Calcio
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Trent’anni fa una folle passione
oggi il sogno si culla in silenzio
di Mimmo Carratelli (da: Il Mattino del 16.10.2017)
Lo scudetto corre sul filo. Ci sono vibrazioni in città. Vibrazioni nuove, pacate, prudenti. Non come trent’anni fa. Trent’anni dopo non è cambiato solo il calcio.

È cambiato il mondo. È cambiata Napoli. È cambiato il tifo. È cambiata la pressione sulla squadra.

Troppo vicino il Napoli di Maradona, tra il San Paolo e il Campo Paradiso, per non essere accompagnato da un abbraccio asfissiante.

Troppo grande il più grande per non suscitare un “amore” assillante. Lontano e protetto a Castelvolturno, invece, il Napoli di Sarri. Un vantaggio per un ambiente comunque sempre effervescente.

Ma è essenzialmente cambiato lo spirito dei tempi. Trent’anni fa, una passione prorompente, colorita, totale accompagnò e spinse il Napoli di Diego, quasi una ribellione della città dopo il terremoto, un’ansia di legittimazione dopo essere stata quattordici anni prima “la città del colera” ed eternamente considerata tale, una città in ginocchio, avvilita dalle crisi amministrative dopo il tramonto di Valenzi che partorì sindaci ballerini (cinque in tre anni), oltre a una più diffusa e sentita avversione per il nord che anche nel calcio dettava legge.

Tutta la città inseguì lo scudetto.
Non ci sono questa volta le stesse “premesse”, se non la rivalità eterna con la Juventus.

La corsa per lo scudetto è limitata al fatto sportivo. Napoli non rivendica più nulla attraverso il calcio.

Se negli anni Ottanta sembrava una città vinta, oggi è una città rassegnata e non “usa” più il calcio per riscattarsi.

Una città bambina si innamorò del pibe. Una città adulta sta accompagnando il Napoli del nuovo secolo.

Perciò la festa che esaltò lo scudetto del 1987 resterà irripetibile. Come tutte le “prime volte” a Napoli. Coinvolse e rivelò una metropoli felice, ironica, persino disciplinata nella notte tricolore.

Perché era la città di Pino Daniele e Massimo Troisi. Perché sulle “curve” del San Paolo e in tutta la città esplose l’inventiva napoletana e fiorì un’industria da dieci miliardi di fatturato sfornando da piccole fabbriche occasionali sciarpe, striscioni, magliette, cappellini, bandiere, statuette e scudetti, trombe, orologi, coccarde, poster, bengala.

Perché avere preso Maradona, sottraendolo ai più ricchi club italiani, era già una conquista e, sul campo, fu una gioia per gli occhi e per il cuore. Bastava dare la palla a Diego ed era spettacolo, emozione, fantasia, felicità.

Il Napoli di Sarri non ha un Maradona, ma undici piccoli Maradona. Il Napoli di Sarri è frutto di un lavoro lungo, tenace, paziente, puntiglioso con i risultati maturati nel tempo, un’opera continua di scalpello e cesello con la disponibilità assoluta degli “alunni” e la maestria di un tecnico appassionato, sostenuto da un autentico “studio” del gioco del calcio.

Lo scudetto di Maradona fu una esplosione eccezionale che scosse tutta la città e ha lasciato tracce, nostalgie, sentimenti profondi. Ha significato molto per Napoli che stava risvegliandosi lentamente dagli anni di piombo.

L’arte, la musica, il cinema muovevano i primi passi per proporre nuovi modelli narrativi. La città tornava “teatro del mondo”.

Lo scudetto fu una scossa e fu molto napoletano nell’inventiva, nel colpo di mano per assicurarsi il pibe, nelle furbizie e nelle relazioni per rompere il predominio dei club settentrionali, nel potere politico di una città che aveva referenti di riguardo in tutte le “alte sfere”, nelle partite “giocate” da intere famiglie sugli spalti, lo stadio sempre strapieno e i bambini che nascevano si chiamavano Diego.

