Calcio
Torna alla ricerca
Eterno Marekiaro
di Mimmo Carratelli (da: Corriere dello Sport del 08.11.2018)
Dodici anni a Napoli, 512 partite con la maglia azzurra, una scelta di vita, il tranquillo slovacco di Banskà Bystrica è diventato infinito in azzurro

Questo “vecchio ragazzo” di Marek Hamsik, che lo vedevano “vecchio” già a Brescia, quando aveva 17 anni, per la prematura saggezza, la tranquillità e i progetti semplici e chiari della sua vita, ancora più saggio nei dodici anni napoletani negandosi ad ogni sirena del calcio milionario per restare un “vecchio ragazzo saggio” in una villetta di Castelvolturno, non proprio la California e neppure la Costa azzurra, però una graziosa costruzione tra i pini, raggiunge senza esagerazioni, colpi di testa, bramosia di ricchezza e voglia di luci della ribalta un’altra vetta della storia azzurra, lui con Peppone Bruscolotti e Totonno Juliano.

Fedelissimo tra i fedelissimi di questa passione che si chiama Napoli, con la partita numero 512 contro il Psg Marek ha superato il terzinone salernitano di Sassano (511) dopo avere sopravanzato il capitano mio capitano (505 partite).

Più lunga fu la vita tra Soccavo e il San Paolo di Bruscolotti, sedici anni. Più lunga ancora quella di Totonno, diciassette anni.

Il maggior numero di partite dei tempi moderni ha consentito al prodigioso “vecchio ragazzo” di Banskà Bystrica di arrivare molto prima in vetta conquistando il record assoluto di presenze.

Napoli è stata una scelta di vita. Dopo essersi rivelato un fuoriclasse per la semplicità e l’incisività del gioco, Hamsik è diventato un tranquillo napoletano, da che era un tranquillo ragazzo slovacco di Banskà Bystrica.

Contentarsi del giusto e del sicuro in un posto dove valgono più i sogni che le pretese, dove molte volte basta ca ce sta ‘o sole, dove ‘a voce de’ creature saglia chianu chianu e tu sai can nun si sule.

La città “seconda mamma mia” di Diego che tutti abbraccia e incanta in un grande sogno di bellezza e sentimento, ‘o paraviso ‘nterra, anema e core e core ‘ngrato, funiculì funiculà, malafemmena e bene mio.

Una scelta di vita che ha fatto di Marek una stella fissa nel cielo di Napoli e nel cuore dei napoletani.

Nove anni fa, proprio Ancelotti che era al Chelsea l’avrebbe voluto a Londra e Abramovic era disposto a sborsare 40 milioni di euro. Era l’ottobre 2009.

Due anni dopo, ci fu un tentativo del Milan, ma Berlusconi (presidente del Consiglio) per acchiappare voti urlò in campagna elettorale a Piazza Plebiscito: “Il Milan non comprerà Hamsik”.

Tre anni fa, la Juve tentò Marek invano. Pavel Nedved, vicepresidente bianconero, ha rivelato: “C’era quasi l’accordo col Napoli, ma Hamsik decise di non venire da noi. Se fosse arrivato alla Juve avrebbe avuto la possibilità di vincere il Pallone d’oro perché Marek è un campione assoluto”.

Di recente, una tentazione, la Cina, non ha avuto seguito. Hamsik è rimasto a Napoli, Marekiaro per sempre.

Non un lazzaro felice, come Dieguito, ma uno studentino come ce ne sono a Posillipo, il viso chiaro e leale, per bene, gli occhialini, il garbo e l’educazione come guide perenni e solo quella voce gutturale, dell’Est, a impedirgli di parlare napoletano dolcemente, lui che è dolce nel cuore, e poi la cresta che una volta valse un gol a Bratislava contro lo Slovan, il suo essere un bravo ragazzo, sempre disponibile, mai ombroso neanche quando gli allenatori lo hanno richiamato in panchina tante volte, troppe volte.

