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SHOCK di Carlo Patriarca
di Luigi Alviggi
Ugo Cerletti (Conegliano, 1877 – 1963), psichiatra al tempo del debutto a inizio 900 della dottrina freudiana nel Norditalia, è l’ideatore della terapia elettroconvulsivante (comunemente detta “elettroshock”) - usata per la prima volta su un paziente umano nel 1938 - che gli regalerà in seguito il triste appellativo di “carnefice dei pazzi”.

La geniale versatilità dell’uomo è testimoniata dal suo salire alla ribalta in campo militare con l’invenzione di una spoletta a scoppio ritardato per la bomba in cui veniva inserita (descritta nel suo libro “Scoppio differito” pubblicato postumo nel 1977, e ripubblicato nel 2006 dall’editore Gaspari con il titolo “Scoppio programmato”).

Sarà in anticipo di quasi mezzo secolo su sviluppi analoghi nel settore artiglieria. Purtroppo - per rinvii e intralci delle alte sfere - la guerra finì prima che l’ordigno venisse utilizzato sul campo e le manovre letali degli alti vertici insabbieranno poi il tutto (abitudine in voga da sempre, FORSE anche oggi…), ALLORA c’era “il mare di soldi su cui galleggiavano le forniture militari”.

Nemmeno la rinunzia agli utili del brevetto a favore dello Stato italiano da parte del “povero” Ugo sciolse i legacci... (peggio delle catene!). Chi sa quante italiche vite si sarebbero salvate con la pronta adozione di questi ordigni a scoppio ritardato, programmabile grazie a un complesso meccanismo chimico interno...

Il racconto si apre, appunto, sul capitano medico Cerletti, vestito di bianco mimetico in un’alta montagna del Cadore coperta di neve, in prima linea sul fronte contro gli austriaci nella I Guerra Mondiale.

Si abbonda in dettagli psichiatrici - le osservazioni al microscopio venivano allora disegnate su carta, impossibili foto dell’immagine vista! - in specie per malattie mentali comportanti modifiche cellulari al fine di approfondire i primi passi fatti sull’organo più complesso del nostro organismo, così come di qualunque essere vivente.

Questo lavoro è altamente meritorio nel ricordare uno studioso che guadagnò pregi ancor oggi non adeguatamente valutati.

Gli studi e le pubblicazioni di Cerletti (elencate nel testo), fondamentali per ulteriori scoperte su funzioni e attribuzioni delle varie parti cerebrali, avvennero in tempi in cui gli studi di anatomia relativa muovevano i primi passi.

Ugo definì il cervello “un telaio incantato, il cui segreto era racchiuso in ogni punto della trama”.

Carlo Patriarca (Sondrio, 1960) anatomopatologo e scrittore, attraverso un’attenta analisi di documenti d’epoca, di approfondimenti biografici e di verifiche cliniche sulla valutazione di questa controversa terapia, ci presenta una biografia romanzata, analitica e avvincente, raccontata fin dall’inizio bombarolo, quale vista da Francesco un ipotetico assistente medico.

Senza dubbio la parte più interessante del narrato è il seguire passo passo l’iter che conduce alla sperimentazione umana: i cento dubbi, gli studi di processi attuati da altri per uguali fini, la titubanza estrema nel fissare forza e durata delle scosse su un corpo vivente da non intaccare.

Si riportano anche le vicende ospedaliere - trasferimenti, Cerletti in primis, ricoveri, tipologia dei pazienti - e, per gli anni del fascismo, anche le inevitabili violenze politiche che seguivano qualche malato con atteggiamenti critici nei riguardi del partito imperante.

L’assistente seguirà il primario, “sedotto dalle sirene della ricerca”, chiamato da questi nella capitale una volta divenuto direttore dell’Istituto di Neuropsichiatria della Sapienza di Roma e attenzionato persino dalla Casa Reale.

Qui partiranno i primi esperimenti curativi su pazienti affetti da schizofrenia, escludendo lobotomie e psicochirurgie con l’affermazione di Ugo:

No, non voglio riempire di fantasmi le corsie della clinica, né mi interessa fabbricare dei vegetali. Mi interessano il danno biologico della schizofrenia e la sua cura, ma qui vogliamo andare oltre, superare anche lo shock insulinico e acetilcolinico”.

