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Le squadre inallenabili cruccio di Maurizio Sarri
di Mimmo Carratelli
(da: Corriere dello Sport del 10.06.2021)
L'agente Ramadani, nomen omen, annuncia che il digiuno di calcio è finito per Sarri. Nel cielo di Roma è tutto un volare di aquile laziali e droni sarriani. Edamus, bibamus, gaudeamus. È l'invito dell'imperatore Claudio Lotito da 17 anni al potere biancoceleste. Così è se vi Tare.

Discendendo dalle colline toscane, preceduto, avvolto e seguito da una nuvola di fumo senza filtro, avanza verso Roma il Comandante, titolo rivoluzionario e di fede di cui abbiamo insignito Maurizio Sarri ai tempi napoletani. Il Comandante. Se avanzo seguitemi, se inciampo rialzatemi. Un uomo sodo al comando. Una tuta per tutte le stagioni.

Tra i sette colli di Roma, il Comandante ha scelto il colle laziale. C'è un leggero fremito a Napoli che in tempi passati alla Lazio dette Giorgio Chinaglia e Pinotto Wilson, eroi vomeresi nell'Internapoli di Charles De Gaudio, e poi Roberto Fiore, presidente azzurro dei centomila cuori negli anni Sessanta, defenestrato da Lauro, buggerato da Ferlaino e accolto da papà Lenzini nel ruolo di direttore sportivo. Ora è la volta di Sarri, tre anni dopo la napoletanitudine sarriana bruciata dal rogo di Aurelio.

Annidati nei vicoli di Napoli e sulla collina di Posillipo, i nostalgici del Comandante (una volta Comandante era Lauro, poi è stato Maurizio Sarri) continuano a seguire con immutato rimpianto l'Uomo per aspera ad astra, attraverso le asperità sino alle stelle, l'artefice della Grande Bellezza azzurra, il Conquistatore di 91 punti, l'Audace tradito da un albergo fiorentino, il Grande Deriso del bel gioco a zero tituli.

Conclusi i tre anni napoletani, reso infelice e stizzoso da Aurelio De Laurentiis, seguimmo il Comandante nelle campagne del Surrey, quaranta chilometri da Londra, e nelle cinque stanze divise con l'inseparabile cane Ciro a Cobham, lo splendido splendente centro di allenamento del Chelsea, fortino inaccessibile nel profumo dell'affascinante Marina Granovskaia, moscovita di origini canadesi, longa manus (e lunghe gambe) di Roman Abramovic padrone del Chelsea dal 2003 quando lo prese per 140 milioni di sterline.

Capimmo che, dopo l'ardente creazione del Napoli delle meraviglie, Mertens finto nueve e poi il finto scudetto, il Comandante Sarri era incappato nella prima squadra inallenabile.

Dimenticando i suoi 33 schemi, il Comandante giunse a compromessi che inaridirono la sua Grande Bellezza. Il Chelsea era una squadra di colpitori di palla che non avevano nè etica, nè estetica e neppure la critica della ragion pura.

Il solista belga Eden Hazard giocava solo per sè e non fu mai Insigne per Sarri, nè lo è stato in seguito al Real Madrid. Per quattro mesi il Comandante non ebbe dal giro-vita di Gonzalo Higuain, il suo figlioccio a Napoli, esiliato dalla Juventus, l'apporto generoso del figlioccio riconoscente. Ebbe in squadra un solo souvenir partenopeo: Jorginho.

Nelle avversità britanniche, Sarri ricavò un terzo posto nella Premier con qualificazione alla Champions e la conquista dell'Europa League nell'esotica Baku, adagiata con tre grattacieli a punta sul Mar Caspio. Era notte in Azerbaigian, era sera a Napoli e fu tripudio nel golfo. Il Comandante dissolse in finale l'Arsenal che, nei quarti, aveva dissolto il Napoli di Ancelotti.

Gli statistici inglesi annotarono che Sarri fumava una sigaretta ogni 12 minuti, per una spesa di 29mila euro l'anno. Se lo poteva permettere prendendo 3,5 milioni di sterline da Abramovic nell'anno del fumo di Londra.

Erano passate una vita e anche due dal giorno in cui, lasciata la banca per fare l'allenatore, la moglie Marina disse a Sarri: "Vai, Maurizio, insegui il tuo sogno, per vivere basta il mio stipendio". La signora aveva una azienda di etichette.

L'anno dopo l'Inghilterra, nello smarrimento imprevisto dei nostalgici napoletani del Comandante, Maurizio Sarri che da condottiero partenopeo aveva combattuto il Palazzo entrò nel Palazzo sabaudo, di là del Po e tra gli alberi della Continassa.

Fu definito un tradimento dai paladini vesuviani dell'acerrima rivalità storica con la Real Casa torinese. Si registrarono scissioni fra irrinunciabili nostalgici del Comandante in tiepido sostegno e nostalgici traditi che si allontanarono dal ricordo imperituro del Comandante.

E il Comandante ebbe a Torino un'altra squadra inallenabile vincendo lo scudetto contro tutto, tutti e sè stesso che avrebbe preferito una bella sconfitta a quella sporca vittoria, Ronaldo geloso del suo sentiero mancino, la contraerea bianconera attestata in difesa senza voglia di giocare palla elegante, il centrocampo un negozio di lampade senza genio che Sarri aveva saputo strofinare quando le lampade si chiamavano Callejon, Mertens e Insigne accendendone il genio.

Nessuno giocherà mai come il mio Napoli, disse il Comandante a Torino, dichiarazione impudente che lo allontanò dal poco amore e molto astio dell'ambiente bianconero, condannandolo a un anno sabatico compensato con otto milioni di euro delle casse juventine.

In casa Sarri, non c'era più bisogno dello stipendio di Marina. Con lo stipendio bianconero a fondo perduto, Sarri non badò a spese e raddoppiò il consumo di sigarette.

E, ora, la Lazio, questo bel mosaico disegnato col 3-5-2 da Simone Inzaghi. La domanda è: la Lazio è allenabile? Nei vicoli di Napoli i nostalgici di Sarri si sono ridotti di numero. La lontananza, sai, è come il vento e spegne i fuochi, piccoli o grandi che siano.

Il Comandante è alla prova risolutiva. Allenare l'inallenabile. Come cambierà la Lazio ed è cambiato il Comandante? Vaccinato dai tre anni con De Laurentiis, Sarri sosterrà il confronto con Lotito, laziale dall'età di sei anni. Già risuona la frase famosa dell'imperatore Claudio: "A Roma, nel calcio, c'è il tiro al piccione e il piccione sono io". I piccioni passano a due.
Per aspera ad astra, naturalmente...

10/6/2021
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