Recensioni
Grandi Illusioni, di Graham Swift
di Luigi Alviggi
Questo romanzo narra la storia di un gruppetto di artisti di successo vista da una prospettiva remota, cioè nel crepuscolo indulgente dei molti anni trascorsi tra lo svolgersi dei fatti e il parlare di essi.


Una sorta di “c’era una volta” progressivo, pochi dialoghi, il tutto poggiato su visioni mentali e ricordi, tenaci nella testa dei tre attori primari: Evie White, Jack Robbins, Ronnie Deane.

Il titolo originale del libro - “Here we are” (Eccoci)”, 2020 – ben si accorda a questa presentazione a piccole dosi, in brani distanziati che introducono poco per volta alla personalità, alle vicende e alla vita dei tre. L’approccio è indiretto, ma è questa la struttura solita del rivivere frammentario quanto si è vissuto.

Evie, in tarda età, nella ricorrenza di un anno dalla morte del marito va a cena con il suo agente e, dalle banali parole conviviali, tornata a casa si riaccendono in lei le tante luci del passato, personale e comune.

Qui le “Grandi Illusioni” assumono decisamente un significato bivalente. Sono i trucchi fatati che un mago esperto rifila, con successo vieppiù crescente, a un pubblico sempre più folto nella luminosa cittadina di Brighton (“bright on”: luce accesa) sulla Manica, nella costa meridionale dell’East Sussex in Inghilterra, a poche decine di chilometri da Londra.

Intrattengono in un teatro minore, ma affermato, in fondo al molo portuale, laddove anche il mare sembra chiedere di essere spettatore delle belle cose rappresentate. In tutt’altro campo – e molto più importanti - sono le illusioni che accompagnano la vita dell’uomo e che tanti stentano a mettere a fuoco.

Pochi le intravedono con il passare degli anni, molti anni, per capirne se non il senso la trama, i più le ignorano totalmente regalandosi così un handicap perenne. L’epigrafe del lavoro recita “It’s life’s illusions I recall” (Joni Mitchell): “Sono le illusioni della vita che rimpiango”.

Prenderne atto presto ha un valore insostituibile per il soggetto perché esse - benedette o maledette? – puntellano il vivere quotidiano e, per i più fortunati, si tramutano - in parte piccola e mai soddisfacente - in concreta realtà, se così possiamo davvero definire quanto ogni giorno scorre sotto i nostri occhi.

E, tra tante, le “illusioni” maggiori – dobbiamo riconoscere - sono i grandi amori e le grandi perdite.

Siamo dunque di fronte all’esposizione retrospettiva di tre vite intimamente legate che si intrecciano e divergono, ma proprio per questo hanno un forte e inscindibile sottofondo comune. Le vite di spettacolo, meglio di teatro, di due uomini e una donna: un lui Ronnie – poi in arte, una volta divenuto celebre, “Grande Pablo” - specializzato in magie, con la sua assistente Eve; Jack – il terzo - è il presentatore comico: “Un attore? Oh, solo un vecchio cantastorie ballerino”, si autodefinisce.

Fare un giochetto? No, fare un trucco. E nemmeno un trucco. La parola di Eric era “illusione”.

Eric è lo stregone, un padre adottivo che lascerà in eredità a Ronnie la sua principale passione, il suo mestiere più caro, quello nel quale ha trovato la ragione di vita. Con la sua Penny non hanno avuto la fortuna di avere figli.

Vivono a Evergrene, vicino Oxford, luogo magico anch’esso, in una grande casa e giardino dove c’è posto per tutto, anche per la bacchetta magica e il tavolo verde, anche per i magici conigli che appaiono e scompaiono a comando. Ronnie è un ragazzetto sfollato dalla Londra del 1939, inizio della guerra con Hitler, figlio unico di Agnes, donna delle pulizie, e di Sid, un marinaio quasi sempre assente da casa che scomparirà in mare durante una delle tante azioni belliche a opera degli U-Boot tedeschi.