Idea di partenza: scatenare un modesto attacco epilettico nel paziente per curare il principale problema schizofrenico, come sostenuto dall’ungherese von Meduna i cui metodi però non convincevano affatto.

Poi Cerletti ricordò i primi esperimenti a Genova di Battelli a inizio 900 con i cani e anche lo scritto di un medico dell’imperatore romano Claudio: “gli antichi romani provarono a curare la cefalea ponendosi sul capo una torpedine di mare…” per la conseguente scossa da essa generata.

Un aiuto - Lucio Bini - riuscì a inscatolare la corrente dentro un apparecchio di sua invenzione… e allora:

«Non l’elettricità» ammoniva Cerletti «ma l’attacco epilettico che la scarica scatena, un’epilessia frazionata e curativa, che noi potremmo controllare... contraria contrariis curantur ha detto Ippocrate».

Dopo una visita al mattatoio dei maiali di Roma - e tantissimi esperimenti successivi su di loro e su altri tipi di animali - tramortiti ma non danneggiati dalla scossa elettrica traversante il cervello applicata con due dischi a contatto delle orecchie, Cerletti decise di agire!

Avremmo curato gravi depressi e schizofrenici risvegliando dal profondo del loro cervello l’istinto vitale?
E se l’elettroshock fosse come rinascere? Venire di nuovo al mondo… L’attacco epilettico poteva essere un’estrema difesa, l’arma di riserva con cui le regioni nascoste e perturbate dell’encefalo avrebbero ripreso a pulsare in modo ordinato e a ridare coi loro comandi armonia agli emisferi e alla vita mentale dei folli.
Ma se il loro disturbo fosse solo il caos dell’essere? il rumore di fondo, diventato assordante nei malati, che noi sani ci ostiniamo a ignorare?


Si aggiungeranno in seguito alla terapia anche l’anestesia e il curaro per ridurre le contrazioni muscolari dovute al passaggio della corrente elettrica con conseguenti possibili fratture ossee.

Anche in questo caso Cerletti rinunciò agli utili del brevetto, nonostante l’Istituto non avesse soldi e il ministero non gli desse i fondi (!) per acquistare un elettroencefalografo utilissimo per studiare meglio le conseguenze dell’intervento.

Non così fece Lucio Bini per la sua apparecchiatura elettrica, di ampia diffusione anche all’estero e fornita da un’apposita ditta costituita.

Prototipo del paziente-cavia sarà Giovanni, fratello dell’assistente Francesco. Tra i molti disturbi sofferti, questi si sente assistito dallo Spirito Santo che gli parla attraverso Guido, un falco del quale è solo custode.

I suoi ricoveri in “manicomio” saranno come fare un giro per le strade vicino casa. E non c’è da stupirsi se nel racconto si incontrano brani di mattoidi, discorsi declamati da pazienti con un non corretto funzionamento cerebrale a un pubblico occasionale.

Giovanni seguirà la parabola del grave disturbo mentale che poco per volta lo porterà al silenzio e all’assenza (a seguito della morte per impiccagione di Guido da parte di ignoti), impedendogli di svolgere anche le poche funzioni che riusciva a compiere autonomamente sotto il vigile occhio di madre e fratello.

Davvero sorprendenti i miglioramenti ottenuti con il trattamento che Francesco segue in prima persona. Ma…

Le casse della clinica erano vuote. Non avevamo un soldo. Avevamo però in mano questa cosa, una nuova arma con cui assediare la fortezza della pazzia.
Ma era una terapia? Il paziente torna cosciente, si risveglia a scaglioni, allenta le mascelle, può parlare. Dopo pochi minuti si addormenta, dorme per qualche ora e poi si risveglia ristorato.
Era una terapia? La metafora bellica andava alla grande, ma in medicina è sempre stato così. Che si tratti di oncologia, di pandemie o di psichiatria, i medici accerchiano, colpiscono su più lati, combattono finché la malattia non ha la faccia nella polvere. L’idea di una breccia nelle mura nemiche, prima la scossa, le scosse ripetute, e poi l’azione umana.
Ma quale azione umana? Non c’era tempo né una lira da dedicare alla psicoterapia.


