Cultura
Armando De Stefano, una vita per la pittura
80 opere del maestro napoletano nella personale al Pan fino all’8 dicembre
di Alessandra Giordano
Lunedì. Mezzogiorno di pioggia. Di quelle fitte, insistenti, che non lasciano tregua. E’ l’occasione giusta per ripararsi in un museo. Ancora più giusta se il museo è il Pan e l’artista in mostra è il grande Armando De Stefano. L’ingresso è libero, anzi spalancato. Nessuno ci chiede chi siamo e dove andiamo o se, magari, vogliamo cortesemente lasciare nell’atrio l’ombrello. Niente. Passiamo davanti al bureau come se fossimo invisibili. Neanche un buongiorno. Nessuno ci chiede nulla. Noi però, fortunatamente, sappiamo dove andare e saliamo al piano superiore, dove dal 28 ottobre e fino all’8 dicembre sono esposte ben 80 opere di un artista contemporaneo, un napoletano talentuoso e possente, appassionato e viscerale: Armando De Stefano, appunto. Nelle sale non c’è nessuno. Nessuno sulle scale, nessuno. Lo spazio è enorme e vuoto. Bianco. Risuonano i nostri passi davanti alle tele invece affollate, di facce e di corpi, di profili, di sguardi torvi e minacciosi, di accuse, di dolore, di smorfie irripetibili fissate in momenti atroci, di guerre forse, ma soprattutto di esistenze dilaniate, difficili, in salita.

Sono i quadri che ripercorrono una vita, la carriera artistica di un pittore nato nel 1926 e che lui stesso ha promosso e voluto al Pan. De Stefano, infatti, è direttore artistico e voce narrante della sua personale. Meritata dopo tanti anni di lavoro.

La mostra, che presenta una selezione della produzione storica e recente, è stata concepita e ideata in sintonia con De Stefano stesso, che sceglie di 'raccontarsi' ripercorrendo una carriera tra le più intense e significative della città. Nel chiaro e schematico allestimento del Pan, seguendo un percorso ben preciso, ci inoltriamo via via nelle ampie sale luminose, per osservare l’immancabile autoritratto giovanile, due donne sedute nel chiacchiericcio muliebre, il cacciatore fermo nel suo isolamento e un sorprendente viaggio in oriente con una mongolfiera sognante e incolore per passare poi alle rivoluzioni e alle sommosse popolari, elmi grigi e mani tese nello spasimo.

L'allestimento è diviso in gallerie temporali, che attraversano l’intera e lunga produzione del Maestro, dagli anni Cinquanta al Duemila, ma anche in nuclei tematici, tra cui il ciclo della Rivoluzione napoletana del 1799, quello di Marat, di Masaniello, di Odette e il Jolly e quello di Dafne, il mito della donna trasformata in albero, le gambe femminili che diventano radici verdi e s’incuneano nel terreno, bloccandone la vitalità.

Degli anni Ottanta è il ciclo del Mercato dei Miti dove “affiora un nuovo modo più diretto di porsi di fronte al quotidiano” che si è ancora più scoperto nel successivo Le Maschere. Ma dove si fa più crudo il realismo pittorico, scaturito dopo aver a lungo “divagato” tra gli elementi classici del Seicento, è con un nuovo ciclo da lui denominato l’Eden degli Esclusi che sembra condensare il significato di tutta la sua maestosa opera. Vediamo, infatti, raffigurati storpi e barboni, reietti e omosessuali, zingari ed emarginati, un popolo intero di corpi disfatti e di mostri alla Bacon, una moltitudine maleodorante e scarna, affamata e allucinata, le urla soffocate dalla sporcizia e dal rancore, alla quale è proibita una vita felice e negata ogni possibilità di riscatto morale e di comunicazione sociale e redenzione.

A guardare bene, però, dietro i dipinti di De Stefano, ieri come oggi, ci sono gli stessi protagonisti, gli stessi sguardi senza sorriso di vittime umane, allora, dei soprusi delle guerre e del potere corrotto e, ai nostri giorni, della fame di gioia e di salvezza gratificante, fisica e morale.

Procedendo nella sconcertante visione, compaiono gli incubi, le gabbie, i serpenti, gli animali striscianti, i camaleonti, le bocche aperte a perdere fuoco e fiato, sgorganti acqua viola, le creste dinosauriche minacciose quasi ad avvolgere e decapitare, a volte, le teste ormai prive di corpo, abbandonate in un eterno addio, lame di spade nell’atto agghiacciante di ferire, lasciando scorrere copiose gocce di sangue verde. Nell’ultima sala, un bel pianoforte e nella penombra, incomprensibili spezzoni di film, I dieci comandamenti, rimbombante e inutilmente chiassoso girato in una Napoli bombardata, mentre lo stesso Raffaele Viviani soffriva ammalato…
Nel ricavare dalla storia motivi ispiratori Armando De Stefano coglie l’opportunità per dialogare sul contemporaneo e condannarlo con ferocia.

Ma dove il suo tratto segnico e sapientemente accademico coglie la vera poesia è nel ritratto di Odette. Qui la matita di De Stefano si esalta e traccia con passione la sua amata: il grande cappello rosso e floscio dal quale escono ciocche di capelli ramati, le incornicia il pallido viso, dando risalto agli occhi lacrimosi e languidi, la bocca carnosa e imbronciata, prima di disperdere il tratto sapiente su una lunga cappa a righe verticali che rende l’intera immagine staccata dal reale e proiettata in alto…

Di recente De Stefano è stato chiamato a dipingere il soffitto dello Studio del Rettore nell'Ateneo Federico II di Napoli e ha realizzato un mosaico nell'Aula Magna della stessa Università.

10/11/2009
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