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Recensioni
L’irriverente Nothomb di “Causa di forza maggiore”
Storia di identità alla deriva in un oceano di champagne
di Emanuela Cicoira
Un uomo qualunque, il trentanovenne Baptiste Bordave, protagonista dell’ultimo libro di Amélie Nothomb “Causa di forza maggiore”. Con un lavoro “intercambiabile” – di quelli che si accettano solo per pagare l’affitto –, colleghi noiosi, inviti a cena da “amici” di cui non ricorda neanche il nome, sabati tutti uguali.
 
Una vita che questo eroe della normalità, nello svelto racconto in prima persona affidatogli dall’autrice, descrive quanto basta perché la si possa ritenere insulsa, cosa, del resto, desumibile dalla tempestività con cui decide di sbarazzarsene non appena gli si presenta l’occasione favorevole…

L’occasione del caso si chiama Olaf Sildur, è svedese, ha la sua età, la sua stessa altezza, e chissà per quali imperscrutabili ragioni ha deciso di venire a morire d’infarto in casa sua, non prima di avergli mentito parlando di imprevisti inesistenti e di aver tentato di fare una telefonata misteriosa a un altrettanto misterioso destinatario.

Un avvenimento a dir poco strano: proprio la sera prima, durante una cena, Baptiste aveva discusso (per assurdo!) con un commensale riguardo al comportamento da adottare in una simile situazione – cioè, qualora ci si ritrovi improvvisamente un morto in casa – e l’altro gli aveva fatto notare l’inopportunità di chiamare la polizia.

Lui infatti non la chiama. Non, come sosteneva l’interlocutore, per evitare grane con le indagini. O forse anche, ma solo nella reazione iniziale. Non la chiama perché si ritrova vittima di quel rischioso genere d’imbroglio esistenziale tanto seducente su chi non ha nulla da perdere. Vale a dire, decide di approfittare della macabra circostanza per cambiare identità, pronto, senza rimpianti, a lasciar morire se stesso (il cadavere sarebbe stato ritrovato solo molto tempo dopo) e a costruirsi una nuova vita nei panni dello sconosciuto defunto che ormai tanto sconosciuto non è (defunto di sicuro)...

Mica male come inizio. Scambio di identità con morto indiscreto, e dettagli misteriosi di contorno (l’automobile di Olaf si scopre perfettamente funzionante, idem la cabina telefonica della zona). Per la gioia dei “nothombiani” va detto che l’affermata scrittrice francese ha scelto ancora una volta un incipit d’esperienza, tanto più efficace in quanto formulato nello stile quasi teatrale, a lei molto caro, del dialogo a battute brevi, attraverso cui la sua prosa si distende garbata e ironica, semplice ma raffinata, leggera come una piuma.

Così la storia di Baptiste ribattezzatosi Olaf ci scivola sotto gli occhi senza richiederci alcuno sforzo interpretativo. Trascina verso il seguito, incuriosisce per gli interrogativi sospesi (perché le scuse addotte da Olaf? a chi ha provato a telefonare? come mai ha scelto proprio l’appartamento di Baptiste? di cosa è morto in realtà? che lavoro faceva? e, soprattutto, chi era Olaf Sildur, e chi è, dunque, ora, Baptiste Boldave?)... L’irriverente Nothomb vira sempre più verso l’assurdo, disseminando incertezze, oscurando anziché chiarendo.

Le informazioni riportate sui documenti guidano il temerario usurpatore d’identità fino a una villa faraonica arredata col cattivo gusto tipico della più sfacciata volontà di ostentazione (pure possidente gli è capitato, il morto!). Per di più l’ignara vedova Sildur, sotto il cui tetto il protagonista si intrufola con ben poco riguardo alla cortesia, non solo è una bella bionda solitaria, viziata dal bancomat del marito e fanatica bevitrice di champagne, ma – cosa più incredibile di tutte – non pare affatto stupita della sua venuta. Al contrario, non gli fa domande e lo tratta con ogni riguardo, come riservandogli un’accoglienza di routine.

Per Baptiste non c’è altra spiegazione se non quella che Sildur fosse una specie di agente segreto abituato a ospitare colleghi in incognito. Non gli resta che assecondare l’equivoco e abbandonarsi alla deliziosa vita di ozio e di piacere a cui lo invita la sorte, dormendo come un ghiro, mangiando divinamente, e dedicando il resto del tempo a innamorarsi dell’affascinante padrona di casa.

Dopo diversi giorni e innumerevoli bottiglie di champagne svuotate, proprio quando è sul punto di provarci con la moglie di Olaf – cioè sua moglie – di cui sembra ormai aver conquistato la fiducia, ecco che accade l’inevitabile. L’individuo a cui il morto aveva rivolto l’ultimo pensiero ora sa, e lo avverte di fare attenzione. Due inquietanti voyeurs compaiono in giardino per studiare ogni sua mossa, osservandolo attraverso le grandi vetrate della villa...

Però (sfogliamo le pagine): un tale pasticcio a ridosso della fine. Come si risolve?
 
Manca poco. Ultimo capitolo.

Suvvìa, Mademoiselle Nothomb, lei ha proprio voglia di scherzare! Le pare questo il modo di trattare un lettore rispettabile?

TITOLO: Causa di forza maggiore
TITOLO ORIGINALE: Le fait du prince
AUTRICE: Amélie Nothomb
TRADUZIONE: Monica Capuani
CASA EDITRICE: Voland
ANNO: 2009
PAGG: 128
PREZZO: € 14
19/3/2009
  
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