La casa d’origine è in un quartiere povero della capitale e, per il bambino di otto anni, la casa della coppia, che ha accettato di ospitarlo nell’ambito del programma nazionale di mutua assistenza, sarà una vera e propria reggia.

Vi rimarrà per sei anni imparando tantissimo, per prima l’arte del “mago” cioè di saper incantare le persone, uscendone alla fine mezzo uomo fatto. Il problema, avviandosi all’adulto completo, sarà che non saprà mai ricomporre le due metà, il prima e il dopo, quella familiare e quella appresa, in un’unità omogenea ed efficace. Jack e Ronnie si conoscono sotto il militare e sarà il primo, apprezzatane la bravura, a invitare il secondo a Brighton, chiedendogli di trovarsi una compagna per il numero di illusionista da fare nel teatro ove lui è un capocomico quasi trentenne ma già con una quindicina d’anni di palcoscenico alle spalle.

Evie, una bella ballerina di fila, risponderà all’annuncio e Ronnie inizierà con lei la carriera, segandola o trafiggendola con spade in cento modi negli scatoloni sul palcoscenico, tra lo stupore incredulo e ammirato degli spettatori.

Si fidanzeranno subito e lui, innamorato, le regalerà un bell’anello con brillantino dal futuro incerto. Progettano di sposarsi al termine degli spettacoli, questione di pochi mesi.

La storia è centrata nel 1959, il tempo dell’”avanspettacolo”, ma siamo in un teatro senza film ove però la scena può arrivare a superare gli artifici cinematografici. Sarà l’anno delle grandi svolte per i tre. La narrazione terminerà nel 2009, con l’ultimo personaggio che continua a parlare di quanto è stato e di quanto avrebbe potuto essere…

Una lunga sequenza di riflessioni, considerazioni, valutazioni, stati d’animo, sugli eventi, emozioni, sentimenti, dolori, che hanno coinvolto il trio: insieme, a coppia, o singolarmente. E i ricordi, per i soggetti, finiscono con il mutare sostanza sotto la carezza mentale ricorrente, divenendo sempre più coinvolgenti.

Protagonista minore, ma pur incisivo del libro, un pappagallo tropicale - Pablo - che il padre Sid porterà in casa e la mamma venderà poco dopo, mentendo al marito che è volato via e provocando nel piccolo Ronnie un trauma che non l’abbandonerà nel cammino dei giorni.

se è vero che lo spettacolo deve continuare, c’era anche un’altra legge del teatro che diceva: tieni per ultima quella cosa alla quale sarebbe difficile dare un seguito.

Il mago Ronnie la onorerà in pieno. Sempre più bravo, riuscirà a far comparire sul palcoscenico un fantastico arcobaleno e, come se non bastasse, anche un esotico pappagallo che, venendo fuori dall’arcobaleno, andrà a posarsi su una sua mano mentre con l’altra stringe quella di Eve sotto il diluvio di applausi del pubblico entusiasta.

Lancerà poi l’animale verso gli spettatori ma esso svanirà a mezz’aria. È il vertice del successo, i due sono ormai molto famosi. Poi il fato, in un modo o nell’altro, si fa vivo, assestando una botta decisa a quanto funziona a meraviglia.

C’è da chiedersi spesso se la sorte non sia davvero molto invidiosa. Per effetto del colpo la vittima barcolla, ci mette del tempo per tentare di riassestarsi, una fase di debolezza spesso eccessiva, ma diventa subito indispensabile per lei avere una reazione.

E allora accade sempre qualcosa di imprevisto che dovrebbe facilitare lo stabilizzarsi per permettere al soggetto di ripartire, “illudendosi” di essere più o meno lo stesso di prima.

