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Quella Napoli del Seicento
di
Mimmo Carratelli
Chi è il conte di Ossuna, conte e viceré di Napoli, e perché parla male di don Miguel Vaaz? Parafrasando il titolo di un film di Dustin Hoffman è questa la domanda che nasce dal libro di Nino Masiello (“Il mercante”, Massa Editore) che scava magnificamente nella Napoli del ‘600 proponendo la vicenda partenopea del mercante portoghese, uno dei più grandi mercanti europei di grano, inviso al viceré, e da questi perseguitato, da dover chiedere asilo nella Chiesa dell’Ascensione a Chiaia per sfuggire a suoi sgherri.
La grande lapida posta nella chiesa, traccia del passaggio napoletano di don Miguel Vaaz, che a Napoli, sua patria di adozione, visse per quaranta e più anni, è il punto di partenza per dipanare una storia tanto ricca di particolari da proiettarci nella vita della città e del Regno di Napoli al punto che, andando avanti nella lettura, dalla gran via di Toledo a Chiaia, così chiamata perché era stata una spiaggia, appunto una “chiaja”, tra Eletti, armigeri, carrozze, il Grassiere, i capitani di giustizia, i portieri con le mazze di argento, la Sommaria, la Vicaria, i duchi e le duchesse, gentiluomini e servi, palazzi e chiese, e popolani inferociti (“serra serra ci fanno mancare il pane”), si finisce per sentire i segugi di Ossuna alle calcagna e si prende fiato solo alla tavola di don Miguel dove lui racconta e offre brodo di gallina, crocchette, polpette di montone con zucchero e cannella e qualche frittella dolce per chiudere.
L’abilità di Nino Masiello, giornalista e scrittore, autore teatrale e di una storia del teatro popolare napoletano del ‘900, è proprio questa di attrarre il lettore al Mandracchio, alle “fosse del grano”, alla Marina del vino, al tribunale di San Lorenzo, nella carestia nel 1607, intravedendo l’intrigante cavese don Giulio Genoino e Tommaso Campanella in condizioni pietose nel torrione di Castelnuovo, la Napoli tumultuosa di quel tempo, grande e confusa città europea, alla pari di Parigi e Londra, alimentata da un forte flusso immigratorio e, col porto, città di grandi traffici e opportunità.
La vicenda di don Miguel Vaaz, la sua visione di San Pietro dei Celestini “nell’atto di proteggerlo”, la ristrutturazione della chiesa dell’Ascensione, che aveva le fondamenta su una palude, non solo in segno di riconoscenza per i tre anni di asilo, ma come testimonianza dell’intenzione di “legarsi seriamente alla città”, gli affari di don Miguel, il suo contributo per alleviare la carestia, le cene nel gran palazzo su via Toledo, sessanta stanze su tre piani, costato trentamila ducati, i suoi pomeriggi di siesta in giardino, “su un ampio sedile scolpito in un enorme masso di pietra vesuviana”, all’ombra di un albero di limone, mentre la domestica Dolores gli porta uno sciroppo di menta, e la casa comprata a trenta metri dalla chiesa dell’Ascensione, tutto questo è il canovaccio attorno al quale si muove la città che Masiello ci fa vivere “in diretta”. La Napoli del ‘600. Ed eccoci alla “parata del donativo” verso la strada di San Lorenzo, eccoci alle cavalcate dei cavalieri, al porto dove arrivano e partono galeoni, tartane e navi ragusane per i traffici militari e commerciali, eccoci in carrozza dopo lo spettacolo della prima compagnia di comici spagnoli al Teatro dei Fiorentini, e poi nella chiesa di Sant’Agostino dove si riuniscono i rappresentanti del popolo, ai processi e alle decapitazioni, al Te Deum per la nascita del principe Filippo di Spagna. Vicende piccole e grandi, luoghi importanti e angoli modesti di una città di trecentomila abitanti in grande fermento, in grandi e piccoli affari, speculazioni e miserie, fra gabelle sulla frutta e tassa del sale, la polizia segreta del vicerè Ossuna all’agguato, ma anche gli spioni dell’Inquisizione, da non stare proprio tranquilli leggendo il libro. Se qualcuno bussa alla porta, potrebbe trattarsi di un capitano di strada e di un paio dei duecento e più armigeri di Palazzo, sbirri preoccupanti.
Il vicerè Ossuna è invidioso delle fortune commerciali di don Miguel Vaaz che aveva un patrimonio di due milioni di ducati (“come è potuto diventare tanto potente uno straniero arrivato a Napoli da sconosciuto?”), ci vuol vedere movimenti poco chiari, imbrogli, evasioni fiscali, forse vorrebbe farne parte con adeguate tangenti, o donazioni se vogliamo darle un nome educato. Ossuna ha un viso piccolo, un cranio piccolo, piccoli occhi, come risulta da certe stampe, ma è vistoso nell’armatura guerresca, le guerre di Fiandra alle spalle, prepotente e vessatorio, da far rimpiangere il precedente viceré, il molto nobile conte di Lemos, e anche il prossimo che sta arrivando ed è approdato a Bagnoli, ma Ossuna rimane al suo posto, prende tempo, perché l’uomo di potere non molla mai. Il mondo è stato sempre uguale.
Al tempo di don Miguel Vaaz, non devono essere mancati i furbetti del quartierino o, meglio, delle “ottine” in cui Napoli era divisa. Lo scandalo dello zucchero e il processo alla “banda del grano” furono solo gli episodi più eclatanti della corruzione del tempo. I giudici della Sommaria furono travolti da una serie di accuse, concussione, estorsione, omissione di atti di ufficio, concessioni date in cambio di mille ducati. Meno male che, di tanto in tanto, avveniva qualche miracolo, come l’apparizione di Santa Maria della Consolazione in una piccola stanza sotto i gradini della scala di San Giovanni a Carbonara. La Chiesa era presente con cento monasteri maschili e una quarantina femminili (con la storia morbosa di suor Giulia), e chiese, tante chiese, succhiando sino all’ultimo ducato dai possedimenti che tutelava.
Don Miguel Vaaz si destreggiò magnificamente nella sua vita napoletana. “Neanche lui era uno stinco di santo e aveva più di un peccato da farsi perdonare: non si conduce una vita più che agiata praticando la mercatura per trent’anni senza attraversare la corruzione” scrive Masiello. Ma sfuggì alla galera. Più innocente che colpevole fu la conclusione del processo intentatogli in contumacia. Di Ossuna si lamentò fino alla fine dei suoi giorni. “Lecco le ferite infertemi da un viceré che ha cercato con tutti i modi, mai leciti, si sporcare il nome dei Vaaz, per fortuna senza riuscirvi”. Il suo secondo dolore. Il primo era l’artrite alle articolazioni e alla schiena col maggiordomo Gaetano sollecito a porgergli l’intruglio calmante di erbe e la domestica Dolores pronta con la tisana, all’ora della tisana nel giardino della casa a Chiaia.
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