere; le cosiddette istituzioni di municipalità allargate ne hanno consentito il dimezzamento ma se questo poteva apparire un vantaggio in realtà ha fatto si che si venissero a creare delle macro-aree urbane più grandi anche di tantissime altre città italiane per densità di popolazione, i cui presidenti si sono scoperti costretti ad affrontare, senza alcun potere effettivo, problematiche amplificate.
In tema di sprechi la Giunta Iervolino può vantare l’acquisto del Palazzo di Via Verdi come sede del Consiglio Comunale, a due passi da Palazzo San Giacomo, per sostituire la Sala dei Baroni in Castel Nuovo. Acquisto controverso e combattuto in diverse sedute accese dello stesso Consiglio, e alla fine portato a conclusione per circa 30 milioni di euro più altri nove per la ristrutturazione. Un anno dopo l’acquisto a spese dei contribuenti, si scoprì che il settimo piano del Palazzo di Via Verdi non era fruibile ai disabili perché la costosa ristrutturazione aveva ridotto gli spazi invece di razionalizzarli. E il Consiglio Comunale ritornò alla Sala dei Baroni.
La Iervolino, in qualche modo costola di Bassolino, non è la sola responsabile di uno sfascio cittadino che parte da molto più indietro e ha le sue ramificazioni anche Santa Lucia, trovando radici nella storia dell’intero Paese. Un Sindaco che si è dimostrato inadeguato, perseverante nel fallimento e mai degno della carica che ricopre. Nell’inchiesta sul Global Service ha sempre preso una posizione di estraneità dei fatti ma la sua colpevolezza sta nel fatto di aver scelto personalmente quegli assessori da lei definiti “sfrantummati”.
Nella relazione programmatica alla rielezione del 2006, Rosa Russo Iervolino aveva dettato le priorità: Bagnoli, Napoli Est, l’uscita del dissesto finanziario del Comune, il Piano di Gestione Unesco, un piano per portare la raccolta differenziata al 40-60 per cento, la valorizzazione delle periferie. Nulla di quanto prospettato che si possa dire neppure lontano dalla realizzazione. Gli scandali e i continui rimpasti sono le uniche attività che hanno scandito la vita delle diverse Giunte Iervolino.
La città è senza guida e, per questo, alla deriva; è una percezione sin troppo corposa perché vi sia qualcuno che non se ne sia accorto. Basta camminare per strada e vedere in condizioni sia la città a cominciare dalle strade storiche e panoramiche, private di un benché minimo decoro. Via Toledo è deturpata da una pavimentazione sbagliata, da dei lastroni di pietra lavica saltati dappertutto e sostituiti da colate di cemento per evitare che cada più gente di quella che ruzzola a terra ogni giorno in un percorso costellato da bruttissime fioriere rovesciate senza un fiore e da abusi di ogni genere; un suk tappezzato di lenzuoli bianchi su cui poggia merce di ogni genere, pronta ad essere infagottata e portata via dai cosiddetti “uomini sacco” durante gli inutili controlli. Uno spettacolare “guardia e ladri” che ormai ha preso piede dappertutto, dal lungomare ai decumani, dal Vomero a Posillipo, quartiere in cui le strade turistiche sono ormai impraticabili persino dai turisti per la mancata di manutenzione.
Spruzzano in ogni quartiere le bombolette spray, ormai impunemente sui monumenti del centro, in barba alle leggi che prevedono persino la galera. Non c’è una piazza, un palazzo storico o una statua che non sia oggetto di aggressione di ogni tipo. E il Comune di Napoli dichiara di non avere mezzi e uomini per fronteggiare quest’emergenza, una dichiarazione di resa che racchiude in se anche l’incapacità di porre rimedio ai danni che non si riesce ad evitare.
Napoli è città indiscutibilmente non amministrata, priva di una guida degna, e meriterebbe ben altro. Ma anche città da sempre emarginata da uno Stato italiano unitario che ha creato 150 anni fa l’emigrazione meridionale e il proliferare del fenomeno malavitoso, inaugurando l’irrisolta questione meridionale che investe i temi della disoccupazione e della criminalità organizzata mai fronteggiati con concrete contromisure; questione meridionale senza volontà di soluzioni perché il Sud del paese resti tagliato fuori dallo sviluppo al fine di poter alimentare le ripetitive campagne elettorali di una politica arrivista e lontana dalle vere esigenze della gente. Una città ricca di arte, storia e fervore culturale nonostante i luoghi comuni figli dei misfatti mediatici che rubano spazio alle tante eccellenze locali. Una città che non è messa in condizione di poter sfruttare le sue esclusive bellezze paesaggistiche che ne fanno una delle più belle al mondo. Una città che non riesce a trovare una guida capace di restituirle normalità e trasferire al Governo centrale di Roma la necessità e i vantaggi per l’intera nazione di ricollocarla tra le grandi capitali del Mediterraneo, area nella quale Napoli ha una posizione strategica da sempre, e ancor di più dal 1869, anno in cui furono aperti i traffici nel Canale di Suez. Motivo questo per il quale anche dall’estero ci si accanì con Napoli e l’Inghilterra egemone decise a tavolino la cancellazione dalla cartina geografica del ricco, prospero e denigrato Regno delle Due Sicilie supportando con uomini, armi e denari la falsa impresa garibaldina e delegandone l’attuazione politico-militare al Piemonte. Quello stesso Piemonte che per le celebrazioni dei 150 anni di Unità d’Italia del 2011 gode di cospicui finanziamenti mentre Napoli, unica vera Capitale e città europea dell’epoca, invasa, annessa e tributaria di sangue, ricchezze e risorse umane, deve defilarsi nell’ombra.
Napoli è una risorsa enorme sprecata, la più grande per una nazione autolesionista che invece di sfruttarne le potenzialità le mortifica da sempre. Un popolo spremuto dall’opulenza del nord che ne trae beneficio in forza lavoro, formazione universitaria e profitto economico per banche e società assicurative. Persino la tangenziale, l’unica a pagamento, di proprietà riconducibile ad un noto industriale del nord, spreme le tasche dei napoletani con un aumento ingiustificato del 23% in tre anni. Per non parlare dell’Erario italiano che da Napoli attinge dai più alti costi d’Italia di carburanti e tasse automobilistiche.
Città dunque abbandonata dalla politica ma che non merita di essere abbandonata anche dai suoi figli più innamorati che devono invece trovare il proprio spazio e non piombare nella disperazione indotta dalla politica nazionale e locale. Perché, nonostante tutto, non c’è niente di più gratificante che essere consapevoli della napoletanità e se poeti e scrittori sette-ottocenteschi di tutto il mondo hanno scritto meraviglie di Napoli vuol dire che la città colpiva al cuore, cosa di cui ancora è capace, e uno spartiacque tra l’epoca luminosa e l’epoca del buio ha dato il via ad un declino che arriva a noi. Quello spartiacque si chiama “risorgimento”, che per Napoli equivale a dire inizio del declino.