I suoi gol sono carezze, uno schiaffo leggero alla rete, un pallone che entra in porta cantando. Hamsik non è un Narciso innamorato della palla. La riceve e la passa. Con delicatezza. Mai un tocco sopra le righe. Non fa mai il solista. Non è un egoista in campo.

Quando ha la palla, ha già negli occhi la posizione dei compagni, ha già pronto il messaggio del passaggio. Ha il senso della manovra, l’avanzamento delle linee, la verticalizzazione necessaria.

Un tocco e via, una corsa leggera e via, un inserimento agile in area e via, l’assist per il compagno e via, la conclusione rapida e stop.

Marek non calpesta l’erba, l’accarezza. L’inserimento astuto, il tocco secco. Se è un centrocampista, è uno dei più prolifici centrocampisti d’Europa. Il gol non è la sua ossessione, ma un appuntamento preciso, la meta finale di un percorso mai affannoso, l’incontro galante con la palla da consegnare al tremito della rete.

E così sono passati dodici anni dall’estate del 2007 a Castelvolturno quando Marek apparve in tenuta da spiaggia, polo blu, borsello e infradito ai piedi, insieme a Lavezzi e rimase stupito dal chiasso dei tifosi in quell’angolo di mondo azzurro.

Che accoglienza” disse, felice, in slovacco. Quei tifosi, caro Marek, erano inferociti con De Laurentiis che aveva comprato due sconosciuti, te e Lavezzi. Urlavano improperi.

Quando Pierpaolo Marino, rotondo prelato del pallone, mi concedeva udienza, disse: “L’ho preso per i capelli”. Parlava di Marek. La storia è nota.

Marino andava a vedere le partite della serie B al sabato per adocchiare giocatori di esperienza da portare in maglia azzurra. Cercava un regista. Beppe Galli, agente Fifa ed ex centravanti, gli suggerì di andare a Brescia a vedere Omar Milanetto, torinese, centrocampista organizzatore di gioco e abile sui rigori e sui calci piazzati, a trent’anni calciatore di grande esperienza. Marino andò a vedere Brescia-Albinoleffe, l’11 febbraio del 2006.

Nel Brescia giocavano anche Fabiano Santacroce e Daniele Mannini che Marino portò al Napoli negli anni successivi. Ma ora era lì, allo stadio “Rigamonti”, per visionare Milanetto che concluse la vittoria del Brescia (3-0) con uno dei suoi impeccabili calci di punizione. Milanetto uscì al 55’. Non convinse Pierpaolo Marino. Lo speaker annunciò l’ingresso in campo di uno sconosciuto.

Vedo alzarsi dalla panchina un ragazzo longilineo con una cresta di capelli come li aveva mio figlio Gianmarco. Mi incuriosisco. Resto alla stadio” ricorda Marino.

Guardo la distinta delle formazioni e, capperi, quel ragazzo dal nome strano che entra al posto di Milanetto era un ’87, cioè non aveva ancora vent’anni.
Io ero in polemica con mio figlio Gianmarco per quei capelli irti che portava in testa. Erano di moda. Gli telefonai dopo la partita dicendogli che avevo visto un giocatore con la cresta come la sua.
Rimasi folgorato dal giovane straniero che giocò una mezz’ora e poco più. Un regista in erba. Pensai: questo diventa un grande.
Mi era capitato un’altra volta di avere una felice intuizione. Fu quando il Napoli di Maradona cercava un regista e presi Francesco Romano dalla Triestina. Magari stavo per azzeccare un altro colpo.
Seguii il giovane straniero in altre occasioni e mandai anche degli osservatori perché ne avessero un giudizio meno emotivo del mio
”.

A una delle prime riunioni di Lega alla quale partecipò De Laurentiis, Marino gli presentò Luigi Corioni, il presidente del Brescia, per trattare il trasferimento del “fenomeno” con i capelli dritti.

De Laurentiis disse a Corioni: “Mi devi dare un tuo giocatore perché devo fare un regalo a questo ragazzo”. E indicò Marino che disse a Corioni il nome del giocatore, Marek Hamsik.

