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Napoli Soccer
e la provincia avvelenata
di Rosario Iannuzzi
C’è una verità amara emersa prepotente dopo il derby campano della scorsa domenica: il Napoli Soccer sta inseguendo una chimera che non potrà mai raggiungere perché mai chimera è stata più inesistente del rispetto, della solidarietà e della simpatia degli avversari, in questa categoria. Precisiamo: ad Avellino ce n’è stata conferma definitiva, ma è una condizione palesatasi dall’inizio del campionato. Il Napoli e i napoletani stanno vivendo una delle stagioni più amare, costretti a militare in una categoria assolutamente inadatta alle proprie aspettative, capacità, potenzialità e, naturalmente, storia calcistica.

L’amarezza più grande sta nel fatto che tifosi e squadra napoletani si aspettavano solidarietà e simpatia sui campi che hanno visitato. Invece non è stato così, da nessuna parte. Pensiamo a quegli stadi con i padroni di casa assiepati lungo le recinzioni a ridosso del campo di gioco a cercare di colpire a ombrellate, bottigliate, sputi e in qualsiasi altro modo, tecnico, dirigenti e atleti in panchina; pensiamo alle tribune stampa e d’onore di tanti stadi affollate da personaggi fin troppo prodighi di esternazioni e atteggiamenti come dire, pittoreschi. In più occasioni il presidente De Laurentiis ha avuto a dire che non si sarebbe mai aspettato di dover affrontare climi così ostili, quando decise di lanciarsi nell’avventura calcistica.

Il Napoli deve guardarsi con molta attenzione da dirigenze che non esitano a sfruttare la sua presenza in C indicendo giornate biancoverdi, biancoblù, rossonere, paonazze (discutibili espedienti per costringere i propri abbonati a pagare un extra per assistere all’incontro con gli azzurri), felici di poter monetizzare la ribalta mediatica di cui stanno beneficiando mentre non perdono occasione di dileggiare in diretta satellitare, “i fenomeni” (la definizione è tratta dal labiale di un distinto signore, accomodato sulla panchina avellinese, la cui immagine ebbra di gioia in occasione del primo gol irpino è stata ripresa dalla telecamera di Sky) che osano puntare alla promozione.

Che l’Avellino abbia dimostrato di essere squadra più forte del Napoli Soccer (e non solo nei due derby) è indiscutibile. Che la società irpina abbia dimostrato di strameritare la serie B senza passare per i play - off è altrettanto indiscutibile. Che i giocatori irpini (tutti) siano fior di professionisti è lapalissiano. Che la tifoseria avellinese sia da elogiare per la passione e il senso di responsabilità mostrato sugli spalti è incontrovertibile. Ma se è vero tutto ciò, è altrettanto vero che sul piano dell’organizzazione (accessi alle tribune) e della comunicazione c’è più di un particolare da registrare, nella società biancoverde come in tante altre piazze della C.

Simpatia? Solidarietà? Rispetto? In un contesto che ha capito quanto sia conveniente tenere “i fenomeni” dove stanno? L’unica strada che ha il Napoli per uscirne è credere fermamente nei propri mezzi e tirare dritto senza farsi soverchie illusioni sulla possibilità di ottenere rispetto, comprensione, simpatia e solidarietà per essere stata (fino ad ora) l’unica grande squadra professionistica ad aver pagato un salatissimo conto in nome di una strombazzata voglia di trasparenza amministrativa nel mondo del calcio che, etichettare come pelosa e ipocrita, è davvero il minimo si possa fare.

I disagi ambientali vissuti dal Napoli Soccer in questo campionato sono stati causati (così crediamo) anzitutto da tecnici e dirigenti delle società concorrenti che vivono una condizione normalmente appagante ma che appare improvvisamente scialba all’ arrivo delle maglie azzurre, regolarmente accompagnate da un consistente seguito di radio, televisioni e inviati della carta stampata. Sentire Aurelio De Laurentiis che (inopportunamente) parla di tornei internazionali da organizzarsi con il Napoli Soccer assieme alla crema del calcio internazionale poche ore dopo una sconfitta per due a zero in serie C, deve rendere certe persone letteralmente folli di stizza.

Napoli Soccer è oggi come una nobildonna caduta in disgrazia, costretta dalle circostanze avverse a stare fuori del suo ambiente. Una nobildonna allontanata dal quartiere bello ed elegante della città che vive nella periferia più anonima e prova a farlo dignitosamente, considerando la triste esperienza nulla più che una parentesi. Quelli che normalmente vivono lì, non accettano la nobiltà decaduta, la trovano irritante, spocchiosa, fuori luogo. Fanno di tutto per mortificarla, irriderla, cogliendo ogni occasione per oltraggiarla con la perfidia propria della gelosia, dell’invidia e della convinzione di essere diversi di una diversità irreparabile, che non potrà mai permettergli di somigliarle, nemmeno in un lontanissimo futuro. Una diversità vissuta male, come inadeguatezza.

Tutto questo non sembra, francamente, molto appropriato a chi ha il compito di fare sport professionistico, seppure in serie C. Perché il calcio (lo dimentichiamo sempre più spesso) è pur sempre uno sport e come tale assolve a funzioni sociali di ragguardevole importanza. Troppi operatori calcistici sembrano ignorare sistematicamente questa elementare verità, infischiandosene bellamente di quanto male facciano certi atteggiamenti e certi discorsi sull’ambiente (sopratutto giovanile) che li circonda. Inutile accanirsi contro gli azzurri: una squadra che vanta milioni di tifosi nel mondo non può che pensare di stare con le grandi. Che senso ha ingelosirsi per questo?

Forse Aurelio De Laurentiis esagera nelle esternazioni entusiastiche ma lo fa esaltando la sua squadra, non denigrando quelle concorrenti. Perché non rispondergli con lo stesso tono? Crediamo che nascondendosi dietro il comodo paravento della categoria (“questa è serie C”, dicono, “è così che funziona da queste parti, la colpa è del Napoli che non lo capisce”), i suoi avversari tentano di nascondere la verità. Purtroppo questa verità, come la tosse, non si può invece nascondere: lo chiamano agonismo, quando esiste un termine preciso, fatto apposta per descrivere quello che è: puro, semplice, schietto provincialismo. Sportivamente parlando.

Brutta cosa il provincialismo. Per quanto ci si sforzi di nasconderlo, affiora sempre alla prima occasione: la grettezza è un’autentica malattia dell’animo, troppo spesso incurabile.

Non c’è che fare, è così che va. Ma per quanto certuni si sforzino di gioire per le umiliazioni inflitte al Napoli e alla sua gente, non riescono a provare piena soddisfazione nel loro intimo, perché sanno che non può piovere per sempre e che questo momento passerà. Quando ciò avverrà, tutto andrà al suo posto, il Napoli tornerà dove gli compete e gli altri resteranno dove sono. È forse questa la convinzione che fa più male a coloro i quali, oggi, colpiscono il volto della nobildonna con tutta la cattiveria di cui sono capaci?
17/2/2005
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