C’era una squadra di calciatori di ottimo livello che lavoravano per le delizie di Maradona e ne accompagnavano i prodigi, dai quali essi stessi erano conquistati.

Oggi tutta la squadra di Sarri è un prodigio, frutto di conoscenze nuove, di metodi di allenamento nuovi, di applicazioni nuove. Un calcio più “studiato” e applicato con abnegazione, mentre prima era un pallone semplice esaltato dal genio dell’interprete maggiore.

Sabato sera, all’Olimpico, a meno di un quarto del campionato, il Napoli non ha tratto nessun dado come disse Giulio Cesare oltrepassando il Rubicone e come il Napoli non ha detto oltrepassando la Roma.

Semmai, il dado è tratto, nella sua traduzione più precisa, cioè di decisione presa in modo irrevocabile, il Napoli l’ha sottoscritto a Dimaro dove, questa estate, è nato il patto-scudetto.

Non per presunzione, ma perché dopo due anni e mezzo di magistero tosco-napoletano, cambiando nulla e rafforzandosi molte sicurezze, il Napoli si sente pienamente in corsa per il grande traguardo. Se la Juventus collabora, tanto meglio.

Guarda caso, il Napoli di Maradona centrò il tricolore al terzo anno del pibe e, ora, siamo al terzo anno di Sarri. Trent’anni dopo, un preciso spazio di tempo (1987-2017), rinasce un sogno.

C’è un’altra coincidenza. Trent’anni fa, il Napoli vinse a Roma 1-0 (gol di Maradona) e affrontò l’Inter la settimana successiva (0-0), lo stesso calendario di quest’anno.

Il Napoli del pibe ebbe netta la percezione di poter vincere il campionato alla nona giornata dopo avere battuto la Juve a Torino 3-1 (Ferrario, Giordano e Volpecina).

Se il “parallelo” deve continuare, il Napoli di Sarri dovrà aspettare venerdì 1 dicembre contro la Juventus al San Paolo, quindicesima giornata, per trarne, vincendo, gli stessi auspici positivi.

La vittoria da tre punti ha profondamente cambiato il corso del campionato. Il pareggio ormai vale nulla. Il Napoli di Maradona vinse lo scudetto pareggiando dodici volte (15 le vittorie, tre le sconfitte) in un torneo molto più breve, sedici squadre, trenta partite.

E, oggi, c’è una Champions più faticosa, più impegnativa.
Intanto, sull’ormai reclamizzatissima bellezza del Napoli si stanno spalmando una salutare saggezza e una piena maturità. La squadra bambina e sbarazzina è diventata adulta. Il piacere del gioco resta e non è mai narcisistico, ma quest’anno il Napoli ha raggiunto un equilibrio ammirevole.

Basta un dato. Il baricentro alto della squadra azzurra si abbassa contro avversari da tenere a bada. Contro la Roma, sabato sera, il baricentro del Napoli è stato di 46,9 metri, mai prima così basso.

Solitamente va oltre i cinquanta metri (56,9 contro la Spal, 55,9 contro il Benevento, 55,8 contro il Cagliari, 55,5 contro la Lazio).

Per chiudere, si può dire che il collettivo di Sarri è degno di Maradona. Sta battendo continuamente tutti i record della storia azzurra. Si è imposto all’attenzione dell’Europa. Porta avanti una filosofia di gioco fra il tiki-taka e il calcio olandese che appaga.

Senza un top-player, ma con tanti piccoli top-player. La continuità del progetto va ascritto a merito di De Laurentiis. Il Napoli che piace all’Europa è nato con Benitez e Sarri l’ha portato al massimo livello.

Ferlaino inventò il Napoli di Maradona con la guida di Italo Allodi e l’intransigenza di Ottavio Bianchi che lo tenne al riparo dai fuochi cittadini. È cambiato proprio tutto. Godiamocelo.
16/10/2017
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