Lei si guarda nello specchio, adesso, e si vede come era allora. Non era stato certo il passo falso di una che non sapeva quello che stava facendo, con un anello di fidanzamento che le brillava al dito.
Ronnie aveva telefonato. Aveva detto: «Sono arrivato troppo tardi, Evie. Se ne è andata».
Era la voce, stranamente, di un uomo che aveva fatto qualcosa di male, e che adesso era in attesa della sua punizione.
«Oh, mi dispiace tanto, caro. Non devi rimproverarti. Vuoi che venga da te?».
E queste erano tutte parole giuste, eccetto che avrebbe già potuto essere lì con lui, fin da subito. Allora tutto sarebbe stato diverso.
Le rispose che non avrebbe avuto problemi. Disse che probabilmente gli sarebbe toccato star via un paio di notti. C’erano cose che doveva fare, sistemare.
Lei disse: «Abbi cura di te, caro. Ti penserò».


E quella stessa notte, dopo che Ronnie aveva telefonato, dopo che la madre di Ronnie era morta, dopo lo spettacolo nel quale non era comparsa, lei era andata a letto con Jack Robbins. Aveva pensato a sua madre, al suo cappello da sole e al vestito. Un giorno avrebbe dovuto dare delle spiegazioni. Sai una cosa, mamma?

Corre il giorno, corre! Dopo il mattino, il mezzodì, ed eccolo procedere veloce verso il tramonto. E, in un libro di illusioni, non può mancare al termine l’ultima magia! Non è solo Ronnie a essere scomparso ma, da buon amico, sente la necessità di tornare indietro: non si abbandonano gli amici-affetto di una vita! Ed ”eccolo qui”, affettuoso e verosimilmente pentito, a venire a prenderli per dileguare tutti insieme:

«Salve, Evie. Ne è passato di tempo. Eccomi qui. Eccoci qui».

Si sente molto stanca. Fuori, la sera si va spegnendo. Le foglie del melo selvatico stanno perdendo colore. Non ha acceso le luci e persino la sua faccia, nello specchio, sembra un fantasma. Ed era stato davvero lui che aveva visto, dietro di sé? Potrebbe fare un sonnellino, un piccolo sonnellino. Una giornata così stremante. Si toglie la camicetta e la gonna e le lascia come una pozzanghera sulla sedia. Scivola sotto il piumino come sotto a un’onda che ti viene incontro, e ti accoglie. Prende il largo e s’addormenta molto in fretta, ma prima di farlo - o forse è solo un sogno - tende un braccio e sente un peso caldo, familiare. Quindi va bene, è tutto a posto, lui è ancora lì.

Graham Swift (Londra, 1949) è un ottimo scrittore inglese, pluripremiato in importanti contesti, con due romanzi poi divenuti anche film di rilievo. I coraggiosi che mi seguono – e a Loro va un grande Grazie! – forse ricordano che, su questo stesso sito, un due anni e mezzo fa ho commentato lo splendido “Un giorno di festa” (2016).
La storia incendiaria della giornata di due giovani amanti e anche a loro il destino gioca davvero un pessimo scherzo. La narrativa di Swift racchiude al fondo una penetrante malinconia ma questa non disturba, anzi.
A me pare funzionare da cassa di risonanza per il lettore, aiutandolo ancor più a “entrare” nelle vicende narrate. In questo caso il risultato finale è che, a fine libro, restiamo grati all’Autore per aver condiviso con noi “spettatori” un lungo incantesimo raccontato a occhi aperti, fuori dal sogno, e che, come tutte le magie, non può trovare alla fine uno svelamento completo.

Quanto aveva detto Ronnie a Jack? Qualunque cosa fosse stata, se n’era andata un anno prima con Jack. Adesso lei era l’unica vera guardiana della vita e dell’epoca di Ronnie Deane. Quella meglio preparata, per sempre, a raccontare la storia. O a tenersela per sé.
E cosa c’è di meglio da conservare fino alla fine per una donna artista se non il costume di scena, quello zeppo di piume e lustrini, indossato nello spettacolo della sera all’apice del successo?

«La vita è ingiusta, mia cara, lo è sempre stata, sempre lo sarà», dice la mamma alla giovane Evie, speranzosa come tutti i giovani…

Luigi Alviggi 
Graham SWIFT
Grandi illusioni traduzione di Serena Prina
Neri Pozza, 2020 – pp. 160 - € 17,00
26/1/2021
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