Dopo un successo e una diffusione mondiali eccezionali, con articoli e relazioni di ogni tipo da parte di luminari dei vari paesi, iniziarono i primi inciampi per lo studioso rilevando che in alcuni pazienti - man mano di numero crescente - i benefici effetti del trattamento con shock cerebrale andavano diminuendo nel tempo, se non addirittura svanivano.

Emerse che i risultati migliori si avevano per pazienti con schizofrenia di insorgenza recente.

Per i rovesci clinici e autoinflitti Cerletti rifiutò nel ’42 la Presidenza della Società Italiana di Psichiatria, riteneva ci fossero troppi abusi della sua terapia fatti per la facilità dell’insieme di base necessario e per i costi quasi nulli del trattamento una volta acquistato il dispositivo Bini. Fu anche candidato due volte al Premio Nobel oltre alle molte lauree honoris causa.

«I nostri pazienti sono uguali a noi. Se li tagli non sanguinano? Se li avveleni non muoiono? Bene, se li sfreghi con la corrente, il genio della follia esce dalla lampada...»
Forse perché un po’ più maturo degli altri, a me aveva affidato il compito più ingrato per un medico: registrare gli effetti collaterali.
Avevo visitato tutti i pazienti dopo le poche ore di sonno in cui cadevano alla fine dell’elettro-shock. Era un risveglio dolce per alcuni e confuso in altri. Tutti però avevano la docilità dei vinti, domati delle loro bizzarrie.
Eppure non sembravano avere memoria dell’attacco, non erano precipitati nella crisi epilettica in preda all’angoscia come sotto cardiazol, e ne erano usciti con un vuoto di ricordi dell’accaduto, ma il loro bagaglio di memoria era intatto.
«Possiamo concludere che la corrente elettrica scatena nell’uomo un attacco epilettico senza rischi» aveva detto Cerletti con una certa solennità dopo il primo tentativo riuscito.
Se però riapro il quaderno nero e leggo nella colonna di destra, a volte accanto ai nomi trovo: lussazione della mandibola, strappo del tendine di Achille, frattura dell’omero, frattura della scapola…
Cominciavamo a dimettere qualche paziente con la speranza di non rivederlo più, gli psichiatri italiani ci telefonavano per sapere, mandavano i loro malati, e un giorno rice-vemmo da Milano una lettera del primo paziente trattato, era abbastanza chiara e piena di parole di riconoscenza. Il Bini volle leggerla ad alta voce in biblioteca.
Alcuni pazienti poi, dopo il ciclo di trattamenti, si comportavano come se non avessero mai avuto disturbi psichici e non ne volevano parlare
.

Ciliegina sulla torta dello sventurato scienziato una damnatio memoriae davvero infausta e oltraggiosa per chi ha attraversato, segnandola comunque in maniera indelebile, mezzo secolo di storia della medicina. Innegabile, nonostante le tante critiche venute in seguito su questo tipo di terapia, che bisogna riconoscere a Cerletti, e al suo staff di giovani medici pionieri, l’avere aperto una nuova rotta lungo i confini del trattamento dell’organo più complesso in dotazione a un organismo vivente.

E, forse, con la enorme mole di quanto ancora non sappiamo in molti campi rispetto al poco oggi acquisito - a quasi un quarto del XXI secolo già trascorso -, rimane sempre possibile un qualche uso sinora insondato delle capacità curative dell’energia elettrica nei confronti dei tanti mali che affliggono l’integrità del corpo umano.

Dirà Ugo:
«Così è. Lo psicotico non vive nel mondo dei sani ma nel suo mondo. Si dice che vive fuori dalla realtà, ma non è esatto. Vive immerso in un’altra realtà.
Ora, per poter affermare di comprendere questo nostro malato bisogna che noi giungiamo a conoscere quella sua realtà che non è la nostra.
Dobbiamo seguirlo, assecondarlo e accompagnarlo nelle sue tortuose divagazioni. Dobbiamo vivere con lui e con lui sragionare, gioire e soffrire come fa un amico.
Questo avvicinamento, questo contatto, sia fatto con la psicoanalisi o con altre forme di sondaggio poco importa, deve essere fatto, se vogliamo prendere la via giusta
».

A noi medici a volte tocca essere decisi prima che precisi”.
Luigi Alviggi
Carlo Patriarca: Shock
Neri Pozza, 2022 - pp. 160 – € 17,00
8/11/2022
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