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Sparviero, la mia storia
di Adriano Cisternino
E così mi è toccato presentare Patrizio Oliva “scrittore” dopo aver raccontato (ma per iscritto) Oliva pugile per tanti anni, e poi Oliva allenatore e commissario tecnico dell'Italboxe, e organizzatore, commentatore televisivo, calciatore, cantante, ballerino, attore di cinema, di teatro..., ed ora eccolo autobiografo questo irrefrenabile ed imprevedibile trasformista, insieme con il nipote Fabio Rocco Oliva, già autore di testi teatrali.

Naturalmente ero in buona compagnia perchè nell'affollatissima sala De Stefano del Pan, nella centralissima via dei Mille, con me a parlare di Oliva-scrittore c'erano Luigi de Magistris, il sindaco-sospeso, e il popolare scrittore Maurizio de Giovanni (autore anche della prefazione), per una cerimonia armonizzata con garbo da Enzo Agliardi, mentre all'attore Luca Saccoia è toccato il compito di leggere alcuni brani del libro.

Nelle prime file, tra gli altri, nomi celeberrimi dell'atletismo olimpico napoletano come Sandro Cuomo, Pino Porzio, Elio Cotena, Imma Cerasuolo ed inoltre Annamaria Meterangelis, cognome caro agli appassionati di basket, e Antonio D'Alessandro, uno dei primi maestri di Patrizio, con lo storico maestro della Fulgor, Geppino Silvestri.

“Sparviero”, il titolo del libro (Sperling e Kupfer, pag.333, Eu.17,90) che ha come sottotitolo “La mia storia”.

Una storia che parte dall'epica sera di Montecarlo, stadio “Louis 2”, quel 15 marzo 1986, quando Patrizio battè l'argentino Ubaldo Sacco al termine di quindici riprese intense, aspre, infuocate, a tratti feroci, ma che alla fine consacrarono la carriera di un campione che lottando per una vita contro gli avversari e contro gli scettici di professione, ha vinto tutto ed è tuttora uno dei quattro pugili italiani che in quasi cento anni di storia della Federboxe (li festeggerà nel 2016) ha saputo portare in Italia l'oro olimpico (Mosca 1980) ed il titolo mondiale professionisti.
Gli altri tre, per la cronaca, sono stati Nino Benvenuti, Maurizio Stecca e Giovanni Parisi.

La cerimonia si è aperta con una chicca preziosa: un filmato che racchiudeva i momenti più esaltanti della carriera del nostro, compresi – ovviamente – la proclamazione della vittoria dell'oro di Mosca e alcune fasi del match di Montecarlo contro Sacco.

Patrizio ha aperto la serie degli interventi illustrando con estrema chiarezza due concetti fondamentali. Innanzitutto la sua boxe non era violenza, ma “la ricerca del bello”, cioè della “noble art”, come viene raccontata già da Virgilio nell'Eneide.

E non poteva essere diversamente, visto che il “pugile” Oliva ha scritto la sua trionfale carriera nei superleggeri, cioè 63,5 chili, per un'altezza di centosettantacinque centimetri: praticamente un grissino, un giunco, che non aveva neppure il colpo del kappaò, ma si affidava esclusivamente all'intelligenza tattica, alla velocità, di braccia e di gambe, alla precisione, alla scelta di tempo, insomma alla parte più nobile della boxe, sport dal fascino antico, che ha fatto innamorare tanti scrittori, da Jack London a Joyce Carol Oates, la scrittrice americana qualche anno fa in odore di premio Nobel, che ha scritto fra l'altro “La vita è come la boxe, per molti aspetti inquietanti, ma solo la boxe è come la boxe”.

In secondo luogo – ha sottolineato Oliva (e questo è indubbiamente il significato più concreto e attuale) la sua carriera è un messaggio ai giovani (ed ai giovani napoletani in particolare) che nella vita bisogna credere nei propri sogni perchè se ci si crede davvero i sogni si realizzano.

Ed ha raccontato di quando faceva a piedi da via Stadera a Poggiorale, dove abitava, a piazza Dante, dove c'era la palestra della Fulgor, innanzitutto perchè non aveva i soldi per prendere due mezzi tutti i giorni, e poi perchè quella strada a piedi per lui era il footing quotidiano in funzione degli allenamenti.

E allora corri campione – come ha scritto De Giovanni nella prefazione – e insegnaci come si fa a rialzarsi dal tappeto. Più forti di prima.
21/10/2014
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