De Laurentiis chiese a Corioni: “Per sei milioni me lo dai?”. Corioni disse sì. I due presidenti si strinsero la mano e la trattativa restò legata a quel gesto.

A Marino vennero dei dubbi. Il Napoli di De Laurentiis non aveva mai speso sei milioni per un giocatore. In seguito, De Laurentiis cercò di risparmiare sulla cifra che aveva offerto. Non voleva più dare sei milioni, ma cinque.

Prendendolo dallo Slovan Bratislava Corioni aveva pagato Hamsik sessantamila euro. In due anni, il ragazzo valeva cento volte di più.

La stretta di mano fu dimenticata. Pare che Corioni offrisse il giocatore a mezza serie A. Dissero di no la Juventus, la Roma, il Palermo, il Milan, l’Inter. Alla fine fu sancito l’accordo col Napoli.

Corioni disse: “Devo vendere Hamsik per fare quadrare i conti del Brescia. E, se devo venderlo, preferisco che vada al Napoli. Ho stima del presidente De Laurentiis e conosco Marino da quand’era un giovane arrembante”.

Ci fu un ripensamento di Milan e Inter su Hamsik, e lo Shakhtar Donetsk offrì sei milioni. Il Napoli concluse la trattativa per 5,5 milioni.

L’accordo venne siglato in un luogo portafortuna di Marino, una saletta al primo piano dell’Hilton di Milano dove aveva concluso gli affari migliori.

Nella trattativa si intromise Mino Raiola, campano di Nocera Inferiore e procuratore di calciatori, fiutando l’affare di gestire Hamsik. La discussione, prima della firma, durò quattro ore. Hamsik disse che la sua preferenza era Napoli.

Ricorda ancora Marino: “Per me Hamsik è il calcio. Quando lo vidi la prima volta con la cresta sembrava più alto. Aveva un fisico ancora acerbo, da bambino, più esile che robusto, coetaneo di mio figlio Gianmarco. Conobbi i genitori di Hamsik. Persone semplici, con valori semplici ma importanti. A Marek detti un ingaggio di centomila euro, quanti ne prendevano i portieri di riserva del Napoli, ma ogni tre mesi glielo ritoccai”.

Quando Hamsik si presentò a Castelvolturno, la sede degli allenamenti del Napoli, disse che avrebbe preferito abitare in una casa vicina. “Così posso riposare fra un allenamento e l’altro” disse.

Si presentò dicendo: “Non ho paura di niente. Mi piace giocare a due tocchi. Quando ho saputo che mi voleva il club di Maradona, mi sono emozionato”. Aveva i capelli irti in testa che avevano colpito l’attenzione di Marino a Brescia.

Pierpaolo Marino era sicuro del fatto suo, ma temeva che l’allenatore Reja considerasse troppo acerbo Hamsik. Nel ritiro di Feldkirchen, invece, il tecnico disse: “Questo bambino è forte, conto di farne un titolare”.

Dopo sei mesi, un club inglese offrì 30 milioni per averlo. De Laurentiis disse: “Non lo cedo neanche per cinquanta. Ha la calamita, dove c’è lui va la palla”.

Ed ora eccoci qua, caro Marek, a celebrare i tuoi record azzurri, uno dietro l’altro, record di presenze (512), di gol (120) e di sostituzioni (224: 34 con Reja, 1 con Donadoni, 61 con Mazzarri, 42 con Benitez, 81 con Sarri, 5 con Ancelotti).

Hai quei capelli irti in testa perché a Napoli possiamo cantare: “Cresta cu’mme, nun me lassà”.

Hamsik è come la “fenesta” di Marechiaro che la passione dei tifosi azzurri ce tuzzuléa. Sole mio e luna rossa, e vieneme ‘nzuonno.

Il tranquillo slovacco è nella galleria dei giocatori azzurri più amati, e questo è il record più bello.
9/11/2018
RICERCA ARTICOLI