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I 137 giorni di Ancelotti
e l’idea vincente: la tattica Ikea
di Mimmo Carratelli (da: Corriere dello Sport del 07-10-2018)
La storia non finisce mai perché l’uomo di Reggiolo è oltre nel mezzo del cammin di nostra vita e, secondo il calendario dei Dakota, 288 lune sono passate dalla curva della sua giovinezza, e l’uomo è di robusta costituzione, ed è lontano il giorno in cui il gallo canterà tre volte con tutto quello che segue e si conosce, così che il Signore continua a scrivere chiose, glosse e postille alla lettera “A” della sua agenda celeste nella pagina infinita di Ancelotti Carlo, uomo di vigne e di pallone.

E sono ormai 137 giorni dal martedì di maggio che il Sole era appena entrato nei Gemelli quando la stella cometa si fermò nel cielo di Roma e indicò a Carlo il numero 14 della strada oltre le Scuderie del Quirinale perché incontrasse il futuro compagno di tressette e venti milioni di euro, e la sua vita riprendesse il corso dell’insegnamento a filo d’erba.

E il Signore disse ora tu andrai nella città de’ marenare e di Pusilleco addiruso e conoscerai il sogno del popolo sognatore che spasima d’ammore e di pallone che tanti pensieri mi dà per la fornicazione dei pesci a Marechiaro e perché quel popolo ride non avendo occhi per piangere, avendo solo de Magistris.

E il Signore aggiunse ma prima tu andrai nelle valli del Trentino e imparerai a cantare perché ogni napoletano si nun canta more, e così diventerai napoletano.

E Carlo andò a Dimaro e cantò, e la membrana del microfono fu dolosamente lacerata quando cantò i migliori anni della nostra vita che per il popolo del golfo sono i sette anni con Diego, e altri non ce ne sono e non ce ne saranno, così che il popolo del golfo salito alla latitudine 46°19’32” Nord di Dimaro rimase scettico, ma il presidente De Laurentiis, che aveva dato a Sarri la mela del serpente, disse che è dal karaoke che si giudica il coraggio di un uomo, e Carlo ebbe coraggio in do diesis maggiore.

E il Signore disse a Carlo di non farsi confondere dal mare di Napoli che non bagna Napoli, e Carlo non si confuse, benché avesse frequentato solo fiumi sul suo cammino europeo, e i fiumi furono nell’ordine il Tamigi, la Senna, il Manzanare e l’Isar.

E Carlo fece il suo lavoro per il popolo dei sarracini, ‘e capille ricce ricce e ‘o sole ‘nfaccia. Ed ebbe dal Signore la pazienza di Giobbe, la tenacia di Gedeone e la sapienza di Salomone. Perché c’era un gran lavoro da fare. E il lavoro fu fatto.

E i discepoli furono attenti, quelli di piede destro e quelli di piede mancino, i più alti e i più bassi, i più veloci e i meno veloci, e l’uomo di Reggiolo provava e riprovava con grande fede, quando la sua fede vacillò a Dublino che, in lingua gaelica, significa “città del guado degli ostacoli di canna”, e Carlo fallì il guado e finì contro le canne molto alte del Liverpool. Era solo un’amichevole e il Signore lo scosse come aveva fatto con Pietro e gli disse: “Uomo di poca fede perché hai dubitato?”.

E Carlo con la pazienza di Giobbe, la tenacia di Gedeone e la sapienza di Salomone riprese il lavoro di cesello e di pennello perché i suoi discepoli azzurri fossero un corpo solo e un’anima sola e imparassero dal guado di Dublino e dalle canne inglesi molto alte la strada della resurrezione.

E fu alla vigilia del torneo sui campi verdi che Carlo ebbe l’idea magistrale per venire a capo della sua impresa napoletana, mentre, ogniqualvolta pronunciava verbo, appariva nel golfo l’ombra di Bancosarri a confondere le coscienze sollecitando ricordi ossessivi.

