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Economia
La cessione del Banco di Napoli
di Stefano Federici
Ben poche sono le realtà industriali ed economiche che sopravvivono sul nostro territorio e che creano occupazione, una delle ultime era il Banco di Napoli.

A seguito della vendita dell’Istituto di Credito napoletano prima alla BNL e successivamente al San Paolo di Torino tutto l’indotto, cioè le aziende che per esso lavoravano, hanno smesso di farlo, compresa la Datitalia Processing, azienda d’informatica che dal 1992 lavorava esclusivamente per la Banca napoletana.

Il San Paolo ne decideva la vendita, contro il parere di tutti i lavoratori e del sindacato Slai-cobas, mentre CGIL, CISL, UIL e le Istituzioni campane facevano finta di non vedere.

La vendita avveniva solo nel Gennaio 2002 alla Gepin di Roma, della famiglia Zavaroni, un azienda segnalata negli archivi del Banco di Napoli come “cattiva pagatrice”, cioè non aveva pagato tutti i debiti contratti con l’istituto partenopeo.

In effetti la vendita della Datitalia Processing avveniva grazie ai crediti che quest’ultima vantava nei confronti del Banco di Napoli, cioè l’azienda si comprava da sola, senza alcun esborso da parte dell’ acquirente romano. Inoltre le venivano accordate commesse per tre anni, dallo stesso Istituto di Credito, ammontanti a svariati miliardi.

Ma dopo appena 18 mesi dalla vendita la Gepin dichiarava una Cassa integrazione per 68 lavoratori, l’anno successivo una nuova cassa integrazione per altri 62 lavoratori (il totale passava a 130) e ribadiva la richiesta al Ministero del lavoro anche nel 2005 e nel 2006 , arrivando così a ben 4 anni di Cassa integrazione e ad un totale di 170 lavoratori circa interessati al provvedimento.

In questi 4 anni l’azienda non effettuava la rotazione del personale come previsto dalla legge, né effettuava alcun corso di formazione né investimenti tali da risollevare le sorti economiche.

Che tutto fosse solo un modo per eliminare il maggior numero di lavoratori possibile e caricarne il costo sulla collettività è apparso chiaro sin da subito, tranne a chi ha fatto finta di non capire, i soliti CGIL CISL e UIL e il Ministero del lavoro.

Oggi l’ azienda romana, a seguito di strane fusioni, scorpori, e nuovi riassetti del gruppo, dichiara una procedura di mobilità (licenziamenti collettivi), ma ora per ben 260 persone.

C’è da precisare che la Gepin del signor Zavaroni è stata condannata, in tutte le cause sinora svolte, a reintegrare alcuni lavoratori dalla Cassa integrazione e a pagare a tutti lo stipendio per intero, perché ai giudici non è sfuggita l’illegalità e l’irregolarità della procedura.

Ma Zavaroni fa orecchie da mercante e non reintegra, né paga i lavoratori, così come fa con il fisco, con il quale, ad oggi, ha contratto un debito di 30 milioni di euro!!!!!

Eppure l’azienda incassa, eppure i costi del personale sono ben inferiori alle entrate, così come i costi generali, ed allora i soldi dove finiscono?

Una marea di consulenze, un po’ come fanno le nostre istituzioni !!!!

E chi paga le acrobazie di questo imprenditore?

I lavoratori in prima battuta, costretti senza lavoro, con il solo misero assegno di cassa integrazione, in un territorio, come quello campano, dove trovare un’altra occupazione è impresa degna solo degli amici di Bassolino, poi la collettività tutta.

Nel nostro paese la classe dirigente, politici ed imprenditori, parlano tanto di legalità, di onestà, di tolleranza zero contro gli ultimi (i lavavetri), ma sono sempre i primi che aggirano leggi troppo spesso in accordo tra di loro……………ed allora chi difende le persone oneste?

6/9/2007
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