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Quel che ci ha detto la partita di Udine
di Guido Clemente di San Luca*
A me pare che, dopo la partita di Udine, sia evidente che la crisi non sia tanto di impegno, o solo di mancanza di serenità. Certo ci sono anche questi.

Ma ieri si è avuta netta la percezione che sotto tale profilo ci sia stata una buona reazione: depone in questo senso anche il positivo segnale di mettere subito in campo Mertens e Callejon (che non hanno affatto demeritato quanto a voglia ed impegno), per ricompattare il gruppo.

La squadra insomma, anche nel primo tempo, è parsa voler reagire al momento difficile. Il fatto (e il problema) è che - si vede a occhio nudo - non sa cosa fare. La sensazione è che i giocatori si impegnino, lo vogliano fare, ma lo fanno facendo appello soltanto alle loro intuizioni creative, senza un disegno prestabilito.

Basterebbe chiedere ad Ancelotti cosa intende quando, nello spiegare il primo tempo, afferma che «la squadra è apparsa lenta ed involuta», che «occorreva trovare un modo per combattere l’apatia e l’assenza di idee», che «in questo momento la preoccupazione prevale sulla lucidità».

Bene. Ma ci faccia capire meglio, ci dica cosa avrebbero dovuto fare i giocatori (che non hanno fatto) di quello che lui avrebbe detto loro di fare! Ci spieghi cosa significa che «la nostra idea di gioco è il fraseggio»!

La verità è che manca un disegno del gioco, che l’unico piano tattico, che talvolta riesce anche molto bene, è quello elementare basato sul contrasto al gioco avversario. Le due partite col Liverpool e col Salisburgo: in circostanze come quelle la squadra, impegnandosi, sa cosa fare e lo fa bene. Quando invece è l’avversario che si mette ad aspettare, si perde, affidandosi alla trovata estemporanea di qualcuno.

Ci si dovrebbe domandare perché la stampa non incalza l’allenatore sull’unico piano legittimo, quello dei contenuti del gioco. Il palmares di Ancelotti inibisce ogni critica seria. Come se fosse lesa maestà. Ma non solo.

Forse inconsciamente, è come se criticare lui volesse dire criticare il sistema nel suo complesso, e ciò non è consentito, a meno di non mettere in discussione tutto, compreso il modo di svolgere il proprio ruolo.

E allora? C’è poco da fare, purtroppo. Chiunque venisse adesso, difficilmente potrebbe salvare la stagione. Dovrebbe avere, per un verso, la capacità di risvegliare l’anima azzurra in ciascuno dei protagonisti. E questo non sarebbe molto difficile.

Per altro verso, dovrebbe al tempo stesso intuire come il ‘materiale tecnico’ a disposizione possa assemblarsi al meglio in una strategia di gioco: si tratterebbe, insomma, di massimizzare le qualità presenti (non poche) in una chiara identità collettiva. E questo, subentrando in corso d’opera, è assai difficile.

Lo fece Mazzarri rilevando le macerie di Donadoni. Bisognerebbe essere bravi e fortunati a individuare chi ne sarebbe capace ora, in questo momento. Ci vorrebbe un miracolo. Naturalmente noi tifosi campiamo anche di quelli.

* Ordinario di Diritto Amministrativo, Università della Campania Luigi Vanvitelli


9/12/2019
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