E l’idea, che molto piacque al Signore, fu l’idea svedese che aveva fatto la fortuna del fortunato giovanotto svedese Ingvar Kamprad del villaggio svedese di Agunnaryd che, cominciando a trafficare con la compra-vendita dei fiammiferi, e poi allargandosi con i pesci, gli alberi di Natale, le semenze da giardino e le penne a sfera, aveva alla fine impiantato un’azienda di mobili e complementi di arredo nella città di Leida, che significa opportunamente “città della chiave”, nell’Olanda meridionale, e fu la chiave del suo successo, e l’azienda si chiamò Ikea.

E allora l’astuto contadino di Reggiolo, fattosi uomo e allenatore di calcio, fiutò la tattica del comporre e ricomporre, del fare e disfare, del montare e smontare, del provare e riprovare, la tattica Ikea di Ingvar Kamprad, pace all’anima sua, e fu la luce.

E il prodigio ebbe i suoi alti e i suoi bassi, molto basso a Genova e Torino, molto alto contro il Milan e la Fiorentina, perché ormai il Signore aveva fischiato la palla al centro, e vigeva la legge dei tre punti, il punto a giorno per le partite del pomeriggio e il punto a sera per le notturne, e il punto Dazn che è piuttosto una virgola tra le parole ti vedo e non ti vedo, e il Var non fu solo l’opera del Demonio, ma dispensava verità elettroniche adeguate ai tempi, e gli arbitri facevano il segno del quadrato costruito sulle ipotesi, e correvano dal campo al video e dal video al campo e qui rifacevano il segno del quadrato e video il calcio quant’è bello, spira tantu sentimento.

E Carlo, con la pazienza di Giobbe, la tenacia di Gedeone e la sapienza di Salomone, affinava la sua tattica Ikea, e smontava Mertens per montare Insigne, ma gli avanzava Milik, e c’erano ancora Verdi e Ounas che dovevano essere sistemati, e allora svitava Callejon e aggiungeva Verdi, rimetteva Callejon al suo posto e gli avanzava Ounas, deponeva Hysaj e incastrava Maksimovic, partendo sempre da due pezzi magnificamente posizionati e incollati, il pezzo Allan e il pezzo Koulibaly, che uno è piccolo e l’altro è grosso, ma combaciano alla perfezione, però c’era sempre Hamsik che è un pezzo da novanta ma non reggeva l’incastro centrale che tutto sostiene, e allora scartava Hamsik che è leggero e metteva Diawara più forte, ma gli avanzava Fabian Ruiz, e allora sistemava Fabian Ruiz a sinistra ma non aveva più spazio per Zielinski e, intanto, gli avanzava Rog, e in porta provava ora Ospina ora Karnezis che non combaciavano mai con gli spigoli della porta, e cercava Chiriches per metterlo nello spazio di Albiol, e gli avanzava Mario Rui.

E Sisifo ebbe invidia dell’astuzia di Carlo nel montare e smontare, ed Ercole che di fatiche ne aveva fatte dodici si sentì sminuito, e Carlo di Reggiolo fu Sisifo ed Ercole allo stesso tempo, e con la pazienza di Giobbe, la tenacia di Gedeone, la sapienza di Salomone e l’insegnamento svedese dello svedese Ingvar Kamprad, fece il calcio all’Ikea, montando e smontando, e sempre un pezzo gli restava fuori, ma ne traeva uno già sistemato, magari Ghoulam non ancora rifinito e inseriva Luperto.

E Carlo fu Ikea e Penelope e, quando arrivò la notte dei desideri, e tiene mente ‘sta palomma, comme gira, comm’avota, un Napoli alla Di Giacomo, una squadra di giro, irrequieta, svolazzante, comme torna n’ata vota, quella di prima, quella di dopo, nella notte dei desideri l’uomo di Reggiolo si superò, e monta e smonta presentò l’ultima squadra Ikea cui mancavano tre pezzi e tre pezzi nuovi inserì, e poi ne tolse tre e ne mise altri tre, e il ciuffo trapiantato di Jurgen Klopp finì dritto contro stipiti, spigoli e assi azzurri così assemblati da sembrare un azzardo, un’avventura, una costruzione barcollante, e invece fu la migliore squadra Ikea di Ancelotti che gli inglesi di Liverpool ne portano ancora i segni e i lividi con quell’incastro finale a coda di rondine che è stato il gol di Insigne.

7/10/2018
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